Cambio di gestione

Giovedì, 24 Febbraio, 2022

Ed eccoci ad un altro momento di crisi: la “crisi ucraina”. Tocca adesso agli esperti di geopolitica, agli analisti di politica internazionale, agli studiosi di strategia militare: presto sarà il turno dei generali. Così, mestamente, i virologi, i clinici, gli elaboratori delle curve del contagio da covid19 cedono la ribalta televisiva e mediatica a coloro che si occupano di leggere quanto accade nel mondo contemporaneo dal punto di vista politico e militare. E l’opinione pubblica rischia di dividersi nuovamente tra “esperti” da bar (per richiamare una nota esternazione di Umberto Eco), che inondano il web di teorie, deduzioni, considerazioni ovviamente cariche di verità assolute.

Il tema della pace sembra sbiadito, annacquato dal coinvolgimento emotivo rispetto ad una crisi politica che lascia sempre più trasparire la sua vera cifra di interpretazione: un tentativo di riassetto degli equilibri internazionali consolidatisi a partire dal 9 novembre 1989, data che ha segnato il crollo dell’impero sovietico. Sembra che qualcuno, dopo la sbornia e l’euforia della liberazione, voglia dire la propria sull’utilizzo della libertà degli ex Stati satelliti dell’URSS. Un esercizio di libertà che ha comportato l’allargamento dell’Unione Europea ad Est e, soprattutto, l’ingresso nella NATO di numerosi di quegli Sati ex sovietici. Gli esperti hanno introdotto il vasto pubblico televisivo, i pochi lettori di quotidiani e i molti seguaci dei social nella “crisi ucraina” fornendo riferimenti in un primo tempo a favore delle ragioni di Putin e di quelle di Biden (nei fatti viene riproposto il vecchio schema della Guerra Fredda che così tanta parte del secolo scorso ha determinato), in un secondo tempo evidenziando soprattutto il grande azzardo politico militare della Russia putiniana.

E l’Europa in mezzo, stretta tra fedeltà all’Atlantismo - punto di riferimento irrinunciabile di politica internazionale - e rischi concreti di default energetici, vista la significativa dipendenza del Continente europeo dal gas russo. Bene. La linea politica che sembra emergere in questi ultimi giorni, forse anche conseguenza dell’impegno comune assunto nell’affrontare la pandemia, dice di una Unione Europea salda nel vincolo di unità comune, priva di quelle crepe che così tanto sembra ricercare la politica di Putin. Una compattezza di visione politica centrata sull’irrinunciabile difesa del principio di autodeterminazione dei popoli e degli Stati. In buona sostanza, l’Europa difende la libertà dell’Ucraina di determinare il proprio presente e il proprio futuro politico, scegliendo liberamente le alleanze politiche internazionali, secondo la valutazione dei propri interessi nazionali. Che poi sono forse anche interessi culturali oltre che economici e di difesa del territorio statale. Tralasciando molte altre considerazioni, occorre porre l’attenzione sul tema dell’approvvigionamento energetico da parte dell’Unione Europea. Sale alto il “must” dell’accelerazione sull’impegno comune alla “transizione ecologica”, che adesso è soprattutto transizione energetica.

A questo proposito una valutazione, appena accennata, va fatta. Per quanto riguarda l’Italia, il Paese europeo più esposto ad una possibile crisi energetica, il concetto di “transizione” reca in sé l’apertura a nuove trivellazioni nell’Adriatico per accedere ai piccoli giacimenti di gas presenti in quella zona del territorio italiano. L’emergenza è emergenza, ma può l’Italia rigettare l’impegno assunto insieme agli Stati presenti a Glasgow per la COOP 26 a non utilizzare più gas e fonti energetiche fossili? Tutto è veramente complesso ed evidentemente anche connesso. E necessita di un approccio serio perché la crisi in atto sia superata da soluzioni complesse e non semplicistiche come quelle offerte dallo scontro militare, dall’esercizio del potere delle armi (costruire armi, alla fine comporta sempre il loro utilizzo).

Acquisire indipendenza energetica è, dunque, il nuovo orizzonte dell’Europa unita. Una visione ed un impegno strategici che nella visione di lungo periodo porrebbe al riparo tutti gli Stati membri dell’Unione dalla riproposizione di crisi come quella che oggi il mondo intero sta vivendo. Oppure no? Nel senso che nella realtà dei fatti, alcuni tra i più importanti competitori politici contemporanei, prima tra tutti la Cina, non può che trarre benefici dallo scontro tra Alleanza Atlantica e Russia. Così come gran parte di quel mondo che l’Occidente ha preteso democratizzare con l’uso delle armi. Dunque, è soprattutto l’Europa a vivere un nuovo dramma politico e culturale prima ancora che militare.

Ancora una volta l’Europa: dopo Sarajevo nel 1914 e dopo Danzica nel 1939. L’Europa epicentro di un nuovo scontro tra potenze economiche e militari. Ha ragione Papa Francesco a leggere la vicenda di questo tempo rivolgendo parole amare agli Stati che si stanno confrontando pericolosamente sul terreno militare: è triste vedere che Stati che si professano cristiani scelgano la via dello scontro armato per risolvere i loro problemi. La tristezza evocata da Papa Bergoglio sa santo di invettiva mite, ma decisa: vergogna! E occorre vergognarsi davvero: perché quando si utilizza la politica estera per superare le difficoltà interne, allora non si ha più rispetto per i cittadini, per il popolo: sia i primi che il secondo hanno diritto di essere ben governati e serviti.

A cosa porterà la transizione ecologica evocata adesso con più forza dell’EU? All’indipendenza energetica? E poi? Le parole e i gesti profetici compiuti da Papa Francesco in direzione del riconoscimento di una fratellanza universale che tutti i popoli unisce, sembrano lontane, irrilevanti, incapaci di incidere nelle visioni politiche soprattutto di quegli Stati a bassa intensità democratica come oggi vien detto con linguaggio “politicamente corretto”. Parole dure di condanna della guerra da parte di Papa Francesco. Pur non ignorando la complessità dei rapporti pan ortodossi, che hanno visto la Chiesa Ucraina staccarsi da quella Russa, quanto sarebbe importante un impegno per la pace da parte di tutta la galassia ortodossa! Quanto sarebbe importante un rinnovato abbraccio tra le Chiese di Oriente e di Occidente, tra la Chiesa Cattolica e quelle Ortodosse, in particolare quella Russa, in questa vigilia di guerra che, se verrà combattuta, lascerà dietro di sé molto sangue e conseguenze politiche internazionali veramente gravi.

Se tutto è connesso, come ci ha insegnato la “Laudato si” e, dunque, un fatto, un evento è conseguenza di fatti ed eventi ad esso legati, quale bellezza e pienezza di vita potrebbe riscontrarsi in una connessione di relazioni tra Stati, finalmente capaci di convivere pacificamente mettendo in comune le risorse di cui sono dotati? Energetiche per alcuni, tecnologiche per altri. Una connessione possibile? Forse non ancora, ma auspicabile e verso la quale gli irriducibili della pace desiderano che il mondo vada grazie agli sforzi della diplomazia, delle religioni e, dunque, della preghiera. Allora si, che i fratelli tutti potranno riconoscersi e vivere come tali. Allora si, che la transizione ecologica diverrà conversione ecologica con tutto il corredo di implicazioni culturali, politiche, economiche e sociali che si porterà dietro. Urge un cambio di gestione, ma nella prospettiva della pace e del bene comune.