I corpi e la comunicazione dei leader

Mercoledì, 3 Marzo, 2021

La pandemia ha rovesciato la gerarchia delle priorità dei governi, cambiato il linguaggio della politica e insidiato l’egemonia del corpo del leader.

Al tempo del coronavirus, il vuoto scalza la pienezza, l’assenza fa premio sulla presenza, il virtuale soppianta il reale.

Così il corpo del “capo” va perdendo la supremazia affermata agli sgoccioli del ‘900, grazie alla saldatura dei processi di mediatizzazione e personalizzazione sfociati nella politica spettacolo.

Il corpo del leader è stimato al pari di un capitale da investire, risorsa simbolica e scorciatoia cognitiva alla quale si abbevera il cittadino-elettore, incline a identificarsi in un volto anziché in una bandiera di partito.

Il trionfo della democrazia del pubblico, dove il leader calca disinvolto il palcoscenico e alla stregua di un consumato attore raccoglie il favore degli spettatori, sorgeva sulle ceneri della democrazia dei partiti di massa, connotati da un vertiginoso tasso ideologico e radicati nella società.

A lungo è campeggiata una riconoscibile scenografia.

Sullo sfondo, ideologie sepolte, culture politiche evanescenti, partiti tradizionali in affanno, movimenti liquidi e dalle identità stinte.

In primo piano, i leader.

Suscitano empatia, blandiscono e sfrondano la complessità dei problemi, all’insegna di una comunicazione pubblicitaria nutrita a colpi di spot.

Sono legittimati dai canoni della notorietà, abbacinati dal successo, circonfusi di onori. Concavi e convessi a seconda dell’opportunità, plebiscitati e plebiscitari, assurti al rango di demiurghi sulle ali di post e like.

Invincibili, in una parola.

Gli stessi leader, invero, sono protagonisti di ascese e declini fulminei, tracciano parabole brevi, raggrumano un consenso volatile.

Un risvolto che disvela l’intrinseca fragilità della leadership.

Subentra un nuovo paradigma, accentuato dalle norme di distanziamento sociale.

Sembrava infatti impossibile scindere la politica dal leader, il leader dal corpo, il corpo del leader dalla rappresentazione mediatica, la rappresentazione dalla rappresentanza di interessi e valori.

Invece, nel volgere di un pugno di mesi, complice la rarefazione di comizi e manifestazioni, il corpo del leader è rimasto relegato ai margini, digiuno di bagni di folla.

Il divieto di assembramenti, per quanto diluito, mina le fondamenta della comunicazione non verbale, collaudato repertorio al quale sogliono attingere i politici.

Il leader stringe mani, lancia sguardi e spara sorrisi.

Comizia ribaldo, arringa ruffiano le masse e abbraccia compiaciuto la folla.

Cerca contatto, consuetudine, complicità.

Con incontri ridotti al lumicino e ristretti nel numero, il leader dispera di perdere il tocco magico: niente più  piazze, teatri, palazzetti gremiti a favore di telecamere e social media manager.

In luogo di platee oceaniche, residui crocchi di militanti e nugoli di irriducibili.

Persino i talk in tv hanno espunto la cornice di pubblico. Perciò sferrare la battuta a effetto e scagliare l’invettiva contro l’avversario, per strappare l’applauso, risulta vano.

È calato il sipario.

Il corpo del leader, denudato di eventi e folla, cede di schianto.

Questo spunto dischiude lo spazio per un auspicio, risalendo il corso della storia, rimontando al Medioevo inoltrato, allorché le monarchie Europee avevano istituito un doppio corpo del re, secondo la nota lezione di Kantorowicz.

Il re non muore mai perché dotato di una doppia natura: possiede un corpo fisico, destinato alla morte; e un altro collettivo, immortale, il corpo del regno.

Le istituzioni sopravvivono ai leader.

Sulla scorta di tale principio, maggioranza e opposizione dovrebbero stringersi intorno alla bandiera, al corpo vivo della nazione, per fronteggiare insieme il difficile avvenire.

Una pia illusione? Forse. Sicuramente una prospettiva che sfida la politica, investe le migliori risorse della società civile, interpella chiunque sia sollecito al Bene comune del Paese e disposto a tenere alto il tono della democrazia.