Cattolici, politica e dintorni

Martedì, 8 Settembre, 2020

Ad ogni tornata elettorale, locale, regionale, nazionale, rispunta fuori puntualmente il trito refrain dei cattolici in politica e dell’ipotesi di ‘ricreare’ un nuovo partito ‘cattolico’ o ‘dei cattolici’,  magari edulcorato col solito slogan, del ‘comunque aperto a tutti’ e, guarda caso, sempre con un evanescente riferimento alla dottrina sociale della chiesa, quasi fosse la bacchetta magica per la soluzione di tutti i problemi socioeconomici del Paese e del mondo. E’ certamente del tutto naturale che si possa e si debba riflettere sul contributo che i credenti (e non solo cattolici) possano portare alla politica e alla costruzione del bene comune (ma quale?), tuttavia, in questi anni si è assistito ad una pletora di iniziative, discussioni, gruppi e congreghe varie che, spesso indipendentemente l’una dall’altra, pur conoscendosi tra loro ma non frequentandosi (o solo talvolta per pura formalità di galateo), discutono fino alla nausea e ciclicamente su questo tema dei cattolici in politica, ma alla fine senza prospettive concrete e ritornando al punto di partenza.

   Certo non è facile arrivare a soluzioni condivisibili sul piano della prassi, anche se ‘genericamente’ tutti si dicono ligi ai dettami della Dottrina sociale (io preferisco parlare di ‘magistero’ sociale). Il fatto è che molti sono incapaci di elaborazione propria e di chiarezza di obiettivi, per cui si aspettano dal magistero - ma più che altro da qualche illustre Presule – una sorta di ‘navigatore’ o didascaliche indicazioni quasi come gli allievi di una scuola che debbano poi eseguire i compiti a casa. E probabilmente molte delle scuole di formazione politica sorte anche nel recente passato nell’ambito ecclesiastico (sì ‘ecclesiastico’ e non laicalmente fondate) hanno dato questa impressione, magari con gli ‘studenti’ forniti di attestato finale ma poi senza…lavoro!

    Qualcuno di vecchia formazione si attende che siano nuovamente i vescovi a dare input specifici magari recuperando fuori tempo massimo la vecchia stantia formula dell‘unità dei cattolici’.

 

       Oggi non possiamo non considerare alcuni punti peraltro in parte comunque già noti:

Il primo è che, se ancora molti si dichiarino cattolici, la diversificazione nella pratica religiosa è estremamente ‘plurale’ e talvolta contraddittoria tra l’insegnamento evangelico e la sua attuazione nella prassi quotidiana. In quanto alla cosiddetta diaspora dei cattolici non è di stampo ‘politico-partitico’ bensì conseguenza di un certo ‘cristianesimo fai da te’, scelto tra le varie offerte del supermercato non solo delle religioni ma anche del cattolicesimo stesso.   

    E una certa ‘diversificazione’ del credere si è accentuata e parcellizzata col progressivo estendersi del benessere e del consumismo. E’ noto come già dai ‘tempi belli’ della DC, e fino al craxiberlusconismo, si sia più o meno velleitariamente combattuto il comunismo ma ignorando la nuova ideologia del consumismo.

    Le benevoli statistiche, ancora alla fine degli anni ’50, sulla consistente ‘presenza’ degli italiani alla Messa e il 99% dei battezzati non erano sintomi di fede, bensì di un costume abitudinario del ‘così fan tutti’, tanto più che – sia pur obtorto collo – erano molti gli ‘obbedienti’ strumentalmente  agli ordini delle alte gerarchie ecclesiastiche soprattutto riguardo l’unità dei cattolici nelle occasioni elettorali (sempre a presunta barriera del comunismo ateo!) pur constatandosi già da tempo un certo pluralismo di scelte, ma ‘frequentato’ solo da qualche gruppo d’élite di cattolici, quasi sempre puntualmente osteggiati, fustigati e messi alla gogna quali reprobi in odor d’eresia.

    Un secondo punto da considerare è quello che le alte gerarchie ecclesiastiche solo nel 1995 hanno riconosciuto (e anche qui obtorto collo) il pluralismo delle scelte dei cattolici in politica! Ma con un particolare: che si è fatto credere ai gonzi dai ‘vari (uno solo) Ruini di turno’ che i cattolici fossero ancora la maggioranza nel Paese, e che il ‘pio’ Berlusconi potesse esserne il portabandiera difensore del cattolicesimo (ormai ridotto ad una sorta di religione civile, perbenista, liberista e qualunquista purché sempre anticomunista) col sostegno ‘filiale’ della ossequiente squadra dei ciellini e dei Casini di supporto. Il lungo silenzioso assenso della CEI - (se si eccettua un Martini e pochissimi altri) - agli ordini del capo e con la copertura dell’ombrello dei cosiddetti valori non negoziabili, ha posto per almeno un decennio, la sordina sugli altri diversi fronti della evangelizzazione e promozione umana, sicché anche qualche politico cattolico di quelli impegnati a mediare su certe problematiche etiche e sociali è stato ‘fustigato’ e più o meno apertamente invitato a lasciar perdere.

Il terzo punto da considerare, è l’ormai più che ventennale, dilagante ‘informazione-spazzatura’ elargita con nonchalance dai media soprattutto televisivi (dalle reti berlusconiane fino al ‘vespismo’ invadente della RAI), con l’ostracismo a giornalisti di rilievo e non al soldo della industria dell’effimero, del godereccio e delle fakenews, tanto che alla fine perfino il ‘buon obbediente’ Boffo fu costretto (perché spinto dalla parte minoritaria ma non silente dell’opinione pubblica cattolica) a prendere posizione e a fare qualche distinguo. E mal gliene incolse, anche perché faceva qualcosa che al suo posto avrebbe già dovuto fare da tempo il capo della CEI!

     Infine la Chiesa italiana, scimmiottando un papa missionario e ammaliatore di masse ma pur sempre carismatico, invece di puntare sulla formazione dei giovani e adulti nel medio e lungo termine, nelle parrocchie in particolare, ha preferito la visibilità in qualche piazza che, se per il papa poteva andar bene perché aveva una visione ‘mondiale’ della realtà in transizione,  superando alcune ristrette visuali curiali, ai vescovi italiani, no, perché erano rimasti provinciali come del resto i ‘loro’ uomini politici: d’altronde non si può recitare da prime donne se si è mediocri comparse!    

   E naturalmente l’immediato profitto a buon mercato (effimero e di breve durata per la verità) l’hanno avuto quei movimenti e gruppi ‘spiritualisti’ così ‘clericopopulisti’ da pretendere un ‘santo subito’ da relegare in una nicchia (e quindi nella solita prassi del bigottismo), invece che dar retta ad un papa che comunque aveva avuto il coraggio di gridare in controtendenza contro qualsiasi guerra (e contro Bush che la volle in Iraq), oltre che il coraggio di fare quei sacrosanti ‘mea culpa’ per certi errori della Chiesa e addirittura di ipotizzare  un qualche alleggerimento al ‘primato’ del papa (e non per niente il suo successore, stremato dai grandi problemi ma anche dalle gaffes che la sua curia non gli aveva impedito di commettere, si è dovuto, inaspettatamente ma inevitabilmente, dimettere). Tutte cose che hanno fatto storcere la bocca ai benpensanti e alle destre clericali, mentre tutte le ‘aperture’ venivano messe a tacere.  

   Ma ora quelle prospettive e molto di più, sono riemerse con l’elezione di un papa ‘non politico’ ma conciliare e, se vogliamo dire, ‘ecologico’ nel senso ampio del rispetto e salvaguardia del creato e di tutto ciò che lo costituisce nonché sostenitore di quanti lavorano per il creato (credenti o meno). Ed è un papa che spesso è intervenuto anche a sollecitare i giovani e non solo quelli cattolici a fare politica ma con la ‘P’ maiuscola.

   E i cattolici che fanno? Va ricordato che sia gli ‘obbedienti’ che i ‘critici’, in un certo senso erano stati tutti messi all’angolo dalle scelte degli anni ’90, con quel rapporto diretto con gli esponenti di Governo che ha voluto instaurare la presidenza della CEI, infischiandosene  di tutte le precedenti mediazioni e ignorando completamente la prospettiva di fare formazione, ‘rimpiazzandola’ come già accennato, con i raduni nelle piazze (‘family day’ e dintorni) e col cosiddetto ‘progetto culturale’, che poi è stato praticamente del tutto ignorato dalle parrocchie anche perché, come scriveva a metà del cammino del ‘progetto’ un cattolico di rilievo, G. Savagnone, in molte comunità cristiane  l’attuazione del progetto è stata identificata con la promozione di alcune iniziative, anche ad alto livello, riservate sostanzialmente a una ristretta élite. Non si è visto, in molti casi, il problema essenziale, cioè quello di dare al comune cristiano, da un lato, una nuova coscienza della ricchezza della propria fede e delle sue implicazioni per la vita personale e sociale e, dall’altro, una nuova capacità di guardare alle situazioni quotidiane alla luce del Vangelo e di orientarsi in esse conseguentemente. (Aggiornamenti sociali n. 2/2000 pp. 133-144).

    Nel frattempo, dopo avergli tolto la parola, a meno che non fossero allineati al sistema, i laici cattolici venivano accusati di afasia! In realtà, non potendoli mandare all’inferno, erano stati relegati nel limbo (per fortuna ora anche il limbo è stato depennato dal catechismo!).

  Aveva già scritto a suo tempo padre Sorge: "Mai come ai nostri giorni la Chiesa ha insistito tanto sul dovere che i cristiani hanno di essere presenti e attivi nella vita sociale e politica. Si tratta di un invito, sempre più ripetuto ed esplicito, a tradurre con coerenza nella concreta realtà storica di oggi i contenuti del discorso sociale che la Chiesa ha elaborato in cent’anni: la sua “proposta sociale”, la civiltà dell’amore. Giovanni Paolo II giunge al punto di esortare i cattolici a non tenere conto neppure dei pericoli e del rischio di deviazioni morali, a cui espone l’esercizio del potere politico. Nonostante tutti i rischi – scrive il Papa – “i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione politica […]. Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo, di corruzione […], come pure l’opinione […] che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo, né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica” (‘Per una civiltà dell'amore.La proposta sociale della Chiesa’, Queriniana, Brescia 1996, pag.191). E tutti conoscono quanto affermava papa Montini:

  “La politica è una maniera esigente - ma non la sola - di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri" (Octogesima Adveniens n.46c). La forte espressione di papa Paolo VI si usa spesso citare e ripetere per inquadrare l'impegno del cristiano in politica perché questa non venga - come troppo spesso avviene - ridotta a strumento per l'occupazione di potere o arrivismi individuali. (Non va dimenticato che - nonostante le difficoltà dell'epoca - una affermazione simile sulla politica era stata già espressa dallo stesso Pio XI che, parlando agli universitari cattolici il 23 dicembre del 1927, definiva la politica come "il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore"). Ma poi è finita come è finita.

   Ma se negli anni ’90 dal magistero si insisteva sul dovere dei cristiani di fare politica nel contempo i partiti erano alla frutta, invischiati a spartirsi i malloppi vari e abbandonando anche quelle che furono le ultime scuole di politica di una certa consistenza culturale e non solo numerica, mentre, come visto, i vertici CEI stringevano patti direttamente coi detentori del potere.

   Ora l’attuale papa ha ribadito più volte la necessità che i cattolici facciano politica, ma per questo ha anche aggiunto che non è necessario crearne uno proprio. Fuori d’Italia non ci sono distinzioni in merito (a parte relativamente la Germania dove comunque nella CDU che ha origini lontane nel Movimento cattolico, come del resto lo fu la breve esperienza del PPI, vi sono cattolici e protestanti ma anche non credenti,).

    Ma allora come affrontare i nodi della partecipazione politica dei credenti? Perché si dice sempre che essi non hanno voce e siano in diaspora?

Purtroppo in queste domande riappare un residuo di quella mentalità da vecchia Dc quando si pensava che esistesse la cosiddetta unità dei cattolici, chiudendo comunque gli occhi ad esempio sia sul modo di agire di certi dc (quanti politici ‘cattolici’-democristiani coerentemente  col proprio credo, andavano a Messa la domenica?) non solo sul piano etico ma anche su quello delle politiche famigliari, dell’equità sociale e fiscale (quante leggi non si sono fatte a suo tempo in questi campi, così come sulla cultura, sulla redistribuzione del reddito?). E’ ovvio che nessuno ha il diritto di giudicare i politici cattolici col metro del vangelo (del resto chi è senza peccato scagli la prima pietra), ma certamente occorre valutare sempre se sono in grado, non solo di difendere i valori religiosi in cui dovrebbero credere, quanto di essere coerenti e sostenere i valori condivisi, non pensando che possano essere ‘imposti’ a furor di maggioranze parlamentari o governative (tra l’altro inesistenti). Non si dimentichi che la prosopopea illusoria di essere maggioranza nel Paese, in tempi anche recenti, metteva da parte l’evangelico lievito nella pasta.

    Ma occorre anche riflettere come d’altro canto ‘cattolici’(italiani) ricoprano incarichi di rilievo anche in Europa, e che - dall’ala destra di Salvini-Meloni a quella ‘sinistra’ di Renzi e compagni scouts e di tanti altri politici - un po’ tutti rivendicano la loro appartenenza (magari risalente ai tempi dell’asilo dalle suore) al cattolicesimo/cristianesimo.

    Indubbiamente c’è un po’ di confusione, tanto più che nel nostro Paese, oltre le etichette, quello che va più di moda non sta nella distinzione tra credenti, non credenti, atei o indifferenti, destra o sinistra, ma nello ‘stare contro’, (o ‘versus’, come oggi si dice col latino riciclatoci dagli americani con le dispute sportive), la demonizzazione dell’avversario con l’incapacità, da quando qualcuno ha detto che era nata la ‘seconda’ Repubblica, di lavorare rispettando  con dignità e senza urlare il proprio ruolo specifico (maggioranza e opposizione) per una solidarietà nazionale ed un obiettivo di fondo, che poi sarebbe il bene comune, che ognuno però sogna a proprio gusto e piacimento, chiedendo tutto agli altri e mai facendo qualche passo indietro e qualche sacrificio (che in genere questi sono scaricati sempre e puntualmente sugli altri, come le colpe evidenti e i disastri provocati). Del resto nonostante palesi misfatti, quanti politici hanno mai dato le dimissioni?

    La pandemia per breve tempo ha messo in luce la solidarietà nazionale di molti, anche tra alcuni di coloro che non avevano identità di vedute, con un fine comune per cui impegnarsi. Ma poi tutto sta ritornando nella solita modalità comportamentale tutta italiana (e forse non solo), con cui proprio coloro che sono stati meno solidali, vanno starnazzando quotidianamente (si v. su questo sito il mio articolo in merito, del 20 aprile scorso).

    Tra l’altro sulle riforme economico-finanziarie-imprenditoriali, si sono avuti ben 7 mesi almeno per far sì che alcune industrie si riconvertissero o provassero a farlo, che certe organizzazioni anche sindacali prendessero altre vie di sostegno senza fermarsi alle solite contingenti rivendicazioni e di prammatica, ecc.; ma sembra che tutte le soluzioni debbano scaturire da quella pioggia di soldi che stanno per scendere giù a catinelle, magari piovendo già sul bagnato! Non sembra esserci cioè un disegno lungimirante (e non solo da parte del governo) né di politica nazionale e tantomeno internazionale.

    Si sta ritornando cioè, senza vergogna, alla solita routine precedente perché a certuni la mascherina sulla bocca forse bloccherà pure qualche virus ma non le chiacchiere inutili. Insomma, quando la pandemia sarà superata (e comunque speriamo presto) si tornerà non più solidali come qualcuno si illude, ma al precedente lasser faire, lassez passer, al chiacchiericcio e a curare le ferite coi pannicelli di acqua calda.

     Lo stesso taglio dei parlamentari, tenacemente voluto da una forza politica di governo (mentre da qualcuno si blatera addirittura, in questo ridicolo caso, di ‘libertà di coscienza’!), senza una vera riforma del sistema elettorale e di un rinnovato ruolo efficiente delle camere e del loro operato, non serve a nulla, tanto più che, tanti o pochi che siano i parlamentari, le buone leggi si possono fare solo se chi le propone abbia veramente la capacità e competenza per farle e non per tornaconti di bottega! Il che oggi pone più di un interrogativo, tanto più che tra le innumerevoli leggi e leggine ve ne sono pure alcune di un certo respiro ma rimaste inefficaci in attesa di attuazione con i lunghi tempi per i regolamenti!

 

Ma torniamo al punto finale: serve che i cattolici facciano politica? Certamente sì, anche se sono in minoranza nel Paese (ma ci si è scordati del ‘lievito’ nella massa?), tuttavia il loro operato non sarà automaticamente efficace solo per il raccogliersi in un partito identitario (pur se nessuno certo lo può vietare) o anche in più partiti di cattolici (una ipotesi già sorta ai tempi di De Gasperi, e allora ipotizzata da alcune gerarchie ecclesiastiche).

Serve anche, e forse di più, che i cattolici ‘militino’ in partiti diversi (il pluralismo delle scelte è scontato) ma, da una parte lo devono poter fare senza contraddire il proprio ‘credo’ e anche senza confessionalismi, lavorando nel mediare per soluzioni condivise (o del ‘minor male’ come afferma anche il magistero) soprattutto sulle problematiche e sulle scelte etiche, dove purtroppo (sia i credenti che i cosiddetti laici) spesso per salvaguardare la tenuta dei governi (di solito sempre in bilico per pochi voti), sono costretti a votare secondo gli ordini e la disciplina di partito che raramente consente di votare liberamente secondo coscienza (a meno che non si tratti di difendere qualche collega inquisito!). E d’altronde, da decenni ormai, il candidato che viene eletto in parlamento, non è più un rappresentante dei cittadini, ma del proprio partito! E così si formano ulteriormente le ‘caste’.

    Infine il trasmigrare da una forza politica all’altra, la compravendita più o meno palese di parlamentari, l’egocentrismo di certi furbetti della politica, l’invadenza dei grossi magnati della economia e della finanza, supportati dai mass-media di rincalzo, impediscono una vera politica del bene comune che oggi avrebbe bisogno urgentemente soprattutto di sostegno solidale alle ‘classi’ più emarginate e non le rivendicazioni e i favori di bottega.

Ora tra i vari ‘furbetti’ della politica (e dell’economia e finanza) non dimentichiamo che ci sono tanti che anche apertamente (alcuni secondo un tornaconto strumentale), si dichiarano cattolici. C’è una soluzione a questi problemi e difetti?

    Lungi da me pensare che ci sia una bacchetta magica per questo, ma sembra evidente che quello che manca affinché cattolici (e non cattolici) possano essere all’altezza dell’operare per il bene comune, sia proprio risolvere l’interrogativo: quale bene comune? Prima di puntare alla ricchezza generalizzata anche se della maggioranza, occorre incominciare dal rispetto della dignità delle persone, dal lavoro, dall’ inserimento delle classi’ emarginate…

In secondo luogo, ma legato al primo interrogativo, c’è quello se coloro che si cimentano in politica (e molti poi scompaiono di solito dopo le tornate elettorali) siano dotati delle competenze necessarie per affrontare problemi che tra l’altro vanno considerati in una visuale sopranazionale?

   Mi sembra che ai cristiani in genere (e non solo ai politici cattolici e senza comunque generalizzare) difetti proprio una formazione cristiana di base che le parrocchie (ovviamente non tutte, ma in buona parte) non riescono più a dare, essendo per lo più ritornate alla routine della ‘formazione’ sacramentale agli infanti, alle asettiche omelie incapaci di leggere i segni dei tempi (a volte sembrano consigli di galateo e buone maniere), al ritualismo, addirittura in certe diocesi al ritorno del latinorum, ecc.; e anche le esortazioni alla carità si riducono talvolta all’immediatezza di piccoli e limitati servizi né tantomeno si cita la necessità anche la politica come esercizio di una particolare forma di carità, e si continua a ripetere ancora, nell’asettica preghiera dei fedeli, la stantia intenzione ‘preghiamo per tutti i governanti’  (sottinteso ovviamente ‘di ogni colore’ per così dire!).

    Il magistero di questo papa della ‘Misericordia’ ha spiazzato quel clero e anche più di qualche vescovo (nonché i clericali perbenisti), impreparati a pensare in grande pur partendo dalle piccole cose, ma soprattutto a recuperare quel Concilio che Francesco cita quasi mai, ma che sta portando avanti tenacemente, riprendendone le direttive soprattutto nella scia di quel ‘patto delle catacombe’ che durante lo svolgimento del Concilio, sottoscrissero alcuni vescovi aperti (come Camara, Lercaro, ecc.). Molti oggi ignorano il Concilio o addirittura lo contestano per un nostalgico revisionismo, e anche coloro che sono rimasti attaccati alla figura di Giovanni Paolo II, dimenticano che fu proprio questo papa che invitò a guardare al Concilio come alla bussola per il terzo Millennio, guardando ad esso come la grande grazia di cui la chiesa ha beneficiato nel secolo XX (cf ‘Novo Millennio Ineunte’, n.57).

   Attualmente da troppi si vuole seguire la più accomodante e ‘sicura’  linea delle certezze e della ‘continuità’ del concilio (tridentino?) più che quella dell’aggiornamento della chiesa indicato dai papi Roncalli e Montini, ma anche dallo stesso Giovanni Paolo II, ed una chiesa esclusivamente ‘santa’ (ma dimenticando l’altro aspetto, sia esso ‘meretrix’ o anche ‘semper reformanda’) che rifugge dai dubbi e allontana i cristiani ‘adulti’ nella fede, tanto più che ormai anche negli organismi pastorali - quando non sostituiti da burocratici uffici - vi si trovano spesso solo yes-man e yes-woman, per usare qualcuna di quelle ormai invadenti paroline ‘inglesiste’ che il ‘lokdown’ ha fatto addensare sul nostro già povero linguaggio (e i politici ne fanno uso straripante non conoscendo nella propria lingua l’alternativa ai termini anglofili!).

 

    Ci sono molti cattolici, che per ‘sostenere’ i valori cristiani in politica preferiscono ancorarsi alle sicurezze di gruppi che esercitino un qualche potere, mentre altri che pur si sono impegnati in questi anni, magari senza apparizioni televisive, sono stati spesso ignorati, non sostenuti, soprattutto se ‘aderenti’ ai partiti di sinistra (anche se sul significato di ‘sinistra’ oggi ci sarebbe molto da discutere), mentre benedizioni e ammiccamenti ancora oggi vengono elargiti da qualche ‘vescovone’ o cardinalone ad una destra che ignora (ma consapevolmente) anche le aperte contraddizioni con la norma evangelica!

   Ora bisogna fare due considerazioni. I cattolici in politica (se poi sono coerenti con la loro pratica religiosa non sta a noi giudicare), devono esercitare soprattutto la loro competenza. Personalmente ritengo non sia il caso di riesumare un partito ‘cattolico’ quale strumento ‘vincente’ per sostenere alcuni valori, e non solo perché i cattolici sono in minoranza (ma non solo in ‘politica’) quanto perché i valori cristiani vanno professati nella vita di tutti i giorni dai credenti e comunque non si possono imporre agli altri ma semmai aiutare a far capire che sono valori che possono essere condivisi; del resto in ciò consiste la evangelizzazione e la promozione umana (e comunque è sempre bene rileggere la Lettera a Diogneto).

    Quello che manca oggi, sono purtroppo i luoghi (permanenti) di discernimento sia sul versante ecclesiale che su quello dei gruppi ‘culturali’socio/culturali (e politici), nonché una chiara distinzione su ciò che spetta al ‘politico’, al ‘prepolitico’, e anche all’ecclesiale, onde evitare ulteriori confusioni. E comunque guardando obiettivamente ai vari consessi del ‘dibattito cattolico’, in questi anni mi è parso di notare che vi si incontrino e girino le solite persone e i soliti relatori. Forse ci si dovrebbe interrogare anche su questo. Ciò avviene perché c’è una sintonia tra i vari gruppi ironicamente si potrebbe dire aver raggiunto una nuova ‘unità dei cattolici’!) o perché c’è carenza di figure di riferimento?

    Occorre quindi creare alla buon’ora quei luoghi di discernimento comune dove i cristiani di qualsiasi tendenza possano abituarsi a leggere i segni dei tempi, locali, nazionali, mondiali, alla luce della Parola di Dio e secondo quella chiara indicazione del n. 4 dell’Octogesima di cui si è già accennato. Ma ci si potrebbe chiedere anche se i politici cattolici abbiano una propria comunità cristiana di riferimento? Se no, comincino a frequentarla nel modo di cui sopra (al di là dell’andare a Messa se ci vanno).

   Sul piano delle scelte operative è chiaro che queste vanno elaborate nei luoghi appositi (partiti, sindacati, ecc.) ma è altrettanto ovvio (ma non sembra sia più scontato) che i politici conoscano i problemi del territorio in cui vengono eletti (e non catapultati dall’alto dalle conventicole partitiche con scelte decisioniste e antipopolari).

   Per quanto poi si discuta fino alla nausea sui cattolici in politica, si prescinde del tutto dai cattolici che hanno o dovrebbero assumere (con competenza) anche responsabilità nei vari settori (imprenditoriali, industriali, finanziari, universitari, non meno che dentro gli strumenti massmediali, ecc.), eppure è proprio in questi ambiti che si ‘decide’ come influenzare e indirizzare oggi la politica e le scelte economiche e del lavoro. Un pensierino va fatto urgentemente anche su questo.

   Concludendo, il mio risulterà certamente un intervento ‘non politicamente corretto’, ma ho cercato, più o meno compiutamente, di riassumere alcune riflessioni, prescindendo anche da alcune esperienze positive, sia pur non eclatanti, che comunque si vanno realizzando nel tessuto territoriale sia pur spesso ignorate dai più. Ci vorrà del tempo perché queste facciano rete più ampia, ma i nuovi ‘movimenti’ ecologisti, le nuove solidarietà coi migranti, le proposte di Francesco ai giovani economisti e quant’altro si muovono verso una effettiva ‘rivoluzione’, che non sarà solo una risposta contro la pandemia, ma qualcosa di più.