Draghi a grande richiesta, ma non basterà

Sabato, 13 Febbraio, 2021

C’era un tempo una canzone di Gaber che diceva “Il suo nome era Cerruti Gino, ma lo chiamavan Drago. Gli amici al bar del Giambellino dicevano che era un mago”. Il prof Draghi a differenza di quello della ballata di Gaber è un gran professionista, con reputazione internazionale ed una credibilità tale che è bastato il suo nome per far scendere lo spread. Chiamato in extremis al capezzale della smarrita politica italiana, è stato accolto da un osanna corale. Un osanna che rischia di diventare una trappola per il signor “what ever it takes”. Si sa ci sono precedenti illustri di passaggi in 24 ore dagli osanna alla croce.  Quindi sarebbe forse opportuno fare un ragionamento più complessivo che qui di seguito propongo di sviluppare.

Il momento politico economico attuale impone una riflessione che vada al di là del compito affidato dal Presidente Mattarella relativo alla pandemia –vaccini -NEXT GENERATION EU se desideriamo che si abbiano ricadute positive per il futuro del nostro Paese.  Infatti ciò che verrà predisposto avrà un impatto sugli investimenti non sufficiente se non sarà accompagnato da profonde riforme che non si fanno in due mesi e nemmeno in due anni e che richiedono consenso, per non ricadere nel riformismo del fare e disfare a cui abbiamo assistito in questi anni.

 Per sviluppare il mio ragionamento farò un breve richiamo storico al nostro recente passato che la dice lunga sull’italico carattere.

Le difficoltà italiane partono dalla fine degli anni sessanta dovute alla crescente fatica a reggere la competizione internazionale e lo sviluppo interno. Dopo la fine degli accordi di Bretton Woods (agosto 1971) la contemporanea fluttuazione dei cambi e l’aumento del prezzo del petrolio generarono in Italia due mali fino ad allora ritenuti antitetici: l’inflazione e la stagnazione. Tra il 1973 e il 1984 l’inflazione non scende mai sotto il 10%. In quegli anni i mercati internazionali si avviano a progressive liberalizzazioni e ad una finanziarizzazione sempre più spinta.

Iniziano in questo periodo gravi problemi occupazionali, aumento del debito pubblico, interventi di tutela dei processi produttivi a scapito di una maggiore concorrenza che avrebbe comportato investimenti in innovazione. I risparmi delle famiglie, particolarmente importanti in Italia, invece di dirigersi ai settori produttivi si incanalano nel debito pubblico. Dal 1975 spuntano i “BOT people” allettati da interessi sicuri, particolarmente elevati a causa dell’inflazione.  Nei “formidabili anni 80” parte la grande esplosione del debito pubblico (vedere grafico sottostante) nell’illusione che, in presenza di moderata inflazione (picco del 4,7% nel 1987) e quindi bassi interessi sul debito grazie all’introduzione dello SME (1979 Serpente Monetario Europeo) si potesse spendere allegramente. I problemi strutturali: assenza di riforme, bassi investimenti, preoccupante disavanzo delle partite correnti restano intatti anzi si aggravano.  Furono gli anni che Freccero ha definito caratterizzati dall’: “eutanasia del bene comune: un momento di liberazione, di eccitazione collettiva, una sorta di droga. L’io prese il posto del noi all’improvviso. Niente più impegno morale, preoccupazioni, si pensava solo a se stessi e solo al presente. Allora si stava bene, ma alla lunga un simile atteggiamento ha delle conseguenze. Le cose più appariscenti nascondono sempre un incubo” Nel 1990 l’inflazione è di nuovo in ripresa 6,5% e quindi costo del debito.

Il sistema delle imprese, che in Italia è particolarmente caratterizzato da dimensioni medio piccole, riesce a competere sui mercati principalmente grazie alle svalutazioni che verranno elegantemente chiamate “svalutazioni competitive”. 

 

 

fonte. Banca d’Italia

 

A febbraio del 1992 si firma il Trattato di Maastricht   dove si definiscono severi parametri di convergenza cui dovranno adeguarsi i paesi membri per entrare nell’unione monetaria. Ma divergenti politiche economiche tra Europa e Stati Uniti e incertezze nell’adozione del Trattato di Maastricht fanno piombare l’Italia assieme ad altre monete in una pesante crisi dei pagamenti. La lira perde il 20% e nessuno venne in soccorso. Iniziano severe e rigorose politiche monetarie e fiscali (governo Amato). Le attese inflazionistiche generate dall’uscita dallo SME e dal significativo deprezzamento del tasso di cambio dopo settembre 1992, che avrebbero riportato alla situazione economica degli anni ’70 in una spirale svalutazione→prezzi→salari→prezzi→svalutazione, furono disattese dalla sterilizzazione della scala mobile e dall’austerità delle manovre “lacrime e sangue” che comportò tra l’altro la disoccupazione a due cifre. 

Nonostante ciò le grandi riforme che si aspettavano non vedono la luce ed inizia una stagnazione che arriva fino a noi aggravata dalla crisi finanziaria (2008) e quella pandemica (2020).

Maastricht e l’entrata nell’euro (2002) hanno definitivamente tolto alla classe politica incapace di visione le due droghe che ad intervalli più o meno costanti somministravano al popolo italiano: debito pubblico e svalutazione monetaria in una illusione di sovranismo. L’illusione che la democrazia si tuteli solo con lo stampare moneta è una visione che ci porta verso la sudamericanizzazione dell’Italia la cui uscita non sono politiche sociali, ma politiche reazionarie.

La crisi economica del 1992 si concatena con quella politica. Sul versante politico il 1992 segna l’inizio di tangentopoli e il crollo dei partiti politici tradizionali. È in quegli anni e in quei contesti che Berlusconi sa trarre il massimo vantaggio contrabbandando un esuberante populismo per una seria rivoluzione liberale riuscendo a restare tra le diverse ed alterne vicende al centro dei pensieri degli amici e degli avversari. Per oltre un ventennio l’uomo è passato di miracolo in miracolo: salvato l’Italia dai comunisti, non aver messo le mani nelle tasche degli italiani, il “salvataggio” di Alitalia con i capitani coraggiosi, fino al patetico 2011 vantando di aver tenuto i conti dello stato in ordine con uno spread che volava a quota 500. Confalonieri dirà: “E’ stato trattato da bauscia e da ganassa, da ribaldo e da ignorante, da paria e da infrequentabile, ma guardatevi intorno, guardate l’Italia, la sua cultura, i suoi tic, il suo costume. Lui ha lasciato il marchio su questo paese. Berlusconi ha vinto.”

Sul versante della sinistra tra mutazioni e fusioni a freddo la più grave colpa è di non aver compreso a fondo le conseguenze della crescente onda della globalizzazione. Invece inforcavano spedita la via della liberalizzazione sul modello blairiano e clintoniano in una progressiva deindustrializzazione del paese, abbandonando definitivamente le vittime della stessa: operai, impiegati, giovani e donne, in una progressiva precarizzazione e proletarizzazione. In questo grande tradimento dei ceti popolari sta la crisi della sinistra riformista, il restringimento alle Ztl e la spinta dei sovranisti e dei populisti.

La miope logica tedesca ha fatto il resto.

La classe politica si è sostanzialmente dimostrata conservatrice dello statu quo, incapace di proporre una prospettiva ai propri elettorati abbarbicati ai privilegi, alle rendite, incollati su una nave che progressivamente va in secca. In compenso ha prodotto una enorme quantità di leggi elettorali ironicamente battezzate in latino dal politologo Sartori Mattarellum, Porcellum, Consultellum, Italicum, Democratellum, Verdinellum, Speranzellum, Grechellum, Provincellum, Legalicum e Rosatellum. Non potendo più ricorrere alle due leve del passato: svalutazione e debito pubblico, incapace di programmare ed attuare riforme ad eccezione delle leggi elettorali in tutti questi anni quando si è trovata di fronte a crisi inevitabili ha fatto ripetutamente ricorso ai tecnici: Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, Lamberto Dini nel 1995, e Mario Monti nel 2011.

Due di loro tentarono la via partitica Dini con Rinnovamento Italiano e Monti con Scelta Civica, entrambi senza particolari apprezzamenti da parte degli elettori.

Ora il nuovo governo Draghi sebbene più simile a quello di Ciampi sembra avere una sua caratteristica specifica e diversi elementi di novità positivi.

Ha riportato al rispetto della Costituzione con una decisa iniziativa propositiva del Presidente del Consiglio come recita l’art 93. Il rapporto tecnici politici è a favore dei primi per le tematiche economiche che incideranno sull’impostazione chiave del Piano Next Generation EU, ma non esclude totalmente la presenza politica. Qualcuno ha ironizzato sulla qualità, signori questi sono quelli votati dal popolo. Ha messo all’angolo i sovranisti antieuropeisti. Infine ma non irrilevante ha riportato nelle istituzioni uno stile e un’impostazione che ha messo in mora il carnevale della politica.

Ora quali i rischi? Il primo e più importante è proprio legato all’implementazione della digitalizzazione e alla transizione economica. La transizione ecologica non sarà una passeggiata! Pur essendo due strade obbligate, non solo perché sono imposte dai vincoli del finanziamento europeo, ma perché il futuro si colloca in quella direzione, non si può ignorare che la transizione energetica avrà degli effetti sociali importanti sul lavoro e l’occupazione almeno nel breve medio periodo. L’innovazione come studiò Schumpeter ha sempre con sé un carattere distruttivo, “la distruzione creatrice” e in attesa che si affermi la parte creatrice occorre intervenire a difesa di coloro che saranno espulsi. Soprattutto i lavoratori e le lavoratrici tra i 40 e 60 anni, molte professioni autonome saranno coinvolte e non tutti saranno riconvertibili anche con processi formativi. Quindi bisogna tenere presente che occorrerà governare questi fenomeni sociali altrimenti si scateneranno i problemi della globalizzazione in un contesto peggiore di quello precedente perché gravato già da due crisi consecutive (2008 e 2020).

Il secondo rischio è di prospettiva. Oltre al coro di osanna, ora sta partendo il coro molto più pericoloso di coloro che vogliono il professor Draghi Presidente della Repubblica. Modo molto elegante di toglierlo di mezzo. Promoveatur ut amoveatur. Fanno già i calcoli. Allo scadere del mandato a Sergio Mattarella 3 febbraio 2022, votiamo compatti Draghi e quindi fine del governo, elezioni e ritorno alla grande dei politici. Non illudiamoci saranno di meno ma gli stessi di prima, con il tasso di innovazione che ben conosciamo, pronti per il prossimo governo tecnico perché non dimentichiamolo nel frattempo il debito pubblico sarà ulteriormente accresciuto dalla pandemia e dai prestiti europei: sfiorerà i 2.700 miliardi di euro. Già si parla a livello europeo di ripristino delle clausole di stabilità!!!

Per evitare questa strada è indispensabile che il prof Draghi resti in politica in un modo nuovo rispetto al passato.

Perché Draghi? In che modo? E per fare che cosa?

Draghi perché è l’unico italiano con grande credibilità a livello europeo ed internazionale, l’unico italiano in grado di stare sulla scena europea alla pari con i tedeschi e i francesi per non parlare degli olandesi, perché non ci sarà più una Merkel e il futuro di Macron è molto incerto. Inoltre perché la costruzione europea ha bisogno di andare avanti nel processo di integrazione e l’Italia non può essere marginale. E’ evidente che se Draghi va alla Presidenza della Repubblica non potrà influire come da Presidente del Consiglio. Inoltre se avrà avviato in modo virtuoso il processo di implementazione del Next Generation EU avrà alle spalle anche un’Italia più credibile. La fiducia dei partner europei nell’Italia è sempre stata traballante, non per un preconcetto, ma perché l’Italia con i suoi comportamenti l’ha sempre rafforzato.

In che modo?

Non deve fondare un partito, ma deve chiamare a raccolta le formazioni politiche dei riformatori europeisti in un grande rassemblement national, a prevalenza politica che vada alle elezioni con un programma condiviso di grandi riforme che potremmo chiamare Next Italian Generation.

Per fare che cosa?

Per portare a termine la prima fase del programma di aiuti europei che terminerà nel 2026 e per avviare quelle grandi riforme prima fra tutte la macchina dello stato e quindi giustizia, burocrazia, le riforme costituzionali prima fra tutte il titolo V rivisto in una chiave di autonomia regionale regolata, il bicameralismo perfetto etc. etc.

Insomma un progetto di speranza e allora si di nuovo rinascimento che coinvolga le energie di questo paese in una creativa unità di intenti tra popolo, burocrazie e classi dirigenti.

Forse un sogno troppo grande, ma senza un sogno grande non succedono neanche le cose piccole, siamo costretti a sognare perché l’alternativa è prepararsi a diventare più poveri e marginali.