Crescita occupazione diseguaglianza e coesione sociale Un cambiamento necessario ed alcune proposte

Premessa

 

Il tema della crescita è di stretta attualità, come lo è la necessità che questa avvenga senza approfondire le diseguaglianze ed in ultima analisi la coesione sociale.  Infatti l'Italia, come gli altri paesi industrializzati e non solo questi, sta attraversando (subendo) un cambiamento strutturale che ponendo in crisi il precedente modello di sviluppo, in questa fase di transizione polarizza lavoro e retribuzioni, rendite e speculazioni finanziarie  in posizioni che incrementano le disuguaglianze.

Per cui ci si pone da un lato, la domanda se questo sistema di welfare, per quanto riguarda la previdenza, la legislazione che regola il lavoro, sia adeguato ad affrontare le nuove sfide  e dall'altro  come il rimodellare il welfare  non si riduca a semplice compensazione tra entrate ed uscite.

 

 

Un cambiamento necessario

 

In anni passati un po’ tutti i settori pubblici e privati hanno usufruito di sistemi di calcolo previdenziali abbastanza generosi, solo in parte attenuati dalle varie riforme Amato, Dini, in alcuni casi con storture gigantesche tra il versato e l'incassato come assegno pensionistico. Tutti questi comparti ancora oggi beneficiano di un sostanziale surplus di assegno pensionistico rispetto ai contributi versati durante l'attività lavorativa, anche se nel medio periodo il gap andrà riducendosi, questo  per le riforme pensionistiche introdotte negli anni passati.

Lo squilibrio finanziario è compensato con interventi a carico della fiscalità generale con non pochi problemi di disuguaglianze intergenerazionali con i futuri percettori di pensioni e di  lavoratori o famiglie in difficoltà a cui destinare risorse per l'assistenza. Per contro l’ultima riforma Fornero collegando il momento della pensione alle aspettative di vita ha introdotto criteri oltremodo restrittivi senza introdurre elementi di flessibilità  peraltro presenti nei sistemi pensionistici più avanzati compresi quelli della stessa Unione Europea per i sui dipendenti.

Introdurre correttivi impone che la problematica sia affrontata in tutta la complessità e in tutte le componenti al fine di evitare interventi che peggiorano la situazione attuale. Si pensi per esempio al tema dei diritti acquisiti che sta alla base delle problematiche giuridiche di ogni riforma strutturale nel settore previdenziale . Senza una riforma globale che ridefinisca il concetto di diritto acquisito (nel caso specifico il soggetto ha inequivocabilmente il diritto ad una pensione correlata ai versamenti effettuati, ma se riceve di più e questo di più mette a rischio anche il diritto degli altri a ricevere quanto versato è ancora un diritto intoccabile o può essere rivisto?),  quando sorge un diritto tenendo presente salvaguardie di limiti di reddito diventa problematico riscrivere gli elementi del nuovo patto sociale . Una riforma che chiarisca anche molti punti oscuri della sostenibilità, per esempio il fatto che nel bilancio dell’INPS finiscano anche tutte le partite correnti dell’assistenza che non ha nulla a che fare con la previdenza, che l’assorbimento dell’INPDAP abbia mandato in rosso i conti dell’INPS , ma solo perché il datore di lavoro dei dipendenti pubblici e cioè lo Stato Italiano ha fatto solo versamenti figurativi, e quindi nelle casse di quell’ente previdenziale non ci sono i contributi versati.

 

Una spesa sociale comunque mal gestita se è vero che ogni 100 euro di spesa sociale soltanto 3 arrivano a quel 10% di popolazione più povera , ripropone il tema dell'equità che è fondamentale per tenere insieme un corpo sociale pur complesso e stratificato come quello italiano. Lo stato italiano è in un incredibile paradosso di alta spesa pubblica e alta diseguaglianza segnando in questo modo il più plateale fallimento dell'intermediazione politica.

 

 

Affrontando alla radice questi veri e propri nodi gordiani si può avviare un sereno approccio alla ridefinizione dei diritti. Pensando quindi, nel caso delle pensioni, di configurare un diritto acquisito solo tutto ciò che è strettamente correlato con quanto versato ed i relativi tassi di rivalutazione.

 

E' chiaro che detto in questo modo asettico e magari anche tecnicamente corretto nasconde una devastante bomba sociale. Infatti  un intervento in questo campo, va governato e deve tener presenti da un lato i livelli reddituali e dall’altro il costo beneficio. In altri termini forse è più comprensibile ( non necessariamente più facile) aggiustare un livello pensionistico elevato ( e qui sarà il problema di stabilire l'asticella , l’attuale Presidente dell’INPS Tito Boeri propone 3.500,00€ lordi) che su uno basso benché sia stato calcolato con il sistema retributivo.

E' questa una prima rivoluzione concettuale e culturale che troverà non lievi opposizioni per tutto quanto detto.

E’ un cambiamento che passa anche attraverso la sensibilizzazione del cittadino verso la tematica pensionistica. In questo senso l’aver iniziato a portare, da parte dell'INPS  a conoscenza del singolo utente la sua situazione contributiva e quindi una prefigurazione di quale sarà il proprio assegno pensionistico è un passo verso la maggiore trasparenza del sistema. E qui si ritorna alla riforma Dini e alle due componenti della previdenza futura : Pubblica  e  Integrativa entrambe su base contributiva.

E qui su questo nuovo assetto si proiettano i timori di coloro che in presenza di perdurante crisi , mancanza di lavoro o di lavori a basso costo intravedono un futuro di pensionati poveri e comunque di lavoratori autonomi o dipendenti che non sono stati in  grado di avere reddito sufficiente per costruirsi una rendita. L’impoverimento di diverse generazioni pone seri problemi di stabilità sociale e di clima sociale . I temi della diseguaglianza diventano prioritari non solo per il presente , ma anche per il futuro.

Uno dei classici dilemmi della Teoria economica, è stato  se le DISEGUAGLIANZE siano essenziali per garantire la crescita economica o impediscano le scelte ottimali.

In Italia, come non di rado accade, si presenta una situazione ufficiale che non sfigura nei confronti  di altre economie avanzate, infatti le disuguaglianze tra i redditi  sono modeste se si prendono a confronto i minimi contrattuali, che rimangono su livelli medio alti in un confronto internazionale, ma  si riscontrano una forte disuguaglianza  tra i redditi familiari  a causa del cuneo familiare fiscale elevato, della scarsa progressività e dell'inefficace sostegno al reddito, anche perché o soprattutto perché il tasso di occupazione o di partecipazione al lavoro di classi d'età lavorativa  in Italia è molto più basso in un confronto europeo.

 Tale modello italiano di diseguaglianze,in questa fase di profonda crisi, evidenzia ancora di più la sua strutturale debolezza, che ha diverse ragioni come quella di un tasso di partecipazione al lavoro  molto basso e ciò determina che se un componente della famiglia perde il lavoro trascina nei livelli di povertà anche la sua famiglia. Un altro segnale è il livello salariare non adeguato dei laureati che si appiattisce verso quello dei non laureati, smussando così le aspirazioni e investimenti pubblici e familiari nell'ottenere un titolo di studio elevato, evidenziato anche dal Governatore Visco, nella sua ultima relazione della Banca d'Italia dello scorso 3 giugno 2015, riducendo così quell’incremento di crescita capitale umano così importante per i driver della crescita. Un altro tema basilare è che una quota importante di lavoratori non viene coperto dai minimi contributivi del CCNL  depotenziando di molto quel confronto internazionale sui minimi salariali che precedentemente era stato evidenziato.

Questo distorto “modello italiano” non ha potuto che determinare un'accelerazione dei livelli di povertà che si sono raggiunti negli anni più profondi di questa crisi.

Attualmente in Italia in sintesi si può affermare che il modello attuale del lavoro e del welfare presenta tali caratteristiche:

•    minimi contrattuali retributivi elevati,

•    bassi tassi di occupazione/alta disoccupazione (LT)

•    elusione contributiva e sommerso

•    bassa partecipazione (femminile) e bassa intensità occupazionale familiare

•    basso rendimento del capitale umano e pochi laureati

•    scarsa protezione sociale (no sussidi alle famiglie a basso reddito)

•    bassa dispersione retributiva MA elevate diseguaglianze nei redditi (familiari)

 

Alcune politiche attive del lavoro tutte orientate verso un modello che riesca a coniugare incremento dell'occupazione e un aumento dei redditi familiari che sono quelli che attutiscono di più le diseguaglianze in Italia.

 

Tali politiche nel breve (e lungo) periodo potrebbero concentrarsi su :

– Creazione di occupazione (anche) nei servizi a bassa qualifica (NB. Introduzione di un salario minimo)

– politiche di «workfare» con sussidi e incentivi all’occupazione

(Earned Income Tax Credit EITC, Working Family Tax Credit WFTC)

• rendere più convenienti impieghi a bassa remunerazione (NB. Evitare effetti disincentivo, e dumping salariale delle imprese)

– istituire misure all’occupazione «mirate», non sussidi a pioggia (effetto spreco)

–        protezione sociale (sussidi condizionali alle famiglie a basso reddito)

 

Evitare con risolutezza politiche passive di mero sostegno al reddito non condizionali

– No creazione diretta di impiego pubblico, ma riqualificazione dell’occupazione nella PA

– Politiche per favorire la mobilità geografica (dei giovani),

compensazioni per i differenziali territoriali nel potere di acquisto

– incentivi all’investimento in capitale umano (istruzione terziaria e

formazione)

 

infine avviare

 

• Politiche di attivazione al lavoro

– Partecipazione al lavoro : congedi parentali, offerta asili, sussidi all’infanzia,

– Flessibilità orari di lavoro: part-time verticale, telelavoro, family-friendly pol.

– Incentivi per adulti +55: «Bridge jobs», mentoring aziendale

– Occupabilità: «empowerment» dei lavoratori

• Politiche di incentivazione all’occupazione

– stimolo domanda di servizi domestici (es. service cheques)

– Incentivi «green jobs»

– Agenzie del lavoro

• Politiche di contrasto al sommerso

-Vigilanza, sanzioni (amministrative), incentivi all’emersione (detrazioni fiscali).

 

 

 

Per altro le recenti politiche del lavoro del Governo hanno già segnato grazie anche al riprendersi di una congiuntura mondiale favorevole risultati positivi. Dal punto di vista Macroeconomico  l'impatto che si ha avuto sull'introduzione degli incentivi alle nuove assunzioni  a tempo indeterminato con la defiscalizzazione di gran parte degli oneri sociali è stato significativo. Questa politica ha riattivato le assunzioni a tempo indeterminato che avevano raggiunto la quota del 15 %sugli assunti e ora stanno raggiungendo il tasso del 30% ri-abituando le aziende ad avere un rapporto stabile con i proprio addetti.

 

Per cui sono da perseguire politiche del lavoro mirate che facilitino l'ingresso di un numero superiore di persone nel mondo del lavoro riattivando così i consumi e, come è stato già evidenziato, si ridurrebbero le differenze tra redditi familiari e quindi potrebbero diminuire le disuguaglianze nel nostro Paese.

 

 

 

 

Proposte

 

Le analisi svolte e le considerazioni avanzate mettono  in luce i rapporti e le relazioni che esistono tra i quattro grandi fenomeni sociali ed economici che caratterizzano  il mondo del lavoro. Un mondo del lavoro che è radicalmente cambiato in questi lunghi anni di crisi e che soffre ancora di più dei tradizionali problemi che lo affliggono : mancanza di crescita che pesa  sui redditi e sul potere di acquisto delle famiglie; mancanza di lavoro che determina una perdita di capitale umano che rischia di essere irreversibile. Ma non è solo questo: la cattiva performance dell’economia e del mercato del lavoro si verifica in un contesto in cui sono aumentate le disuguaglianze del reddito e della ricchezza ed è corrispondentemente diminuita quella coesione sociale che rappresenta non solo un obiettivo in sé , ma anche per la fiducia che serve per dare prospettiva di sviluppo ad un intero Paese.

In questo contributo si voleva mettere in luce non solo questi fenomeni e non solo le specifiche terapie che ciascuno di essi richiede, ma le interrelazioni che esistono tra loro stessi e la conseguente complementarietà che caratterizza l’insieme delle politiche che occorre mettere in campo.

Se da un lato di è ben messo in luce come la diseguaglianza dei redditi e della ricchezza diventa impedimento alla crescita economica perché concentra il potere di acquisto nelle mani di coloro che hanno scarsa propensione al consumo, dall’altro si è ha ricordato che senza crescita non ci può essere maggiore occupazione e la disoccupazione è destinata a raggiungere livelli elevati che potrebbero intaccare la capacità stessa del sistema di recuperare il capitale umano che non viene utilizzato e che rischia di diventare obsoleto. D’altra parte senza maggiore occupazione non si risolve il problema delle diseguaglianze perché è la stessa mancanza di lavoro che fa aumentare il numero di famiglie sotto la soglia di povertà. E’ evidente che la disoccupazione sia la principale fonte di diseguaglianza e di povertà.

E il cerchio in questo modo si chiude : la diseguaglianza frena la crescita, la scarsa crescita fa aumentare la disoccupazione e la crescente disoccupazione provoca ulteriore disuguaglianza. Le terapie per sconfiggere ciascuno di questi mali devono essere messe in campo contemporaneamente, per sfruttarne le complementarietà e svilupparne le sinergie, per trasformare un circuito perverso in un circuito virtuoso. Perché è solo così che si pongono le basi per la ricostruzione di quella coesione sociale che è anch’essa strumento e obiettivo di una politica che vuole sconfiggere la povertà, la disoccupazione e la stagnazione dell’economia.

Ben venga quindi una solida e strutturale lotta alla povertà, una politica che stimoli le imprese ad investire e ad assumere giovani con contratti stabili e sicuri, una riforma fiscale che aiuti i redditi più bassi, una politica di inclusione sociale che faccia sentire tutti appartenenti alla stessa comunità, che sviluppi il capitale umano indipendentemente dalle differenze di nazionalità, di età, di genere, di istruzione.

 

 

  • Nell’immediato. La detassazione degli incentivi va monitorata: nella legge di Stabilità 2016 ciò è previsto solo a chi ha un reddito inferiore ai 50mila euro. Inoltre in una logica di riduzione della tassazione sul lavoro va valutato se estenderla anche oltre il limite dei 50mila euro di reddito . Ciò  rappresenta un costo per l’Erario, ma è un incentivo a ridurre il costo del lavoro e in ultima analisi migliorare la produttività .
  • In modo strategico. Dopo aver inserito nella Costituzione il pareggio di bilancio (dal 1/1/2014, art.81 comma 1), credo sia necessario introdurre nella Costituzione anche la sostenibilità, l’adeguatezza e la modernità del sistema previdenziale e di Welfare, tre concetti indicati dall’Ocse. L’obiettivo è di tutelare non solo i pensionati e i lavoratori di oggi, ma anche i lavoratori di domani. Quelli che oggi – a causa dell’ònere fiscale prodotto dagli sbilanci degli anni 70 - non hanno le opportunità lavorative e reddituali delle generazioni precedenti. Su questo tema è necessario un approfondimento visti gli impatti a livello costituzionale.
  • Sistema pensionistico. Introdurre criteri di flessibilità in uscita per chi ha raggiunto alcuni requisiti  es 62 anni e 35 anni di contributi con penalizzazione decrescente fino al raggiungimento dei requisiti previsti dalla legge Fornero. ( DDL 857Cesare Damiano)
  • Lotta alla povertà: prendiamo sul serio la proposta di Boeri per il reddito di cittadinanza per gli over55 che perdono il posto di lavoro. Preciserei, per chi perde i posto di lavoro a 10 anni dall’età di pensionamento: in futuro i 55enni non saranno più quasi pensionati. Un Welfare moderno utilizza ogni forma (prestiti fondiari, prelievi forzosi anche se temporanei, spending review) per offrire uno strumento di tutela a chi si trova in condizioni di difficoltà. Vanno precisati gli aspetti giuridici e le ricadute economiche.
  • Fondamentale creare e sostenere un’agenzia pubblica o semi pubblica che fornisca strumenti educativi nel percorso alla pensione, in forma evolutiva all’iniziativa “La mia pensione” che ha finalmente messo in pratica l’obbligo introdotto dalla legge Dini del 1995 di fornire ai lavoratori una stima della loro pensione. L’obiettivo è quello di fornire  educazione finanziaria, previdenziale, alla cittadinanza.  Le società concessionarie di servizio pubblico (Rai, Telecom, Acea, ecc.) possono sostenere la diffusione delle informazioni di base per innalzare la consapevolezza dell’individuo per la gestione del proprio denaro e quindi del proprio percorso previdenziale. L’agenzia dovrà anche fornire una “second opinion” sulla convenienza delle scelte degli utenti, sul modello analogo introdotto nel Regno Unito negli ultimi anni (modello Nest: www.nestpensions.org.uk/). In un mondo dove le scelte individuali sono sempre più diffuse servono strumenti adeguati per non creare problemi sociali.

Tale Agenzia può essere individuata all’interno dell’INPS oppure delegando ai patronati questo supporto al singolo cittadino.

 

Data: 
Venerdì, 12 Febbraio, 2016