Per una nuova etica sindacale

Domenica, 25 Settembre, 2016

Ogni giorno che passa e innanzi alle devastazioni sociali, politiche ed economiche indotte e ampliate dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008, all’aumento della disoccupazione, alla chiusura di molte imprese e dall’assenza di politiche industriali capaci di generare nuovi posti di lavoro, che ha colpito larghe fasce della popolazione e in particolare quella giovanile. Non accontentandomi della retorica dell’ottimismo e del pessimismo, mi chiedo quando sarà possibile concederci uno spazio minimo di respiro dentro questo tormentone che tende a ridurre tutto a somma zero e a generare pensieri negativi.

Stiamo assistendo a una desertificazione ideale che va oltre il superamento delle ideologie promettenti del nostro passato, ma anche delle sorti progressive promesse dal liberismo globale.

Vi è la necessità di fuggire dal grigiore in cui siamo precipitati. L’uomo è un essere che vive e progredisce solo attraverso pensieri utopici che sono nello stesso tempo profetici, critici dell’esistente e pretesi verso il futuro.

Quando leggo certe cose sul sindacato, mi cadono le braccia anche quando spero non siano vere e che vengano chiarite, per molti di noi la militanza e non il mestiere sindacale è stata un miscuglio di idealità, di concretezza e di utopie. È vero molte volte abbiamo sognato con gli occhi aperti tesi a fare geminare, nella quotidianità del nostro operare, non la perfezione sociale, ma la perfezionabilità che si obbiettivava nella volontà di superare le forme della dipendenza e della subordinazione nel lavoro e nella società.

È questo il tempo in cui bisogna allenarsi a vedere, a ricercare e promuovere in ogni evento quotidiano gesti che inventano la vita, quelle in cui si preannuncia l’incontro, le opportunità e le possibilità. Bisogna che ognuno, secondo le sue possibilità, aiuti al riproporsi della speranza sociale.

Il sindacalismo ha bisogno di essere rifondato, non ha urgenza di regolamenti o di regolazioni normative, ma di riscoprire la dimensione etica dell’agire e rimettere in moto una relazione virtuosa tra utopia e “ passione critica”. Più che frequentare la “sala verde”, che pure deve fare, deve essere in grado di essere punto di riferimento e di forza di quei gruppi informali e spontanei che hanno cominciato a dar vita a nuove pratiche di solidarietà o a sperimentare forme di autorganizzazione per rispondere a bisogni fondamentali individuali o collettivi.

All’interno di questo scenario è tuttavia possibile vedere sorgere “pratiche di partecipazione”, fatte da processi collaborativi e di condivisione territoriale che, nel rispondere ai nuovi bisogni delle persone, segnalano le carenze del sistema pubblico e le disfunzioni del mercato e chiamano ad un nuovo impegno.