Guardando oltre la crisi del sistema politico

Venerdì, 30 Settembre, 2022

Accanto alle discussioni sull’esito delle elezioni e sulle prospettive che si aprono per il Paese, una valutazione più accurata di quanto stiamo vivendo deve essere rivolta all’orizzonte temporale più ampio di un passaggio politico che investe gli ultimi mesi e i prossimi anni e che dunque può essere oggetto di una riflessione più sistematica. Molti potrebbero essere i punti di partenza di una valutazione del genere: da quello della modalità con cui le forze politiche hanno affrontato la campagna elettorale, la costruzione di programmi e le liste di candidati per finire con lo “stato di salute” dei partiti, intesi come strumenti offerti ai cittadini per la partecipazione alla vita democratica. Considerazioni queste che si riassumono nella cruciale questione della rappresentanza politico-istituzionale di cui il nostro sistema politico deve essere capace. Ed è proprio su questo aspetto che il “mondo cattolico” ha misurato la sua irrilevanza. Quando parliamo di mondo cattolico ci riferiamo alla vasta rete di realtà associative, culturali, di terzo settore, che si richiamano all’ispirazione cristiana e che operano nel Paese e sono parte integrante della quotidianità del nostro vivere civile e che hanno la necessità di trovare percorsi e strumenti per far sentire la propria voce. Ma è proprio quest’ultima opportunità ad essere stata disattesa.

 

Le scelte dei partiti e le liste elettorali

Smentendo l’iniziale atteggiamento di inclusione, forse solo strumentale, il reale processo di costruzione delle alleanze elettorali e la conseguente composizione delle liste ha seguito, anche nel caso del centrosinistra, e del PD in particolare, l’abusato metodo della cooptazione e della tortuosa ripartizione delle candidature tra le componenti interne, rinunciando a costruire legami forti col corpo elettorale.

Quanto un simile approccio si sia rivelato fallimentare, soprattutto nel caso del centro sinistra, lo mostra ampiamente l’accresciuto numero di elettori che si sono astenuti perché non si sono riconosciuti nelle proposte messe in campo dai partiti né, in molti casi, dai candidati messi in lista. Tra coloro che si sono astenuti vanno considerate anche persone che si riconoscono nel cattolicesimo politico e da una va una visione democratica, animate da un sentire alto della politica che ha impedito loro di salire sul carro dei presunti vincitori e che tuttavia non hanno trovato risposte soddisfacenti alle loro aspettative politiche neppure nella parte che si avviava ad essere minoranza. Ne esce così mortificata una realtà ricca e plurale qual è quella del cattolicesimo italiano e delle culture politiche che esso ha animato e ancora anima nel tessuto profondo del Paese, da quella di matrice democratica, a quelle sociale e liberale fino a quella conservatrice.

Tali dinamiche, che oramai da oltre un decennio si sono rivelate endemiche al nostro sistema politico, sono state accentuate nella contingenza attuale dal combinato della legge elettorale in vigore e della riforma costituzionale che ha ridotto il numero di deputati e senatori. In questo quadro, difficile da gestire e strutturare, il criterio che sembra aver guidato le scelte dei partiti è quello di voler guardare più agli equilibri interni o di coalizione che alla ricca diversità del Paese.

Una scelta che finisce per incidere sulla qualità della rappresentanza parlamentare.

Da questo quadro emerge una sorta di cortocircuito politico e culturale che incide direttamente sul principio stesso della rappresentanza, principio cardine della democrazia.

Per chiarezza, va detto esplicitamente che non è un fatto di nomi, quanto piuttosto di una      mancata interlocuzione politica, che sola può fungere da criterio per individuare temi e nodi da affrontare, proposte e soluzioni possibili e candidature capaci di essere coerenti con l’itinerario politico che si è così delineato.

L’equivoco che emerge è quello per cui alcune candidature, certo prestigiose sul piano individuale, possano esemplificare una realtà di Paese così articolata e plurale che ha connotati culturali definiti e riconoscibili. La rappresentanza non si esaurisce con la cooptazione di      alcuni nomi, spesso strumentalmente utilizzati come foglie di fico; non è una questione di posti e nemmeno può essere demandata, almeno rispetto ad un orizzonte così articolato com’è quello del cattolicesimo politico italiano, ad una interlocuzione fra vertici. È piuttosto un processo, che nelle intenzioni originarie doveva essere fra le ragioni che avevano portato alla nascita ad esempio di un partito come il PD. La logica fortemente leaderistica, che ha segnato negativamente la cosiddetta seconda Repubblica, e le correnti interne alle forze politiche, che oramai hanno perso la funzione, avuta in passato, di voci di un pluralismo culturale e sociale, hanno di fatto ridotto la dialettica politica a scontri tra blocchi di potere sempre più autoreferenziali. Il risultato è l’isolamento dei partiti dal mondo reale delle donne e degli uomini concreti, che così vedono frustrata la loro voglia di contribuire ai processi democratici di costruzione del bene comune, sminuendo allo stesso tempo, il rapporto tra partito e cultura di riferimento e, la possibilità stessa di ascolto e lettura dei bisogni del Paese.  

E come se una parte della politica, ancora una volta, avesse perso l’appuntamento con la storia.

Per quello che ci riguarda, sentiamo che manca la tessitura di una interlocuzione costante con la realtà plurale del Paese, inclusa quella di matrice cattolica. O peggio le interlocuzioni, come ad esempio le Agorà del PD, restano contenitori di cui si perde traccia e a cui nessuno attinge per trasformarli in proposta politica. Mentre sarebbe necessario costruire un partito che sappia essere luogo di incontro e maturazione di culture e tradizioni politiche diverse accomunate da un profondo orientamento riformista non limitandosi ad individuare alcuni nomi alla vigilia delle elezioni. Si tratta di un lavoro certo faticoso, che richiede pazienza e tempo ma che solo è capace di dare credibilità e forza a progetti politici dentro una dinamica democratica. E questo perché li rende capaci di esprimere proposte politiche che non si limitano a giustapporre un elenco di punti, ma restituiscono una visione di Europa e di Italia con cui misurarsi. Quello di cui c’è veramente bisogno, più che di un programma qualsiasi (che poi, per quanto condivisibile, non è mai rispettato, aumentando la delusione degli elettori) è di un progetto per il Paese, di idee cioè che sappiano far da guida nella navigazione futura, che presenta sempre situazioni nuove, non previste né prevedibili.  Per fare questo, tuttavia, occorre intelligenza politica e lungimiranza. La classe dirigente, in altre parole, deve dotarsi degli strumenti che la facciano interloquire con il Paese e con le sue realtà più vive e vitali.  Diversamente, l’autoreferenzialità di segreterie, direzioni, assemblee nazionali e gruppi parlamentari non farà altro che aumentare lo iato con il Paese reale, lasciando campo aperto al populismo per scorrazzare sulle praterie politiche lasciate libere da chi avrebbe invece dovuto difenderle. Non basta convocare un congresso se non c’è la convinzione profonda della necessità di cambiare e non di ricorrere a piccoli compromessi.

 

Un sistema da ripensare

Queste considerazioni e la natura peculiare della tornata elettorale che ci lasciamo alle spalle rappresentano uno stimolo a lavorare sulla crisi che investe la democrazia e il sistema dei partiti. Alla luce dei risultati questo è un compito che riguarda in particolare il maggiore partito di opposizione, il PD penalizzato dalle urne, che dovrà aprire una riflessione profonda sulla propria identità, sul progetto politico e quindi sulla possibilità di essere uno strumento di rappresentanza democratica di istanze riformiste disposte a comporsi in un progetto per il Paese. La fatica e la fragilità di una campagna elettorale, che si è dipanata fra slogan e annunci ma nella quale sono mancate visioni politiche riconoscibili, pone l’urgenza di ripensare tanto il sistema dei partiti quanto le singole forze politiche. È perciò urgente orientarsi verso una pratica dell’agire politico che metta al centro uno sforzo di intelligenza delle cose, nel pieno riconoscimento della necessaria mediazione della politica e della sua irrinunciabile volontà di confrontarsi con le differenti culture politiche, nell’assunzione compiuta e piena del tempo storico a cui apparteniamo.

Come associazione che da anni opera nel campo dell’impegno politico, metteremo a disposizione, nell’annuale assemblea che si terrà a Roma nella seconda metà di novembre alcune proposte riferite a questa difficile transizione.

Solo questo esercizio di comprensione politica delle cose è capace di delineare prospettive e proposte che per i cittadini hanno il respiro del futuro possibile. Dopo anni in cui si è dibattuto sul se e come i partiti post-ideologici possano essere plurali al loro interno e tuttavia portatori di progettualità, forse è opportuno che anche i cattolici, nella consapevolezza della loro diversa sensibilità partitica, si interroghino se non occorra pensare in termini nuovi individuando strumenti e percorsi che possano contribuire alla vita democratica della Repubblica.

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Associazione di amicizia politica