Una giornata per la povertà

Papa Francesco indice oggi la Giornata Mondiale dei Poveri, nel giorno in cui nella messa si parla invece cortoci

rcuito che fa confusione oggi tra talento, merito, redistribuzione e contrasto alla povertà.
Un problema della nostra società, come sottolineato più volte da Luigino Bruni, sta nella confusione tra talento e merito. Confusione che nemmeno uno dei più grandi pensatori liberali come Buchanan ha mai fatto. Buchanan ricorda che i risultati nella vita dipendono da quattro fattori principali: fortuna, talento ereditato dalla nascita, scelte individuali e sforzo personale. Il talento non ha niente a che fare con il merito perché ereditato dalla nascita. L’unica cosa che può essere eventualmente premiata perché meritevole è lo sforzo. La parabola dei talenti capisce molto bene questa differenza. La distribuzione iniziale dei talenti è diseguale (cinque, due, uno) e chi ne ha cinque non ha nessun merito particolare rispetto a chi ne ha uno (ha solo ricevuto un dono diverso). I primi due (con cinque e due talenti rispettivamente) li moltiplicano, quello che ne ha uno per paura lo sotterra e non genera talenti aggiuntivi. I primi due ricevono un riconoscimento il terzo viene rimproverato. Il problema del terzo non è avere in partenza meno talenti degli altri, ma il non essersi messo in gioco (anche nella parabola ciò a cui si guarda è lo sforzo e non la dotazione inziale). 
La confusione tra talento e merito rischia di essere alla base di una legittimazione della povertà e delle diseguaglianze (ancora Luigino Bruni). Qualche hanno fa un noto lavoro empirico di Alesina sottolineava come la percentuale di coloro che affermavano che il povero fosse da biasimare (responsabilità sua e non della società) fosse molto più alta negli Stati Uniti che in Europa, probabilmente perché i primi molto più figli della mentalità calvinista che non fa altro che riprendere la prima visione retributiva delle origini dell’Antico Testamento (il ricco è benedetto da Dio, il povero no). La visione neotestamentaria (nell’attualizzazione teologica più recente) è molto diversa. Non abbiamo meriti davanti a Dio, piuttosto il nostro metterci in gioco o meno (trafficare o no i nostri talenti) è premio/punizione a se stesso perché da esso dipende la generatività e ricchezza di senso della nostra vita. Considerando, beninteso, come misura del valore la generazione di valore economico socialmente ed ambientalmente sostenibile.
Tornando alla dimensione sociale, politica ed economica quali implicazioni ? Innanzitutto non accettare povertà e diseguaglianze come dato ineluttabile (o addirittura come colpa degli ultimi) ma lavorare per creare pari opportunità. La non meritorietà dei talenti deve portarci ad abolire incentivi che premiano risultati ? Qui la questione si fa più complessa.  Chi crea valore economico socialmente responsabile sta generando un risultato importante per la società che, se opportunamente redistribuito attraverso sistema fiscale e welfare, può favorire il riscatto degli ultimi. Anche se la creazione di valore non è merito personale è socialmente utile e meritoria e va opportunamente stimolata.  Il premio/ricompensa a livello teologico spirituale è e resta cosa molto più complessa. Più simile ad un interruttore acceso/spento che ad un bonus. Chi si mette in gioco entra in un percorso di generatività che è già premio a se stesso anche se non compiutamente su questa terra. Chi non lo fa non vi accede. Senza mettere anche questo tassello non si capirebbe l’altra parabola della vigna dove a chi entra nella vigna viene dato lo stessoJK salario (indipendentemente dal fatto che sia l’operaio dell’ultima ora che QUELLI al lavoro dall’inizio della giornata).
Insomma talenti, meriti, ricompense e diseguaglianze sono problemi complessi. Questo il mio stimolo a voi la parola….

di Leonardo Becchetti