Biden l’indispensabile presidente

Lunedì, 9 Novembre, 2020

Per traghettare verso il futuro una America divisa e un mondo in cambiamento

 

Il tormentone “You are fired” o per dirla con il geometra di Cuneo, la controfigura italiana di Trump , “Sei fuori”, oggi marchia inesorabilmente il suo ideatore . Questo è il risultato delle elezioni americane per il presidente uscente bon grè mal grè.

Agli americani sono bastati 4 anni per assaggiare l’arroganza di un furbo, ricco narcisista che pratica l’imbroglio come stile di vita, ben descritto dalla nipote Mary Trump nel libro “Too Much and Never Enough” - come la  mia famiglia ha creato l’uomo più pericoloso del mondo.

In un  libro uscito in Italia nel 2010  Pensa in grande e manda tutti al diavolo nel lavoro e nella vita è riassunto l’ attuale atteggiamento di rifiuto di Trump del risultato elettorale : “ se ammettete la sconfitta , sarete sconfitti”.( pg 124).

Non esistono le regole, esiste solo la propria convenienza a rispettarle o a infrangerle anzi se necessario puntando ad esacerbare lo scontro non curandosi degli effetti di questo comportamento che potrebbe andare anche oltre le intenzioni iniziali. Anche Jerry nel film Fargo dei fratelli Coen, per risollevare la propria situazione finanziaria decide di inscenare il rapimento di sua moglie… ma gli eventi vanno oltre le sue previsioni fino ad andare tragicamente fuori controllo, oltre le intenzioni, in una catena di omicidi. Questo è il gioco cinico e oltre l’azzardo morale che sta giocando il bullo di New York.

Tuttavia il fatto che la sconfitta non sia stata una debacle induce ad una analisi attenta e non caricaturale di ciò che è avvenuto negli Stati Uniti. Quale America dovrà governare Joe Biden e quali prospettive internazionali?

Fra le tante una sembra la caratteristica che ha dominato la gestione trumpiana.

Di fronte ai tanti segnali di declino americano e al rischio di perdere l’unica leadership mondiale emersa dopo la caduta del Muro di Berlino, la risposta è stata il ritorno al passato, con aggressività e prepotenza.

Make America Great Again ha conquistato la classe media impoverita  dalla crisi finanziaria , gli operai del settore automobilistico e dell’industria minacciati dalla globalizzazione, i petrolieri vecchi (dei pozzi)e nuovi (del fracking) che vedono nell’energia verde una minaccia ai loro business così come nelle decisioni per contrastare i cambiamenti climatici, i latinos traditi dalle promesse di Obama non mantenute… l’America rurale sempre ostile al melting pot newyorkes, per citare solo alcune delle realtà che saldamente costituiscono la base trumpiana.

Chiudere le frontiere,  aumentare il conflitto verso l’esterno,  mettere sotto stress  le istituzioni americane ed internazionali generando un sistema politico incattivito in cui le parti  si delegittimano reciprocamente, sono stati gli elementi distintivi della gestione Trump.

E tuttavia dopo questi anni di cura trumpiana gli effetti della globalizzazione e il conseguente impoverimento dei ceti medi non è sparito, ma nemmeno attenuato, anzi la pandemia ha ulteriormente esasperato i divari tra ricchi e poveri rendendo sempre più illusorio il classico sogno della classe media di pensare un futuro migliore per sé e per i propri figli. Per molti l’accesso ad una buona università continua ad essere un costo insostenibile.

Trump sebbene alcuni risultati economici siano positivi non ha minimamente avviato a soluzione il problema  delle diseguaglianze crescenti, anzi ha tentato in tutti i modi di smontare quel poco di stato sociale che Obama con la sua riforma sanitaria aveva introdotto, ma soprattutto ha riacceso una mai sopita questione americana: quella razziale.

Guardavamo agli Stati Uniti per comprendere i trends nella tecnologia, nella società, nel costume e invece Trump ci ha riconsegnato un’ America che ha ridato vita alla più vecchia delle produzioni politiche europee: il populismo.

Allora perché questo consenso? Escludendo coloro che tradizionalmente votano repubblicano, per gli altri permane una sfiducia nell’establishment politico di cui Biden è un esponente tipico.  Trump agli occhi di costoro rappresenta l’alternativa  alla politica dei politicanti di Washinton, della mediazione, del compromesso, Trump rappresenta colui che scardina le regole istituzionali ritenute a torto ostacolo al proprio sviluppo economico. Lui è diretto, come non ricordare l’ostentazione ad uso telecamera delle firme degli atti presidenziali,  lui è il popolo.

Non è un caso che nel District of Columbia dove c’è la capitale Washington popolato da persone direttamente o indirettamente collegate ai palazzi della politica Biden abbia ottenuto il 92,6% di voti.

In questo senso la sconfitta di Trump è un importante colpo al populismo americano, internazionale e nostrano.

Ora paradossalmente a Biden il più istituzionale e longevo dei politici americani, eletto a 29 anni nel 1972 e rieletto per sei mandati consecutivamente,  tocca il compito di infliggere la mazzata finale al populismo; ben sapendo che in caso di fallimento delle sue politiche, si preparerebbe  il terreno al tentativo di  rientro tutt’altro che improbabile.

Le sfide che ha di fronte non sono semplici, a partire dalla necessità di ricucire un paese drammaticamente spaccato. Le sue doti politiche di persona equilibrata potranno essere utili nell’ interlocuire anche con la parte repubblicana, almeno la più moderata, non vissuta come nemico da abbattere.

Inoltre le problematiche più importanti restano irrisolte: la qualità dell’istruzione e della salute. La pandemia Covid impone un deciso cambio di strategia nell’immediato, ma il problema del servizio sanitario resta irrisolto in tutta la sua gravità soprattutto per i ceti meno abbienti.

Le infrastrutture e i servizi pubblici richiedono nuovi ed importanti investimenti, infine le politiche energetiche per contrastare i cambiamenti climatici.

Sono campi in cui occorreranno investimenti imponenti, finanziabili in soli due modi: tasse o debito, o un mix dei due. Vedremo quali saranno le scelte in merito.

Resta inoltre il problema dell’immigrazione che riguarda non solo l’economia di un paese, ma i sistemi economici globali che generano nuovi poveri, i cambiamenti climatici e le politiche internazionali.

Su questo versante  probabilmente si ritornerà ad un minor isolamento americano improntato al  tutti contro tutti , ma non occorre farsi soverchie illusioni.

 L’Europa probabilmente avrà un interlocutore più cordiale, ma proprio per i gravi problemi che affliggono la società americana, appena accennati, non si può pensare ad una protezione statunitense come avvenne in passato. Ormai gli europei devono capire e convincersi che dovranno sempre di più contare sulle proprie forze. E in questo senso andrà rifondato un nuovo panatlantismo basato sul terreno dei valori liberldemocratici che possa rinnovare le alleanze e ridare vigore  anche all’Europa nell’affrontare le sfide che le nuove realtà sociali ed economiche come Cina ed India pongono.

L’America non tramonterà non solo se saprà allontanarsi dalla horror story trumpiana, ma soprattutto se contribuirà a dare una sterzata importante contro il capitalismo predatorio che ha utilizzato la globalizzazione al servizio di pochi creando quelle masse di impoveriti che hanno costituito la base del trumpismo, ancora vivo in America e non solo. L’America e Biden hanno gli strumenti per intervenire, magari non da soli.