Draghi non è un regalo di Renzi

Martedì, 23 Febbraio, 2021

Renzi non fa che rivendicare l’approdo al governo Draghi come un suo capolavoro. Dopo la soluzione della crisi di governo, sulla Stampa, Massimo Recalcati, ha preso le difese di Renzi a suo dire oggetto di una corale e ingiusta colpevolizzazione per il suo spregiudicato protagonismo. Su un punto ha ragione Recalcati: non si può risolvere il giudizio sul comportamento di Renzi con la sua egolatria, con i suoi limiti caratteriali. Tuttavia mi pare che, a sua volta, Recalcati ceda alla tentazione di darne una lettura per lo più psicanalitica, tutta concentrata sul controverso rapporto tra Renzi e gli eredi della “ditta” Pci. Come di un figlio disconosciuto dal padre perché deciso a emanciparsi da lui. Personalmente lascerei stare la psicanalisi e mi atterrei a un più sobrio punto di vista politico. Mi riesce facile, non avendo io quell’ascendenza (non ho mai militato nel Pci- Pds-Ds, sono un nativo dell’Ulivo).

Giudico saggia e, in certo modo, obbligata la decisione di Mattarella, ho fiducia che il governo Draghi faccia bene. Ma Draghi non è un regalo di Renzi. Seguendo la logica semplicistica del “post hoc ergo propter hoc” dovremmo pensare che Renzi mirasse a riportare al governo Berlusconi e Salvini. Visto che anche questo è il risultato. Le cose sono più complesse. Al governo del Presidente si è approdati dopo avere, a mio avviso giustamente, cercato di ricomporre la vecchia maggioranza politica, che, per chi l’aveva sostenuta e persino propiziata (Renzi in primis), avrebbe dovuto rappresentare la via maestra. Sia perché i governi politici sono la regola, sia perché - questa la mia opinione - il governo Conte due aveva fatto anche cose buone, sia perché esso rappresentava il laboratorio di un’alleanza politica, la sola in concreto possibile per chi non voglia consegnare il paese alla destra senza neppure provare a competere. Già nella prossima primavera per le elezioni nelle grandi città. Palesemente Renzi la rottura l’ha cercata, agitando strumentalmente le questioni più diverse, anche le più eccentriche, nella logica del “più uno” (esemplare il caso del Mes, ieri dirimente, oggi svanito). Davvero vogliamo credere che l’accanimento polemico di Renzi contro Conte – fuor di ipocrisia, il suo vero bersaglio - sia stato così limpido e innocente o motivato solo da una rivalità personale  e non invece mirato a disarticolare quel processo politico, lavorando sulle divisioni interne al PD? Oggi, quando sembra si sia imboccata una buona strada, riesce facile a tutti ..... dirsi “draghiani”, ma - dovremmo convenire - ciò non ci esonera dal giudicare irresponsabile avere aperto una crisi al buio, che poteva precipitarci nel baratro, nel pieno di una situazione drammatica.

Renzi ha ragione nel chiedere di spersonalizzare la disputa e di “metterla in politica”. Ha meno ragione quando, come ha fatto sulla Stampa, si intesta l’eredità dell’Ulivo. Mi limito a tre profili che semmai testimoniano un deragliamento da quel solco: 1) una subalternità “fuori fase” al paradigma neoliberale, lo smarrimento della bussola della sinistra - uguaglianza e protezione sociale - quando già mordevano i costi della globalizzazione, l’avere fatto del PD il partito dell’establishment, contribuendo così ad accrescere nel popolo l’attrazione per i populismi montanti; 2) la presunzione dell’autosufficienza del PD, l’abbandono della politica delle alleanze cara all’Ulivo, che ha condotto il PD all’isolamento e alla disfatta del 2018; 3) il PDR, cioè il partito personale, con svilimento dei suoi organi di direzione politica e del suo radicamento sociale e territoriale. Per un tempo lungo Renzi l’ha fatta da padrone. Senza veri oppositori interni. Nessun leader PD ha mai goduto di un potere personale tanto grande. E’ del tutto priva di fondamento la narrazione secondo la quale la sua segreteria sarebbe stata osteggiata dall’interno. Basti solo rammentare la sua scelta nominativa dei parlamentari PD tuttora in carica . Non un piccolo problema per Zingaretti, come si è visto anche nel comportamento ondivago del PD dentro la crisi del Conte due. Per inciso: a proposito della mortificazione delle donne PD, basterebbe rammentare le loro pluricandidature “specchietto” in quelle liste per poi ripescare gli uomini fidati primi non eletti.