Di fronte alla guerra, da cittadini e da cristiani

Giovedì, 3 Marzo, 2022

Abbiamo il cuore pesante per quanto accade in Ucraina. Per molti motivi. La condivisione per l’orrore della guerra e la compassione per le vittime e per quanti – soldati compresi – sono stati gettati in una violenza terribile e assurda. La tristezza nel vedere in conflitto popoli vicini e legati da molteplici elementi comuni, storici, culturali, religiosi (una situazione vissuta anche da noi italiani nel secolo scorso). La paura di un allargamento del conflitto che finisca per coinvolgere il resto dell’Europa, noi compresi. Ma anche - più terraterra -  le preoccupazioni per le bollette del gas, i nostri risparmi e l’esportazione delle nostre aziende.

 

DOMANDE E RIFERIMENTI

La guerra interpella la coscienza religiosa come quella civile. E ci mette di fronte a domande che sovente cerchiamo di rimuovere. La guerra è inevitabile?  Come fronteggiare l’aggressione armata?  E’ giusto rispondere con analoga violenza? Quali effetti avrà questa guerra sui rapporti internazionali e sulla mentalità? Ha senso pregare per la pace? E come collocarmi personalmente in un mondo che ‘funziona’ così?

Senza la pretesa di rispondere, segnalo solo alcune brevi osservazioni. La prima è che non è inutile farsi domande: la superficialità, la ricerca veloce di un ‘colpevole’, la voglia di chiudere rapidamente la questione ci possono condurre facilmente a sprecare anche questa occasione. E’ in parte già successo con la pandemia, da cui non siamo ancora usciti, ma che non dovremmo dimenticare troppo rapidamente.

La seconda è che per rispondere non partiamo da zero. L’avvio della guerra ci ha lasciato spiazzati, disorientati, senza fiato, anche perché felicemente abituati a molti anni di pace (o almeno di assenza di guerra ‘calda’) sul nostro territorio. Ma ciò non significa che dobbiamo rassegnarci, né annullare quanto abbiamo maturato come persone, come comunità ecclesiale, come società civile, come stato. Perché questa maturazione non è stata indolore; anzi, è proprio il frutto della riflessione sulle tremende lezioni che la storia recente ci ha lasciato, insieme alla memoria della tragedia delle guerre che hanno insanguinato anche noi italiani, le nostre città e paesi.

 

LA LEZIONE DELLA STORIA: PROCESSI DA ORIENTARE

Senza togliere la parte di assurdità e di imprevedibilità che segna le vicende umane, occorre ricordare che la guerra è il risultato di un processo, non qualcosa che spunta in modo improvviso e imprevisto. Un processo che ad un certo momento imbocca un tracciato violento che a quel punto è difficile fermare. Il nodo è quello di creare le condizioni che possano evitare di imboccare chine pericolose, con uno sguardo lungimirante, orientando i processi alla coesistenza e al dialogo, anche quando il confronto avviene tra sistemi diversi e in presenza di forme autoritarie e dittatoriali. 

E’ anche il caso attuale dell’Ucraina, che si inserisce nella complessa situazione dei rapporti internazionali. Siamo sollecitati a comprendere più a fondo i motivi di questa guerra, la posta in gioco, il contrasto tra la visione democratica rappresentata dall’UE  e l’ideologia autoritaria incarnata da Putin.

Un contrasto che rientra in quella che rientra in quella “terza guerra mondiale a pezzi” evocata più volte da papa Francesco, che - ad esempio - ha registrato un enorme investimento in armi (nell’ultimo anno ben 1980 mld nel mondo, tra cui 26 mld spesi dall’Italia). Nel contempo molto limitata è stata la discussione pubblica sui temi della pace, della difesa, del ruolo della NATO e dell’Unione Europea. 

Ma anche la pace è un processo, da costruire, a tutti i livelli. Giovanni Paolo II dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, aveva ben segnalato che se era caduta una dittatura, non erano venute meno le ragioni di ingiustizia sociale su scala mondiale. E nel 2002, dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre in USA, ribadiva che “Non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza perdono”.

IL PRINCIPIO DELLA NOSTRA COSTITUZIONE

L’articolo 11 della nostra Costituzione è molto chiaro: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Tutto questo va tradotto in scelte commisurate alla situazione in cui ci troviamo, ma è un riferimento che non si può eludere. Perché indica una logica rovesciata rispetto a quella che conduce alla guerra: non il dominio e la sopraffazione, ma il rispetto e la collaborazione. E questo è decisivo in un mondo che sovente fa prevalere la competizione rispetto alla educazione al rispetto e alla solidarietà, indicando nella cooperazione tra popoli e nazioni l’orizzonte in cui collocarsi, anche personalmente.E ciò ribadisce il valore decisivo della politica, per scelte che siano orientate al bene comune di un popolo e dei popoli.

 

 

L’INSEGNAMENTO DELLA CHIESA

Anche su questo le indicazioni del magistero sono chiare, fin dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII (1962). Nella “Fratelli tutti” Papa Francesco afferma: “Poiché si stanno creando nuovamente le condizioni per la proliferazione di guerre, ricordo che «la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente». Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli. A tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato […] La Carta delle Nazioni Unite, rispettata e applicata con trasparenza e sincerità, è un punto di riferimento obbligatorio di giustizia e un veicolo di pace. Ma ciò esige di non mascherare intenzioni illegittime e di non porre gli interessi particolari di un Paese o di un gruppo al di sopra del bene comune mondiale. […] si prevede la possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune «rigorose condizioni di legittimità morale»(nn- 257-258). Perciò ricorda che per costruire la pace occorra un paziente “artigianato”. Un esempio è venuto in questi stessi giorni dall’incontro dei sindaci e vescovi delle città del Mediterraneo, come dalla coraggiosa visita di papa Francesco all’ambasciatore russo.

IL SENSO DELLA PREGHIERA

Perché pregare? Perché pregare adesso? La risposta può sembrare scontata. Ma forse non lo è, se vogliamo intendere la preghiera non semplicemente come una forma per darsi coraggio in un momento di smarrimento e di paura, bensì come un affidarsi con fiducia nelle braccia del Padre di tutti. Ossia una preghiera che ci ‘obbliga’ a vedere come fratelli gli altri uomini e ad aprirci alla solidarietà. Per questo la preghiera è teneramente esigente per noi stessi. Non abbiamo bisogno di convincere Dio, perché ci aiuti o faccia fermare la guerra. Da sempre il Signore ci assicura la sua vicinanza e la sua volontà di misericordia. Eppure - come in altri momenti critici – affiora la domanda “Perché Dio non ascolta il grido del suo popolo?” Forse vale la pena rovesciare la domanda: “Perché gli uomini non ascoltano la preghiera di Dio, che costantemente prega gli uomini di operare per la pace?”.