In carcere non si può morire

Mercoledì, 16 Novembre, 2022

I morti nelle carceri interrogano la nostra coscienze di Popolo 

Difronte a tanti morti suicidi in carcere, due sono le domande a cui rispondere: 

perché si muore in carcere suicidi? 

perché per ogni suicidio ci dobbiamo ritenere responsabili come cittadini? 

La seconda domanda è così provocatoria che merita subito una risposta. 

La sentenza di condanna,  pronunciato dal Giudice Penale, è pronunciata in nome del popolo, tale formula ci ricorda che siamo noi popolo che condanniamo una persona a vedersi limitato della libertà. Certo, la sentenza di condanna si ha in forza di una legge che sanzione quel comportamento e di un processo che ha sancito la responsabilità del reo; alla fine di un procedimento viene, così applicata una pena che è definita giusta perché è legittimata da un sistema penale previsto dalla nostra Costituzione. 

Il Giudice, quindi, rappresenta tutti noi e in questo modo responsabilizza tutti noi. 

In forza di questo principio, sancito dal diritto, non possiamo pensare che il Carcere, luogo dove si sconta la pena non interessa ciascuno di noi, nessuno escluso. 

Perché in quel luogo, dove abbiamo chiuso i rei a scontare una pena detentiva questi si uccidono? 

Perché una pena, scontata in modo disumano non può rieducare nessuna persona. 

La condanna del reo, di fatto si trasforma in una condanna a morte, morali o fisica che sia. 

I carceri sono luoghi disumani; perché il carcere, anche laddove non si arriva all’estremo gesto del suicidio, sono la morte, l’annientamento della persona. 

Il detenuto perde la dignità,  perché perde il proprio spazio vitale, perde gli affetti familiari, il rapporto con la società. 

Il condannato è un uomo solo! 

La sua pena è l’abbandono, quel popolo che ha decretato la sua condanna, motivandola con la necessità di rieducarlo si è scordato di lui; i luoghi sono piccolissimi, più detenuti in pochi metri di cella, giornate intere chiusi in cella e solo poche ore di area, nessun lavoro, nessuna occasione di formazione. Una telefonata con i propri familiari di pochi minuti, una volta a settimana. Si, in quella cella, c’è anche la televisione, per alcuni del popolo un lusso eccessivo; i pasti, i detenuti, spesso li preparano nello stesso luogo dei servizi igienici. 

Dobbiamo essere consapevoli che, con l’attuale situazione delle carceri, la mancanza di attività rieducativi effettiva, la mancanza di lavoro, l’impossibilità di assicurare l’istruzione a tutti; in nome del popolo italiano li abbiamo condannati, nel migliore del caso all’annullamento e nel peggiore dei casi al suicidio. 

Cosa fare?

Pensare ad un percorso rieducativo vero, dare luoghi dignitosi, tenere i luoghi di pena dentro e aperti alla vita delle nostre comunità. 

Avv. Giuseppe Cannella, Argomenti2000 - Milano