Crisi nel Labour

Mercoledì, 13 Luglio, 2016

La lotta all’ultimo voto tra due signore è ufficialmente partita da pochi giorni all’interno dei conservatori inglesi. E da oggi, quasi per speculare impulso suicida, si avvia anche quella tra laburisti. Angela Eagle ha infatti annunciato ufficialmente che esporrà durante una conferenza stampa il suo manifesto per il futuro della sinistra britannica lanciando il guanto di sfida a Jeremy Corbyn, segretario in carica da pochi mesi e già sfiduciato da un’amplissima maggioranza dei parlamentari dopo il voto referendario del 23 giugno. Lui, il marxista duro e puro giunto lo scorso settembre alla testa del Labour per ragioni che nessuno è ancora riuscito davvero a comprendere, resiste nel bunker e fa sapere di non aver alcuna intenzione di mollare. Ma la battaglia è in corso, altri contendenti si faranno avanti lacerando ulteriormente un partito quasi allo stremo, in ascesa per quanto riguarda gli iscritti (sono 325mila ora, oltre il doppio dei tories) ma in caduta libera in termini di voti, incapace di elaborare una seria proposta politica dopo la fine della stagione della Terza Via e del blairismo.

Non occorreva essere analisti troppo acuti per prevedere lo scorso autunno una leadership di Corbyn destinata a incagliarsi alla prima burrasca. La scelta dei sudditi di Elisabetta di uscire dalla Ue si è rivelata in fretta una tempesta dalla forza devastante, capace di spazzar via un premier in carica e di terremotare una intera classe dirigente. Per qualche giorno Corbyn ha tentato di far finta di nulla, poi la dimissioni a catena del suo governo ombra e lo schiaffo preso a Westminster dal gruppo parlamentare hanno innescato una crisi dall’esito per ora imprevedibile. Lui, intanto, ripete come un mantra di essere pronto a ricandidarsi con un programma che sembra messo a punto decenni fa. Vuole infatti nazionalizzare le azienda privatizzate da Margaret Thatcher nel corso Ottanta, uscire dalla Nato, bandire i missili nucleari dal territorio del Regno Unito. E, se possibile, donare a spese del governo un pezzo di terra da coltivare a ogni famiglia, “ in modo che ciascuno abbia la possibilità di piantare patate e pomodori”. E poi mantenere rapporti distaccati con la Ue, “istituzione dominata da un vorace capitalismo finanziario che provoca danni al nostro paese e alla causa del socialismo”.

Cosa pensi di proporre agli elettori Angela Eagle si inizierà a capirlo oggi. Tuttavia pare lecito ritenere che la stessa Eagle non rappresenti la risposta al problema. Ai Comuni da un quarto di secolo, figlia di un tipografo dello Yorkshire, laurea a Oxford, tra le prime donne del mondo politico a dichiararsi lesbica, non si mai fatta notare in maniera particolare, difendendo ogni volta la linea ufficiale laburista. E’ stata fedele a Blair, poi a Gordon Brown , in seguito a Ed Miliband e infine a Corbyn prima di affermare più volte in tv che l’attuale leader “se ne deve andare per il bene della sinistra”. Senza però entrare troppo nel merito della questione visto che attualmente in Europa ben pochi sanno cosa significhi “il bene della sinistra” e soprattutto come tutto questo possa trasformarsi in un programma concreto di grado di ottenere il consenso di un elettorato rapito dal suono delle melodie populiste.

E’ stato Tony Blair a metà dei Novanta l’ultimo laburista inglese capace di presentarsi davanti ai cittadini con un disegno ben chiaro in mente. Disse nel 1994 appena insediatosi come segretario: “Il mio obiettivo è far diventare la Gran Bretagna un paese leader nel mondo. Con gli Stati Uniti amici e alleati. Utilizzando la forza del nostro passato per costruire il nostro futuro, per riconquistare un ruolo guida anche in Europa e per far vincere un modello di welfare che scoraggi la dipendenza dallo stato e preveda un nuovo equilibrio tra risorse pubbliche e private ponendo fine alle disuguaglianze create dai governi conservatori”. Almeno in parte quest’ultimo obiettivo venne centrato. Sul piano della politica estera, invece, il bilancio è assai meno positivo. In primo luogo a causa del legame troppo stretto con la Casa Bianca. E poi anche per l’incapacità di costruire quell’Europa all’inglese (ovvero diretta da Londra) alla quale pareva tenere molto.  Blair è stato poco abile nel tessere la tela delle alleanze e spesso troppo sicuro di sé per apparire seduttivo al punto giusto agli occhi degli interlocutori stranieri. Meglio, probabilmente, avrebbe fatto se avesse seguito il prezioso consiglio di Timothy Garton  Ash: “La rotta più saggia da tenere è comportarsi in modo non blairiano per ottenere il trionfo del blairisimo in tutto il continente: lavorare in silenzio per stringere alleanze, lasciando che siano poi altri ad avanzare le proposte care a Londra”, scriveva lo storico di Oxford in un articolo apparso sul Guardian nel 2005 pochi giorni prima dell’inizio del semestre che lo vedeva alla presidenza dell’Unione.

Caduto Blair e mandata in soffitta la Terza Via – Giddens, il suo teorico, ne ha poi elaborate diverse altre numerandole in maniera progressiva – i laburisti britannici e i loro omologhi continentali si sono scoperti privi di un piano alternativo. Per i motivi riassunti da Giuseppe Berta nel suo eccellente saggio “Eclisse della socialdemocrazia”. A giudizio dello studioso, l’errore più grave commesso dal Labour e da chi ne ha seguito l’esempio è consistito nel voler adattare la società a un sistema economico giudicato immodificabile. “Con il risultato – commenta -  che i riformatori hanno rinunciato nella sostanza a quel rapporto dialettico con il capitalismo che aveva caratterizzato i momenti migliori della sua storia lungo il Novecento e messo da parte ogni dubbio sulla globalizzazione” afferma.  Questa strategia è andata in mille pezzi ai primi segnali di crisi,  appena i mercati sono stati scossi da una tempesta che ha rivelato la fragilità del turbocapitalismo. E tutti i partiti della sinistra continentale, oggi, si trovano privi di un progetto per il futuro. A fronte di problemi di natura culturale e identitaria che li condannano a essere forza di governo sempre più virtuale mentre i mutevoli umori delle opinioni pubbliche volgono altrove la loro attenzione.

Per quanto riguarda il Regno Unito la debolezza della classe dirigente ha fatto giungere alla ribalta figure di mediocrità disarmante su entrambi i fronti. L’elenco è presto fatto: David Cameron, Boris Johnson e le due signore che ora si contendono la leadership sul versante tory, Corbyn e i suoi variopinti e nostalgici fan su quello opposto. Da oggi in campo c’è Angela Eagle, altri presto si schiereranno in battaglia per la guida del partito. Dopo l’esito del referendum, la conseguente caduta della sterlina e il rischio concreto di recessione, in attesa di avviare i negoziati per l’uscita dalla Ue, la Gran Bretagna avrebbe bisogno di donne o uomini con carisma e capacità d’analisi. Arduo scorgere figure con queste caratteristiche tra chi occupa o sta per occupare il proscenio.