Un digiuno che può fare bene

Giovedì, 12 Marzo, 2020

L’emergenza sanitaria di queste settimane, nel suo procedere quasi inesorabile non fa distinzioni fra i diversi contesti della nostra vita sociale e arriva a investire anche la sfera religiosa della manifestazione pubblica della fede. Proprio a questo riguardo, i provvedimenti tesi a limitare e poi vietare le celebrazioni liturgiche ha alimentato un’accesa discussione che ha coinvolto autorevoli commentatori e studiosi. Una questione che da ieri si misura con quanto disposto del cardinal Betori e dagli altri vescovi toscani, di sospendere le celebrazioni.

Vi è chi ha messo in discussione scelte così forti, sottolineando l’improprio uso del termine “assembramento” per qualificare celebrazioni come quella dell’eucaristia, perché quella che si raccoglie in preghiera non è una folla ma l'espressione di una comunità unita nell’esprime la fede. Osservazione certamente vera sul piano teologico, dal momento che la celebrazione della messa, che combina liturgia della parola e liturgia eucaristica, è per i credenti l'espressione del loro essere popolo 'sacerdotale', cioè manifestazione di una dignità che risale al battesimo.

Se queste considerazioni manifestano la coscienza di sé della comunità cristiana, esse non hanno però un valore assoluto, nella misura in cui quanto è vero sul piano teologico, liturgico e della fede, muta di senso e di significato su quello fattuale. Rispetto a quest’ultimo, un gruppo di persone riunite assieme in spazi chiusi, a prescindere dalle ragioni del loro stare insieme, rappresenta, nel caso della specifica circostanza di questi giorni, un rischio per la salute pubblica. Vista in questi termini la questione sembra porre una sorta di contrasto insanabile fra l'oggettiva consistenza delle cose a cui fanno appello esperti, medici e autorità sanitarie e quella che invece è la dimensione simbolica nella quale si articola la fede, non solo individuale ma di una comunità. Momenti di "privazione" liturgica non sono nuovi nell'esperienza della Chiesa, che li ha conosciuti in molteplici circostanze della sua storia e che fanno parte del suo essere "nel mondo", partecipe delle gioie e delle sofferenze della vicenda umana. Del resto, proprio l'esperienza dell'assenza lascia emergere uno spazio per capire che cosa sia per il cristiano la celebrazione eucaristica, pone le premesse per cogliere il senso profondo e intimo di una celebrazione che troppo spesso corre il rischio di essere vissuta come ritualità di gesti o di venir colta in termini prima di tutto "istituzionali".  

È forse questa presa di coscienza del valore dell'eucarestia che può maturare in questa Quaresima che diventa "digiuno" liturgico. Ed essa acquista un’importanza ulteriore se si pensa che, nell’accettare questa rinuncia alla loro normalità e quotidianità, i cristiani danno un segno visibile e tangibile del loro essere cittadini nel mondo anche se non di questo mondo, del saper essere i più fedeli e autentici interpreti delle leggi, nella misura in cui queste ultime diventano l'occasione per dare il proprio volto al Samaritano evangelico che si prende cura dell’umanità sofferente.