Giustizia e situazione carceraria (Rapporto 2015)

Giustizia e situazione carceraria

III° Rapporto (2015-2016)
 

“Ero carcerato e siete venuti a trovarmi"

(Mt 25,36)

 

In occasione delle prossime festività, nei giorni da Natale a Capodanno, dopo la positiva esperienza degli scorsi anni, alcuni parlamentari visiteranno gli istituti di pena di varie province italiane.

L’iniziativa promossa da “Argomenti 2000”, Associazione di amicizia politica, intende richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e degli stessi parlamentari sulla situazione carceraria, che può essere considerata tra le emergenze del Paese. Recarsi in visita in un carcere significa compiere un gesto di concreta vicinanza verso quella parte della popolazione, fatta di uomini e donne che, pur scontando una pena, rimangono a pieno titolo cittadini, conservano la dignità della condizione umana e chiedono di essere aiutati ad un reinserimento nella società così come è giusto e come previsto dalla Costituzione.

Nel presentare alcuni dati aggiornati sulla situazione del sistema carcerario, vorremmo evidenziare accanto ad alcuni risultati raggiunti, i punti di criticità che permangono, alcune considerazioni sulla linea che occorrerebbe seguire intervenendo in maniera organica sulla materia.

Come è noto, in tempi recenti, dopo la sentenza della Corte europea, il Parlamento è intervenuto a più riprese sulla situazione carceraria e in particolare per risolvere il problema del sovraffollamento; non possiamo dire che il problema sia stato risolto. Molto resta da fare, a fronte di una condizione di vera emergenza e alla necessità di un ripensamento profondo del sistema penale e detentivo.

 

Un ripensamento complessivo della funzione sanzionatoria e  del sistema penale

Papa Francesco parlando nell’ottobre 2014 ad una delegazione dell’associazione internazionale di diritto penale, notava come si sia “affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative”.

In quella stessa occasione papa Francesco stigmatizzava la convinzione diffusasi negli ultimi decenni che “attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale”.

   Anche nel recente messaggio per la Giornata della Pace 2016, il papa ha ribadito che per quanto concerne i detenuti, in molti casi appare urgente adottare misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio, avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria”. Quest’ultimo è un punto che  vogliamo fare oggetto di particolare attenzione presentando, nelle prossime settimane, alcune proposte di legge.

È sempre più evidente come sia necessario porre mano ad una riforma profonda che investa il significato stesso del sistema penale e della funzione sanzionatoria, mettendo in primo piano, accanto alla giusta domanda di sicurezza che viene dalla società, la dignità umana di coloro che commettono reati e, di conseguenza, la possibilità di far crescere forme diverse, alternative alla detenzione carceraria, a fronte della possibilità di una più efficace rieducazione in vista del futuro reinserimento, di un minore onere per l’amministrazione statale e, infine, un più basso tasso di recidiva.

In definitiva ci troviamo accanto alla necessità di affrontare le emergenze, di fronte all’evidenza di ripensare i temi della pena, delle condizioni del sistema detentivo e della sua possibile evoluzione, delle effettive condizioni che rendono possibile una dimensione educativa e di recupero, delle possibilità di lavoro all’interno e all’esterno delle strutture carcerarie.

 

Il sovraffollamento carcerario e i provvedimenti attuati

Il sovraffollamento carcerario nel nostro Paese non è solo un problema morale e sociale ma è, nella sua sostanza, anche strettamente interconnesso alla tematica della legalità; è, infatti, una contraddizione far vivere chi non ha recepito il senso di legalità in una situazione di evidente non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto, spesso, in condizione di palese violazione dei diritti umani.

 

A seguito della sentenza della Corte europea e dei provvedimenti intervenuti nel nostro ordinamento, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha esaminato, nella riunione del giugno 2015, i progressi fatti dallo Stato Italiano.

All'esito di tale riunione, quest'anno, il segretario generale del Consiglio d'Europa ha lodato le misure messe in campo dall'Italia per fronteggiare il problema del sovraffollamento affermando che «Sulle risposte da dare per risolvere la questione del sovraffollamento carcerario l'Italia è diventato un esempio di buone pratiche per diversi altri Stati membri [...] Apprezziamo molto tutti gli sforzi messi in campo dall'Italia per quanto riguarda la questione del sovraffollamento carcerario. [...] Il ministro mi ha informato delle interessanti iniziative messe in campo, che potrebbero diventare anche queste, esempi di buone pratiche per altri Paesi». Parole che suonano di incoraggiamento anche se non va sottovalutata la situazione.

 

Alla data del 31 ottobre 2015 erano presenti nelle carceri italiane 52.434 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 49.640. Ci sono dunque 2.794 detenuti in eccedenza rispetto ai posti previsti (+5,6%).

 

Si tratta di numeri che, pur segnalando ancora un sovraffollamento, evidenziano comunque il netto passo in avanti compiuto dal nostro Paese verso un sistema carcerario più dignitoso.

Il problema dell'eccessivo numero di detenuti rispetto alla dimensione delle carceri nazionali si è trascinato infatti nel nostro Paese per molti anni, fino alla crisi del 2013 e alle conseguenti condanne della Corte europea dei diritti.

Basti pensare che nel giugno 2006, alla vigilia della legge che avrebbe poi concesso l'indulto, erano presenti in carcere 61.264 detenuti (seppure con una capienza regolamentare di 43.219), con una percentuale di sovraffollamento del 42%.

All'indomani dell'indulto del 2006 la popolazione carceraria era scesa a 39.005 detenuti (31 dicembre 2006). Negli anni seguenti, tuttavia, si è registrato un rapido ritorno alla situazione pre-indulto: le presenze al 31/12/2007 erano già 48.693; a fine 2008 58.127, a fine 2009 64.791, a fine 2010 67.961. Se si pensa che a tale data la capienza regolamentare dichiarata era di 45.022 posti si ha la misura della gravità della situazione di sovraffollamento nelle nostre carceri.

All'avvio della XVII legislatura, nel marzo 2013, erano presenti nelle carceri italiane 65.831 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 47.045. Vi erano dunque 18.786 detenuti in eccedenza rispetto ai posti previsti (+ 28%). Rispetto al totale dei reclusi, i detenuti in custodia cautelare erano oltre il 37%, ovvero 24.824.

Poche settimane prima, l'8 gennaio 2013, il tema del sovraffollamento delle carceri italiane era stato affrontato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la pronuncia Torreggiani e altri contro l'Italia, con la quale la Corte aveva condannato l'Italia e le aveva intimato di risolvere, entro il 24 maggio 2014, il problema del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario.

Tutta la prima parte della legislatura è stata dunque segnata dagli sforzi delle Istituzioni italiane (dal Governo al Parlamento, passando per un importante messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, DOC. I, n. 1) per ridurre la tensione carceraria e ottemperare alle indicazioni del Consiglio d'Europa.

Oggi, mentre la capienza degli istituti è migliorata (49.640 posti al 31 ottobre 2015) a seguito, soprattutto, di interventi di ristrutturazione di padiglioni esistenti, grazie a numerosi interventi legislativi i 52.434 detenuti presenti evidenziano una netta tendenza alla diminuzione. Il grafico evidenzia come nel corso dell'attuale legislatura (dal marzo 2013) la forbice capienza regolamentare/detenuti presenti si sia costantemente e progressivamente ridotta per effetto degli interventi di Governo e Parlamento.

 

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

 

 

Elaborazione Servizio studi di dati del Dipartimento dell'amministrazione

penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo

automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

 

 

 

 

D’altra parte, i risultati ottenuti non risolvono in radice una situazione grave, come è rilevabile da alcuni punti di criticità. La condizione di sovraffollamento estremo è di per sé un vulnus ai diritti dei detenuti, poiché, come ha affermato la Corte europea, l’avere a disposizione uno spazio eccessivamente ridotto costituisce trattamento disumano e degradante a prescindere da altri fattori: condizioni igieniche, luce, acqua, accesso a servizi sanitari, ecc. Nel caso italiano, peraltro, non era infrequente che, alla ridotta disponibilità di spazio si affiancassero deficienze ulteriori, legate alle precarie condizioni di alcune delle nostre carceri.

Nell’ultimo decennio, l’aumento della popolazione carceraria italiana e il conseguente sovraffollamento degli istituti di pena ha contribuito ad un notevole deterioramento delle qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà. In una cella, dove sarebbe previsto il soggiorno di soli due detenuti, ve ne alloggiano normalmente sei e, nel peggiore dei casi, otto. Questa condizione ha favorito, oltre evidenti disagi per i detenuti e per lo stesso personale, il proliferare di malattie, una vera e propria emergenza sanitaria anche per tutti coloro che vivono e lavorano in carcere. Infatti, secondo la “Simpse”, la Società italiana di medicina penitenziaria, i tossicodipendenti sono il 32 per cento, a questi va aggiunto che il 27 per cento dei detenuti ha un problema psichiatrico, il 17 per cento ha malattie osteoarticolari, il 16 per cento cardiovascolari e circa il 10 per cento problemi metabolici e dermatologici. Tra le malattie infettive, è l'Epatite C la più frequente (32,8 per cento), seguita da Tbc (21,8 per cento), Epatite B (5,3 per cento), Hiv (3,8 per cento) e sifilide (2,3 per cento). L’invivibilità del carcere acutizza o provoca anche patologie psicofisiche, insonnia, depressione e anoressia.

Va inoltre notato come in Italia, alla base dell’attuale condizione carceraria, vi siano anche fattori di distorsione a livello legislativo e giudiziario (troppi reati, troppe pene detentive e insufficienti meccanismi sanzionatori alternativi, troppe cautele) che richiedono correttivi, a diversi livelli e in diversi settori dell’ordinamento. Non può essere sufficiente il solo ampliamento della capienza carceraria di 11.500 posti (come previsto nel piano carceri approvato), posto che gli interventi di edilizia penitenziaria richiedono comunque tempi attuativi che vanno al di là dei limiti temporali imposti dalle esigenze umanitarie dei detenuti e comunque fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

È da apprezzare che il Parlamento abbia adottato una serie di misure legislative volte a ridurre il numero dei reclusi in carcere, attraverso interventi tanto di diritto penale quanto di diritto processuale penale e relativi all’ordinamento penitenziario, così come l’aver approvato una legge in tema di pene detentive non carcerarie, depenalizzazione e messa alla prova.

 

I suicidi in carcere

Non possono essere ignorate le statistiche che ci dicono di un aspetto drammatico che va considerato all’interno della criticità complessiva della situazione carceraria. Di seguito si riportano, in serie storica, dal 1992 al dicembre 2014, i dati sui decessi in carcere.

 

 

(*) media aritmetica dei detenuti presenti a fine mese

(**) il flusso degli entrati dalla libertà può includere più volte lo stesso individuo

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica

Nella definizione di Eventi Critici rientrano diverse categorie di fenomeni con un denominatore comune: "mettere a rischio la propria o altrui incolumità e più in generale la sicurezza all'interno degli istituti penitenziari". La rilevazione dei dati sugli Eventi Critici nasce nella prima metà degli anni 90, progettata come indagine statistica di dati aggregati presso gli istituti penitenziari per monitorare le situazioni a rischio. A partire dall'anno 2011 l'indagine è stata sostituita dall' elaborazione dei dati presenti nel sistema informativo Eventi Critici, in uso presso l'Ufficio per l'Attività Ispettiva e del Controllo - Sala Situazioni

 

 

 

 

 

Alcuni dei principali interventi approvati dal Parlamento  

Consideriamo ora alcuni aspetti positivi che intendono affrontare le criticità. Nell’intervenire il Parlamento ha seguito alcune linee di orientamento. Queste possono essere indicate nella deflazione carceraria e ripristino di condizioni detentive adeguate alla dignità delle persone ospitate; nella efficienza della giustizia penale e civile tramite meccanismi di snellimento, semplificazione; nella protezione adeguata ai diritti delle persone, specie di quelle più vulnerabili (minori, donne, detenuti, ecc.) tramite misure di carattere civile, penale e amministrativo.

Il decreto legge n.78/2013 (convertito con legge n.94/2013), ha “smontato” gli automatismi introdotti in campo penitenziario dalla legge ex Cirielli.

Il decreto legge n. 92/2014 ha modificato l'art. 275 del codice di procedura penale, sui criteri  di  scelta  delle misure   cautelari,   in   modo  da   limitare  il   ricorso  alla custodia cautelare in carcere. In particolare, in base al nuovo comma 2-bis: è esteso anche agli arresti   domiciliari   il   divieto   di  disporre   la custodia cautelare in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena; è introdotto il divieto   di   applicazione   della   custodia   cautelare   in   carcere   se il giudice   ritiene   che,   all'esito   del   giudizio,   la   pena   detentiva   irrogata non sarà superiore  a  3  anni. Alcune modifiche legislative approvate nell'attuale legislatura hanno interessato le pene previste per i reati di produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti: un'elevata percentuale della popolazione carceraria è infatti detenuta in relazione a quel tipo di reati.

Il decreto legge n. 78/2013, in particolare, è intervenuto sull'articolo  73 del TU stupefacenti (Dpr n. 309 del 1990), per consentire al condannato tossicodipendente o assuntore di sostanze   stupefacenti o psicotrope di essere   ammesso al lavoro   di pubblica utilità, anche in caso di commissione di reati diversi da quelli di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Il decreto legge n. 146/2013 ha poi trasformato in autonoma fattispecie  di   reato  la circostanza attenuante del delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti (cd. attenuante di lieve entità , art. 73 del testo unico stupefacenti), determinando così l'effetto di riduzione della pena per le fattispecie di minore gravità (es. il piccolo spaccio) e la loro sottrazione alla comparazione delle circostanze da parte del giudice.

 

Le fattispecie penali contenute nel TU stupefacenti rivestono carattere essenziale nella politica di riduzione del sovraffollamento carcerario: le statistiche penitenziarie dimostrano infatti come i detenuti (condannati o in custodia cautelare) per violazione degli artt. 73 e 74 del TU rappresentino storicamente circa 1/3 del totale.

I dati più recenti confermano tale proporzione, nonostante la diminuzione in valore assoluto dei detenuti per violazione del TU: nel 2011 erano 27.459, alla fine del 2014 erano 18.946, a giugno 2015 erano 18.312.

 

 

Sulla materia è intervenuto poi il decreto legge n. 36 del 2014, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, che ha previsto: un abbassamento delle pene previste per il c.d. piccolo spaccio; il ripristino della disposizione (comma 5 -bis dell'art. 73) che consente al giudice, in caso di condanna per un fatto di lieve entità, di applicare al tossicodipendente, in luogo della pena detentiva, il lavoro di pubblica utilità.

 

Modifiche all’ordinamento penienziario

Il decreto legge 78/2013, come è noto, interviene in tema di misure sulla esecuzione della pena; in particolare,ha previsto la possibilità per   i detenuti e gli   internati di partecipare, a titolo volontario e gratuito, all'esecuzione di progetti di pubblica utilità; ha soppresso il divieto di concessione della detenzione domiciliare tra i 3 e i 4 anni di pena (anche residua) nei confronti dei condannati recidivi reiterati; ha, inoltre, eliminato le preclusioni di natura oggettiva all'accesso a misure alternative alla detenzione in caso di denuncia o condanna per evasione  e ha abrogato le disposizioni che limitavano la concessione ai recidivi reiterati della semilibertà.

Con il decreto legge 146/2013 (diritti dei  detenuti  e  sovraffollamento  carcerario)  sono  state introdotte ulteriori modifiche: in particolare è  stato abrogato il divieto di disporre per più di due volte l'affidamento terapeutico al servizio sociale; è stato portato da tre a quattro anni il limite di pena, anche residua, per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale, con più ampi poteri del magistrato di sorveglianza per la sua applicazione; è stata stabilizzata – venendone meno il carattere transitorio – la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche  se parte residua di maggior pena; è stato esteso l'ambito applicativo dell'espulsione come misura alternativa alla detenzione, prevista dal testo unico immigrazione.

Sul fronte dei diritti dei detenuti, ancora il decreto legge 78/2013, citato, ha favorito il reinserimento lavorativo degli ex detenuti, con l'ampliamento del periodo successivo allo stato di detenzione nel quale sono concessi gli sgravi contributivi (l'aumento è di 18 mesi per i detenuti che hanno usufruito di misure alternative o del lavoro esterno; di 24 mesi per quelli che non ne hanno beneficiato) e con la concessione alle imprese che assumono detenuti di un credito d'imposta (350 euro per ogni assunto).

 

Altre modifiche al codice di procedura penale, tutte dirette a ridurre il sovraffollamento carcerario, sono state apportate dal decreto-legge 78/2013, che ha, in particolare, innalzato

da 4 a 5 anni il limite della pena che consente l'applicazione della custodia cautelare in carcere (che può dunque essere disposta solo per reati per i quali è prevista una pena non

inferiore nel massimo a 5 anni, oltre che per i reati concernenti il finanziamento illecito dei

partiti, di cui all'articolo 7 della legge n. 195 del 1974).

 

Il decreto-legge 146/2013 è ulteriormente intervenuto con analoghi obiettivi, prescrivendo

al giudice di imporre l'uso del c.d. braccialetto elettronico tanto in sede di applicazione

della misura cautelare degli arresti domiciliari, quanto in sede di applicazione della misura

alternativa della detenzione domiciliare. Il giudice potrà derogare all'uso del braccialetto solo quando non ne ravveda la necessità.

Tale provvedimento ha inoltre introdotto l'istituto della liberazione anticipata speciale, che porta da 45 a 75 giorni per semestre - per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 24 dicembre 2015 - la detrazione di pena già prevista per la liberazione anticipata ordinaria in favore del condannato che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione.

Da ultimo, il decreto-legge n. 92/2014 ha modificato l'art. 275 del codice di procedura penale, sui criteri di scelta delle misure cautelari, in modo da limitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere. In particolare, in base al nuovo comma 2-bis: è esteso anche agli arresti domiciliari: il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena; è introdotto il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a 3 anni. Nel corso dell'esame parlamentare del decreto sono state introdotte deroghe a tale ultimo divieto. Si è previsto, infatti, che è possibile adottare la custodia in carcere nel caso di procedimenti in ordine a specifici delitti di particolare allarme sociale (si tratta, tra gli altri, dei reati di associazione mafiosa, terrorismo, sequestro di persona a scopo di estorsione, reati associativi finalizzati al traffico di droga o di tabacchi, riduzione in schiavitù, tratta di persone, omicidio, prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale semplice e di gruppo, atti sessuali con minorenni, incendio boschivo, maltrattamenti in famiglia, stalking, furto in abitazione e furto con strappo). Allo stesso modo, si potrà adottare la custodia cautelare in carcere quando non possano essere disposti gli arresti domiciliari per mancata disponibilità di uno dei luoghi di esecuzione della misura (abitazione o altro luogo di privata dimora ovvero un luogo pubblico di cura e assistenza o una casafamiglia protetta). Tramite la salvaguardia dell'applicabilità dell'art. 276, comma 1-ter, c.p.p., è poi resa comunque possibile l'applicazione in via sostitutiva della custodia cautelare a seguito della revoca degli arresti domiciliari in caso di trasgressione delle prescrizioni connesse.

 

Il decreto legge 146/2013 (diritti dei detenuti e sovraffollamento carcerario) ha invece previsto maggiori garanzie per i soggetti reclusi nel procedimento di reclamo in via amministrativa e in quello giurisdizionale davanti alla magistratura di sorveglianza, presso la quale è previsto anche un giudizio per assicurare l'ottemperanza dell'amministrazione penitenziaria alle prescrizioni del giudice. Lo stesso decreto ha istituito, presso il Ministero della giustizia del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà  personale, una procedura semplificata nella trattazione di alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza.

 

Da ultimo, il decreto legge n. 92/2014 ha inserito nell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) l'articolo  35 - ter   attraverso   il   quale   si   attivano,   a   favore   di   detenuti   e internati, rimedi  risarcitori   per la violazione dell'art. 3 della Convenzione EDU, disposizione che, sotto la rubrica "proibizione della tortura", stabilisce che "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

 

Misure alternative pre-sentenza

Accanto agli interventi ora richiamati, vanno considerati per la loro efficacia provvedimenti alternativi pre-sentenza, anche se sull’istituto della messa alla prova, strumento alternativo al processo penale, introdotto dal legislatore (con la legge 67/2014), non disponiamo ancora di sufficienti dati applicativi (al 30 settembre 2014 solo 18 applicazioni a fronte di 3.237 indagini per messa alla prova). Indubbiamente affinché la messa alla prova con affidamento ai servizi sociali funzioni è necessario disporre di convenzioni che rendano utile agli enti l’impiego di questa particolare forza lavoro. Nei limitati casi in cui l’istituto è stato sinora applicato, si sono infatti rilevate forti differenze territoriali: se in alcuni circondari di tribunale, penso soprattutto a Torino, l’istituto ha funzionato perfettamente, in gran parte del Paese l’assenza di convenzioni per il lavoro di pubblica utilità ha reso pressoché impossibile offrire all’indagato questa possibile alternativa al processo e alla condanna.

 

Altre considerazioni merita l’istituto degli arresti domiciliari. Con la finalità di ridurre la presenza nelle carceri, infatti, il parlamento in questa legislatura ha potenziato l’istituto, alternativo alla custodia cautelare in carcere, accompagnando la misura con particolari modalità di controllo, mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si tratta, in particolare, del c.d. braccialetto elettronico, ovvero di uno strumento che consente alle autorità di localizzare il soggetto sottoposto a misura, per verificare che effettivamente non si allontani dal proprio domicilio. La misura, prevista dall’art. 275-bis del codice di procedura penale, presuppone il consenso dell’interessato e la disponibilità di un numero adeguato di dispositivi elettronici. La disposizione del codice prevede infatti che il giudice debba preliminarmente accertare la disponibilità dello strumento da parte della polizia giudiziaria. Laddove tali dispositivi fossero effettivamente disponibili in numero adeguato (e a costi ragionevoli), la misura degli arresti domiciliari potrebbe essere efficacemente utilizzata in sostituzione delle custodia cautelare in carcere.

 

 

Misure alternative alla detenzione

Altro campo di intervento dell’azione parlamentare riguarda la progettazione delle misure alternative alla detenzione alle quali, da ultimo con la recente legge n. 67 del 2014, è stato aggiunto l’istituto della sospensione del processo penale con messa alla prova.

 

La legge n. 67, approvata il 28 aprile 2014, tratta i seguenti temi:

1. delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie. Il provvedimento prevede che il Governo debba, entro gennaio 2015 (termine scaduto), riformare il sistema delle pene, eliminando l'attuale pena dell'arresto e introducendo nel codice penale, e nella normativa complementare, pene detentive non carcerarie(reclusione presso il domicilio e arresto presso il domicilio), di durata continuativa o per singoli giorni settimanali o fasce orarie, da scontare presso l'abitazione (art. 1).

2. delega al Governo per la disciplina della non punibilità per tenuità del fatto, da applicare a tutte le condotte punite con la sola pena pecuniaria (ammenda o multa) o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni, nelle ipotesi di particolare tenuità dell'offesa e di non abitualità del comportamento. Il Governo ha attuato la delega con l'emanazione del decreto legislativo n. 28 del 2015.

 

3. delega al Governo ad operare una articolata depenalizzazione (entro novembre 2015),

trasformando in illeciti amministrativi numerose fattispecie di reato (art. 2).

 

4. disciplina, anche nel processo penale ordinario, della sospensione del procedimento

penale con messa alla prova dell'imputato. La legge ha inserito, tra le cause estintive del reato, questo particolare procedimento che consente - nei procedimenti per reati puniti con

pena pecuniaria, ovvero con reclusione fino a 4 anni, ovvero per uno dei reati in relazione a quali l'articolo 550, comma 2, c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio - all'imputato di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La misura consiste in condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ove possibile in misure risarcitorie del danno, nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale e

nella prestazione di lavoro di pubblica utilità (art. 3 e ss.).

 

 

Dati al 31 ottobre 2013

Indagine per messa alla prova

9.397

Messa alla prova

5.630

 

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure alternative

 

 

5. disciplina della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 9 e ss.), eliminando ogni riferimento all'attuale istituto della contumacia e prevedendo che a fronte dell'assenza dell'imputato, il giudice debba disporre con ordinanza la sospensione del processo. Alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione, e per ogni anno successivo, il giudice disporrà nuove ricerche dell'imputato per la notifica dell'avviso. Se le ricerche hanno esito positivo l'ordinanza è revocata, il giudice fissa la data per la nuova udienza, e l'imputato può richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento.

Durante l'irreperibilità dell'imputato, il corso della prescrizione è sospeso.

 

 

La legge 67/2014, ora richiamata per la messa alla prova riferita agli adulti, ha nella sua prima parte delegato il governo circa la reclusione domiciliare come nuova pena principale e indicati i casi in cui può essere dichiarata l'irrilevanza del fatto. La reclusione domiciliare non può considerarsi una soluzione ottimale, se non vengono previsti strumenti che permettono  anche in questa modalità di esecuzione della pena un fine rieducativo e la possibilità di un reinserimento nella società, in tal senso, c è da augurarsi che la delega venga interpretata nel modo migliore possibile cercando ad esempio di prevedere modulabilità da parte del giudice nel superamento di  un ottica  puramente custodalistica.

 

Statistiche sulle misure alternative

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa per mezzo della Raccomandazione (92)16, rifacendosi al termine anglosassone community sanction, fornisce la seguente definizione di misura/sanzione alternativa o di comunità: «sanzioni e misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso l'imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore». Tale nozione designa le sanzioni decise da un tribunale o da un giudice e le misure adottate prima della decisione che impone la sanzione o al posto di tale decisione, nonché quelle consistenti in una modalità di esecuzione di una pena detentiva al di fuori di uno stabilimento penitenziario. Tutte le amministrazioni occidentali, compresa quella italiana, incaricate di tale parte dell'esecuzione penale condividono tale definizione.

Le misure alternative alla detenzione o di comunità, consistono nel seguire un determinato comportamento, definito possibilmente d'intesa fra il condannato e l'ufficio di esecuzione penale esterna che lo abbia preso in carico; il contenuto del comportamento da assumere è ciò che viene normalmente indicato come un "programma di trattamento", espressione applicabile anche ai condannati posti in misura alternativa o di comunità.

In Italia, le misure alternative alla detenzione o di comunità vengono introdotte dalla legge sull'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975); la competenza a decidere sulla concessione delle stesse è affidata al Tribunale di sorveglianza.

Le misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario sono la semilibertà, le diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale.

 

Dati statistici al 31 ottobre 2015

(Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure alternative)

 

 

A seguito della sentenza e della condanna definitiva sono previsti i seguenti istituti:

 

L’affidamento in prova al servizio sociale. Disciplinato dall'art. 47 O.P., consiste nell'affidamento del condannato ad un servizio sociale fuori dall'istituto, per un periodo corrispondente alla pena da scontare. La misura può essere concessa soltanto ai condannati a pena detentiva non superiore a 3 anni. Il recente decreto-legge n. 146 del 2013 ha stabilito che l’affidamento in prova può essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a 4 anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, un comportamento tale da consentire di esprimere un giudizio positivo sul buon esito dell’affidamento. Alla data del 31 ottobre 2015, risultano affidati ai servizi sociali 11. 918 persone.

 

La detenzione domiciliare. Una modalità di esecuzione extracarceraria della pena detentiva: essa consente, a determinate categorie di soggetti, se non è già stato disposto l'affidamento in prova al servizio sociale, di espiare la reclusione non superiore a 4 anni (ovvero non superiore a 3 anni in caso di recidiva reiterata ex art. 99, co. 4, c.p.).

 

La detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori. La detenzione domiciliare speciale è volta a permettere l’assistenza familiare ai figli di età non superiore a 10 anni da parte delle madri condannate quando non sia possibile l’applicazione della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter O.P. (v. sopra).

 

 

 

L’esecuzione domiciliare. Con il decreto-legge n. 146 del 2013 è stata stabilizzata nell’ordinamento la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena.

 

La semilibertà. In base all’art. 48 O.P., consiste nella concessione all'internato o al condannato di trascorrere fuori dall'istituto carcerario parte del giorno per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. Tali soggetti sono assegnati ad appositi istituti carcerari o sezioni di essi e indossano abiti civili.

 

Libertà vigilata. Non è una vera e propria misura alternativa alla detenzione, quanto una misura di sicurezza personale non detentiva e consiste nella limitazione della libertà personale del soggetto posta in essere dall’autorità giudiziaria attraverso una serie di prescrizioni tese a impedire la commissione di nuovi reati e favorire il reinserimento sociale.

 

Infine un ultimo istituto su cui vorremmo soffermarci maggiormente è il lavoro, è un tema su cui torneremo :

 

Lavoro di pubblica utilità. È una sanzione penale consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato. La prestazione di lavoro viene svolta a favore di persone affette da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari; oppure nel settore della protezione civile, della tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato. L’attività viene svolta presso gli Enti che hanno sottoscritto con il Ministro, o con i Presidenti dei Tribunali delegati, le convenzioni previste dall’art. 1 comma 1 del D.M. 26 marzo 2001, che disciplinano le modalità di svolgimento del lavoro, nonché le modalità di raccordo con le autorità incaricate di svolgere le attività di verifica. Originariamente, la sanzione era prevista nei procedimenti di competenza del giudice di pace; lo spettro di applicazione della sanzione è stato successivamente allargato a numerose e diverse fattispecie penali, che hanno configurato il lavoro di pubblica utilità come una modalità di riparazione del danno collegata all’esecuzione di diverse sanzioni e misure penali, che vengono eseguite nella comunità.  Attualmente trova applicazione anche:

·         nei casi di violazione del Codice della strada;

·         nei casi di violazione della legge sugli stupefacenti;

·         come obbligo dell’imputato in stato di sospensione del processo e messa alla prova (v. sopra);

·         come obbligo del condannato ammesso alla sospensione condizionale della pena;

·         come modalità di attuazione del programma di trattamento del detenuto ammesso al lavoro all’esterno.

Quando il lavoro è comminato come sanzione, l’Ufficio di esecuzione penale esterna può essere incaricato dal giudice, di verificare l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa a favore della collettività, eseguita presso gli Enti convenzionati. Più specifici sono i compiti dell’Ufficio di esecuzione penale esterna nei casi di sospensione del procedimento e messa alla prova. L’Ufficio concorda con l’imputato la modalità di svolgimento dell’attività riparativa, tenendo conto delle sue attitudini lavorative e delle specifiche esigenze personali e familiari, e raccordandosi con l’ente presso cui sarà svolta la prestazione gratuita. Il lavoro di pubblica utilità diventa parte integrante e obbligatoria del programma di trattamento per l’esecuzione della prova che è sottoposto alla valutazione del giudice nel corso dell’udienza.

 

Ulteriori interventi: La legge n. 47 del 2015

Su questo quadro normativo si è innestata la recente legge 16 aprile 2015, n. 47, che delimita ulteriormente l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l'applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione.

La legge (articoli 1 e 2) delimita la discrezionalità del giudice nella valutazione delle esigenze cautelari. A tal fine: è introdotto il requisito dell'attualità - e non solo della concretezza - del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato; è escluso che attualità e concretezza del pericolo possano essere desunti esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede.

Si conferma (articolo 3) il carattere residuale del ricorso al carcere: tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.

Quanto all'applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità (articolo 4), la presunzione di idoneità della custodia in carcere continua a operare solamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (art. 270-bis c.p.) e associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.).

Per altri reati gravi – tassativamente individuati – tra cui i reati di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale – è possibile applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure.

Il provvedimento elimina (articoli 5 e 6) l'automatismo del ricorso alla custodia in carcere quando l'indagato abbia già violato gli arresti domiciliari o sia in passato già evaso: anche in questi casi, infatti, il giudice può comunque decidere di applicare gli arresti domiciliari se ritiene che la trasgressione fosse di lieve entità e che tale misura soddisfa comunque le esigenze cautelari.

Inoltre, nell'ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può anche applicare congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva(articolo 9).

La legge rafforza gli obblighi di motivazione a carico del giudice che dispone la misura cautelare. Infatti, il giudice, nell'ordinanza con la quale applica la misura, deve: se dispone la custodia in carcere, spiegare i motivi dell'eventuale inidoneità ad assicurare le esigenze di cautela degli arresti domiciliari con uso dei cd. Braccialetti elettronici (articolo 4); fornire una autonoma valutazione sia delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi alla base della misura restrittiva sia delle concrete e specifiche ragioni per le quali le indicate esigenze di cautela non possono essere soddisfatte con altre misure (articolo 8). Si intendono così evitare motivazioni delle esigenze cautelari “appiattite” su quelle del PM richiedente. La mancanza di "autonoma valutazione" è considerata motivo di annullamento dell'ordinanza cautelare in sede di riesame.

Quanto al procedimento, è aumentato da 2 a 12 mesi il termine massimo di efficacia delle misure interdittive e delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare (articolo 10); è modificato, con più ampie garanzie per l'imputato, il procedimento di riesame presso il tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva (articolo 11). L'udienza camerale - alla quale l'imputato può chiedere di apparire personalmente - se ricorrono giustificati motivi, può essere differita dal tribunale, su richiesta dell'imputato, per un minimo di 5 ed un massimo di 10 giorni. Se i termini prescritti per la trasmissione degli atti o per il deposito dell'ordinanza che decide il riesame (30 giorni) non sono rispettati, perde efficacia l'ordinanza che dispone la misura coercitiva e non può essere rinnovata, se non in caso di eccezionali esigenze cautelari; è precisato che anche l'ordinanza che decide sull'appello al tribunale del riesame deve essere depositata in cancelleria entro 30 gg. dalla deliberazione; sono disciplinati i tempi della decisione che fa seguito all'annullamento con rinvio, da parte della Cassazione, dell'ordinanza che dispone la misura cautelare. Anche in questo caso, al mancato rispetto dei termini prescritti fa seguito la perdita d'efficacia della misura; è stabilito che l'interrogatorio debba avvenire non oltre 10 giorni dall'esecuzione della misura o dalla sua notificazione, se la misura interdittiva a carico del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio è disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal PM (articolo 7).

Il provvedimento prevede in fine (articolo 15) un obbligo di relazione annuale del Governo al Parlamento, contenente informazioni e dati concernenti le misure cautelari, distinte per tipologia e con i relativi esiti, adottate nell'anno precedente.

A seguito di tutti questi interventi sulle misure cautelari, oggi, i detenuti in attesa di giudizio sono 17.856 (circa 7 mila in meno rispetto all'inizio della legislatura).

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

 

(1) Nella categoria "misto" confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva. La categoria "da impostare" si riferisce ad una situazione transitoria. È infatti relativa a quei soggetti per i quali è momentaneamente impossibile inserire nell'archivio informatico lo stato giuridico, in quanto non sono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari.

Provvedimenti in corso d’esame

Si segnala, infine, che il disegno di legge del Governo AC. 2798, Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, prevede all'art. 26 una serie di principi e criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario.

L'articolo 26 contiene una delega diretta a modificare l'ordinamento penitenziario, secondo una serie di principi e criteri direttivi:

a) semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione di quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione;

b) revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi che con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse;

c) eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi che per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione ai benefici penitenziari per i condannati alla pena dell'ergastolo;

d) previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario che in misura alternativa;

e) maggiore valorizzazione del lavoro, in ogni sua forma intramuraria ed esterna, quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale dei condannati;

f) previsione di un più ampio ricorso al volontariato sia all'interno del carcere, sia in collaborazione con gli Uffici di esecuzione penale esterna;

g) disciplina dell'utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, nel rispetto del diritto di difesa, sia per favorire le relazioni familiari;

h) riconoscimento del diritto all'affettività delle persone detenute e delle condizioni generali di esercizio;

i) adeguamento delle norme di ordinamento penitenziario alle esigenze rieducative dei detenuti minori di età.

 

Il processo civile telematico

 

Come già abbiamo notato nel precedente Rapporto, va colto il segnale positivo introdotto dal processo civile telematico, in termini di funzionamento della macchina della giustizia, che registra una drastica riduzione dei tempi per alcune tipologie di cause e di effettive economie. La normativa introdotta, ultimo in ordine di tempo il d.l. 24 giugno 2014, indica una linea di tendenza che potrà comportare a breve ulteriori norme rivolte all’accelerazione processuale.

Ulteriori provvedimenti sono contenuti nella recente Legge di stabilità, tra questi ricordiamo il Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, oltre al completamento del processo telematico (art. 10). Da segnalare anche il trasferimento allo Stato, a partire dal 1° settembre 2015, dell’obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari, al presente a carico dei comuni (art. 38). Nell’insieme si tratta di alcuni passi che vanno verso un disegno complessivo che passa per aspetti funzionali e processuali e per aspetti amministrativi e organizzativi, tutti rivolti a promuovere una maggiore efficienza del sistema giudiziario.

Vorremmo infine mettere in evidenza due temi tra i molti che segnano una situazione di emergenza.

 

Una scommessa importante: lavoro in carcere e percorso educativo

 

Il tema del lavoro in carcere, che abbiamo già introdotto, può essere considerato da varie angolature e in primo luogo va difeso dicendo con chiarezza che  le vicende romane, che hanno riguardato un ex-detenuto e una cooperativa sociale che dà lavoro a molti ex-detenuti, non possono mettere in discussione una politica trentennale tesa al recupero e al reinserimento dei carcerati, tanti dei quali stanno davvero cogliendo questa opportunità. Altrimenti sarebbe un terribile passo indietro.

Ciò su cui dobbiamo concentrare l’attenzione è la funzione rieducativa del lavoro e l’effetto che può portare sui carcerati, sulla qualità quotidiana della loro vita e nel far nascere e crescere le possibilità di un reinserimento al termine della pena. Così come andrà maggiormente considerata la possibilità di un’economia complessiva della struttura carceraria grazie al lavoro che può favorire non pochi aspetti di autogestione della struttura.

L’esperienza di questi anni fatta attraverso le molte reti di volontariato che operano accanto e all’interno della struttura carceraria, sottolinea un’evidenza:  il lavoro è educativo se contestualizzato all'interno di un percorso educativo ove, oltre al lavoro, c'è da parte di qualcuno la presa in carico del detenuto. Ancora l’esperienza segnala come, in una prima fase di questo percorso, un'attività ergoterapica gratuita sia necessaria per far riconoscere al detenuto la necessità di risarcire la società che attraverso il suo reato ha ferito. In un secondo momento, però, è necessario che vicino alla data del fine pena, la persona venga posta nelle condizioni concrete di potere lavorare e che tale lavoro contribuisca a non delinquere più e a diminuire i rischi di recidiva.

Tale risultativo si può solo sperare se è possibile assicurare un lavoro retribuito.

In alcune strutture, si sperimenta una prima fase gratuita, professionalizzante e con lo scopo risarcitorio, e successivamente si offre la possibilità di cercare lavoro, consentendo di abitare presso la struttura per qualche mese. Anche alla luce di questa esperienza ci si può chiedere se non vi sia uno squilibrio tra gli sgravi fiscali per il lavoro all'interno del carcere e quelli all'esterno; ad esempio, il credito d'imposta del 35% solo a chi lavora dentro il carcere o a chi è in semilibertà o articolo 21, escludendo gli affidamenti. Tale differenza di sgravi rende più difficile la possibilità di lavoro per coloro che sono stati posti o in affidamento ai servizi sociali o comunque liberati. Inoltre questi sgravi sono previsti per le cooperative sociali, ma vengono escluse dal beneficio imprese che non abbiano quella natura, in tal modo si esclude una parte consistente del mondo imprenditoriale, restringendo le possibilità per il detenuto che da  libero cerca lavoro.

In alcune realtà carcerarie, specie in presenza di pene che comportano una lunga detenzione, può essere importante creare, garantire e mantenere un lavoro continuativo e retribuito, affinché il detenuto possa dare senso alla pena e costruire all’interno delle mura del carcere relazioni umane,  attraverso il lavoro, anche con il mondo esterno.

Più in generale, alla luce di quanto detto, si evidenzia la necessità di superare una mentalità ancora carcerocentrica e di operare scelte legislative che favoriscano per le pene alternative la valorizzazione, per il loro potenziale educativo, di strutture e comunità educanti dove il  lavoro e la formazione siano centrali nel loro progetto.

A tal proposito andrebbe affrontato il capitolo, che qui possiamo solo accennare, del riconoscimento amministrativo e istituzionale delle comunità educanti per detenuti comuni, sparse nel territorio nazionale; capitolo che non viene sostenuto né valorizzato a sufficienza e spesso relegato in una generale indifferenza. Sarà opportuno intervenire in proposito sui decreti attuativi così da permettere alle varie comunità  di sopravvivere e di diffondersi come chiede , tra l'altro,   la rete  “certezza del recupero”.

Superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG): a che punto siamo

Nel corso del 2015 il processo di superamento degli OPG ha avuto la sua applicazione, pur fra ritardi dovuti a cause molto diverse tra loro.

In particolare nel mese di ottobre Governo ha inviato lettera di diffida alle regioni Veneto, Piemonte, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Calabria e Puglia, per vincolarle, con una diversa tempistica determinata sulla base del diverso grado di adempimento al disposto normativo delle legge 81 del 2014, alla realizzazione delle REMS nel proprio territorio e ad adeguarsi alla normativa vigente, essendo il termine ultimo scaduto il 1 aprile 2015.

È necessario analizzare le cause di questa situazione e, superando gli eventuali  ricorsi giudiziari alle REMS, è opportuno mettere insieme i dati per confrontare la discrepanza tra la domanda e l’offerta. è auspicabile che tutte le parti in causa operino a livello regionale costituendo un tavolo strutturato sull’esempio dell’Organismo di coordinamento del processo di superamento degli OPG, da due anni in attività presso il Ministero della Salute e presieduto dal Sottosegretario, con scambio e condivisione delle problematiche.

È necessario riportare a regime – così come sostenuto dall’organismo di coordinamento – i flussi in entrata e in uscita dalle REMS, quindi la collaborazione tra la magistratura e i responsabili dei DSM è fondamentale per utilizzare ove possibile i percorsi terapeutico riabilitativi alternativi.

Per quanto concerne un quadro analitico delle diverse Regioni destinatarie di diffida si può rilevare quanto segue.

Il Piemonte dal 22 ottobre ha la struttura pronta a Bra, con 18 posti, di cui 17 occupati da pazienti provenienti da Castiglione, mentre l’altra struttura di Grugliasco,  che diventerà REMS anche definitiva, con 20 posti, avrebbe dovuto aprire nel mese di novembre, ma per problemi di sicurezza ambientale, non si sa quando potrà essere attivata. La Campania rispetterà la scadenza della diffida a completare il percorso entro il 6 dicembre p.v. per la struttura definitiva di S. Nicola Baronia, con 40 posti, mentre Calvi sarà operativa a fine gennaio 2016. L’OPG di Napoli con Decreto del Ministero della Giustizia è stato soppresso il 30 settembre 2015.  Nell’OPG di Aversa sono rimasti solo 4 pazienti, fuori bacino, ed è già diventato Istituto penitenziario. Il Lazio ha attivato ad oggi 5 REMS. Quella di Ceccano è stata aperta il 2 novembre; manca il personale dei concorsi, già espletati, ma con l’arrivo dei fondi di parte corrente non ci dovrebbero più essere problemi e il 1 dicembre saranno disponibili 20 posti. Nel Veneto la REMS di Nogara con 40 posti non sarà disponibile prima dell’ottobre 2016. I pazienti sono attualmente a Castiglione e a Reggio Emilia. La Calabria avrà la REMS transitoria di S. Sofia pronta per il mese di gennaio, mentre per quanto riguarda la struttura definitiva di Girifalco sono in atto due ricorsi. La Toscana aprirà le strutture transitorie con 12 posti il 1 dicembre e con 10 posti il 1 gennaio, mentre la definitiva sarà pronta con 40 posti nel 2017, sempre a Volterra. Nel frattempo 32 pazienti sono inseriti nelle strutture intermedie attive e 19 persone sono state inserite nei progetti terapeutico riabilitativi individuali.

Uno dei problemi più rilevanti è costituito peraltro dalla situazione dei soggetti in attesa di esecuzione della misura di sicurezza, che al momento non possono essere inseriti nelle REMS, essendo esaurito il numero dei posti disponibili, anche fuori bacino.

All’inizio di novembre 2015, erano 432 i soggetti internati nelle REMS attive, mentre 199 sono ancora ospitati in OPG.

L’allungamento dei tempi di realizzazione delle REMS rispetto a quelli annunciati dalle Regioni è ormai ingiustificabile: vi è inoltre un aumento statistico e verificato degli ingressi dallo stato di libertà.

Positivo è comunque il lavoro fin qui svolto tra regioni e Ministeri, dove si rilevano progressi, fatti grazie anche al lavoro dei Dipartimenti di salute mentale. Si auspica un maggiore coordinamento tra i Direttori delle REMS.

Nei primi giorni di luglio 2015 sono stati attivati gli Stati generali di struttura penale. Il Sottosegretario e l’Organismo di coordinamento per il superamento degli Opg hanno potuto interloquire con il tavolo sulle misure di sicurezza, il cui scopo è tra gli altri quello di modificare sostanzialmente la legge e di evitare il paradosso che le persone internate subiscano ancora sofferenze ma che siano considerate realmente come pazienti da accompagnare in un percorso terapeutico.

Al momento sono allo studio diverse proposte operative sia in merito agli aspetti formativi che a quelli organizzativi per promuovere la più ampia collaborazione tra la magistratura e i Dipartimenti di salute mentale e sostenere così il processo di cambiamento e superamento degli OPG, ai sensi della legge 9/2012 e della legge 81/2014.

 

 

Conclusione

Malgrado gli sforzi prodotti e alcuni risultati raggiunti in merito alle gravi e disumane condizioni degli spazi all’interno delle carceri, rimane presente e centrale nella sua gravità, il tema della mancata funzione rieducativa del carcere. Non possiamo accettare un’idea di carcere solo come luogo di sofferenza senza speranza.

La nostra Costituzione all’art. 27 sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, tale principio non ha solo un valore etico e morale, ma ha anche un valore sociale-economico, il potere incidere su una evidente riduzione delle recidive, il rimettere nel circuito di un’economia legale questi cittadini costituisce un sicuro risparmio economico, ma ancora più importante che il reinserimento nel tessuto sociale comporta il venir meno di quelle realtà di emarginazione che possono fornire alibi e motivazioni di scelte sciagurate come quelle terroristiche che tante tragedie stanno causando in questi mesi.

Ma tale funzione rieducativa della pena necessita di risorse, di programmi, di operatori specializzati Vi è una notevole sproporzione tra la cifra complessiva spesa per i costi del personale e della struttura e quanto speso per il singolo detenuto per il trattamento della personalità e l’assistenza psicologica. È una sproporzione su cui è urgente intervenire anche in assenza di nuovi investimenti, puntando in prospettiva ad una diversa distribuzione delle risorse attuali. Tale sperequazione potrebbe in parte essere risolta differenziato i gradi di sorveglianza e laddove possibile, prevedere una sorveglianza attenuata; potenziare i sistemi di sorveglianza a distanza, tenendo conto in questi casi del rispetto della dignità del detenuto.

In tale ottica si rende necessario una maggiore partecipazione del volontariato che possa fornire supporto qualificato per una strategia complessiva per rendere effettivo il lavoro in carcere e fuori dal carcere, recuperare strutture esistenti (aule bunker) da dedicare ad esperienze lavorative, investire in percorso formativi che diano gli strumenti indispensabili per un inserimento lavorativo, intervenire culturalmente perché il mondo carcerario posa dialogare con la società civile.

L’iniziativa di Natale

L’occasione del Natale e delle festività può costituire un momento in cui riflettere anche sulle problematiche che, nel campo della giustizia così come in quello carcerario, toccano la vita di tante persone e la possibilità reale da un lato di un cammino che favorisca il reinserimento e dall’altro di una società che, pur non rinunciando al senso profondo di una pena corrispettiva ad una colpa, alimenta, anche attraverso il perdono e la giustizia, le dinamiche che consentono la convivenza pacifica.

Alla luce di questi aspetti ci impegniamo, personalmente e nell’attività parlamentare, in collaborazione con tante realtà, dal mondo scientifico a quello del volontariato, ad affrontare questo ambito delicato e complesso, accogliendo l’invito rivolto dal papa a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà a “migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà”.

 

Per quanto richiamato, i sottoscritti parlamentari si impegnano in prima persona a sostenere nelle aule parlamentari le soluzioni possibili della questione carceraria e come gesto simbolico, per esprimere pubblicamente la loro vicinanza, si recheranno nei giorni delle festività natalizie in visita in un carcere presente nel luogo di elezione o di residenza.

 

Comunicato Stampa 2015-2016

 

III Rapporto Giustizia e situazione carceraria