Tutela e dignità del lavoro

Giovedì, 31 Ottobre, 2019

Il famoso film di Charlie Chaplin “Tempi Moderni” segna una critica molto forte al paradigma organizzativo imperante all’epoca costituito dal cosiddetto taylorismo che consisteva nel tentativo di standardizzare i processi, trattando i lavoratori come delle macchine con l’obiettivo di aumentare la produttività del lavoro. Nel tempo la legislazione giuslavoristica ha trovato forme e modalità per tutelare e difendere la dignità dei lavoratori dagli eccessi del taylorismo. Industria 4.0 e intelligenza artificiale costituiscono oggi degli elementi del processo produttivo che rendono obsoleti alcuni degli strumenti di tutela del lavoro e rendono necessario un urgente aggiornamento.

La tutela della dignità del lavoro e il rispetto sostanziale dei diritti dei lavoratori diventano degli obiettivi da tutelare con nuovi strumenti. È il lavoro umano nel suo complesso che necessita quindi di nuovi strumenti di tutela. 

In questo percorso di individuazione di nuovi strumenti di tutela del lavoro e del lavoratore il primo aspetto da considerare è quello della selezione iniziale del lavoratore.

L’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale nella selezione pone diversi problemi di tutela.

Affidare ad un algoritmo la scelta del profilo migliore può essere una modalità rapida ed economica di selezionare, ma in primo luogo espone la selezione alla possibilità che l’intelligenza artificiale sviluppi dei bias che possono inficiare la correttezza del processo. L’altro aspetto importante è la trasparenza della procedura cioè il diritto del valutato di conoscere sia la base informativa, sia l’algoritmo sulla base dei quali gli individui vengono valutati.

Un altro aspetto interessante è quello legato al miglioramento dei processi produttivi ottenuto attraverso il monitoraggio delle attività lavorative. Un principio generale è che non è lecito il controllo dell’essere umano da parte di una macchina o di un sistema di controllo remoto. Tuttavia nell’organizzazione del lavoro 4.0 è quasi impossibile separare il monitoraggio dei processi dal controllo del lavoratore. I device indossabili, gli smartphone o gli altri strumenti di monitoraggio del processo raccolgono tutta una serie di dati non solo sulla produttività del processo, ma anche sulla produttività del lavoratore e sul suo comportamento durante il processo produttivo. Potrebbero anche in linea di principio utilizzati per avere informazioni sulla salute del lavoratore. I sistemi di controllo in un certo senso diventano parte del processo produttivo e la differenza sta solo nella tipologia di dati che vengono rilevati ed elaborati. La tutela del lavoratore, della sua privacy e il divieto di controllo remoto diventano quindi quasi impossibili perché è impossibile discriminare fra sistema di produzione e sistema di controllo.

È chiaro quindi che gli strumenti di tutela devono essere innovati e raffinati. Probabilmente lo stesso concetto di lavoro va cambiato perché la crescente interconnessione fra lavoro umano e lavoro delle macchine rende difficilmente distinguibile il singolo contributo.

La cosiddetta GIG economy è un’economia in cui il rapporto di lavoro viene riorganizzato per essere messo al servizio dell’economia digitale. L’algoritmo può non limitarsi a monitorare il lavoratore, ma può essere trasformato in un manager e istruito per organizzare il lavoro, utilizzando la gran mole di dati che riesce a raccogliere. Lo stesso algoritmo potrebbe anche facilmente sviluppare dei bias discriminatori e tendere a sfruttare o emarginare alcuni lavoratori. 

L’algoritmo manager può sicuramente rendere più efficiente il processo produttivo, ma può facilmente dare origine ad un nuovo taylorismo 4.0.

Il rischio di sfruttamento e il rischio di discriminazione del lavoratore appare significativamente più elevato.

Questo scenario comporta la necessità di rivedere anche gli strumenti di tutela dei lavoratori. La definizione di uno Statuto dei Lavoratori 4.0 comincia a mostrarsi necessario e questa necessità diventerà sempre più cogente nei prossimi anni.

Occorre quindi ripensare nel quadro di uno Statuto dei Lavoratori 4.0 le libertà sindacali e la contrattazione collettiva, la lotta alle discriminazioni dirette e indirette, il contrasto alle forme di lavoro sommerso e la nuova regolamentazione del lavoro informale, la progettazione di strumenti per il controllo degli orari lavorativi e per evitare forme di “lavoro forzato”. Rischiamo di cadere in una sorta di “caporalato degli algoritmi” e per difenderci da questo le norme attualmente in vigore sono poco efficaci. Oggi è possibile con delle app contrattare una prestazione lavorativa di pochi minuti, con modalità che assicurano una competizione verso il basso della remunerazione di quel lavoro e, soprattutto, senza alcun vincolo contrattuale o di sicurezza. Da un lato si può parcellizzare la domanda e sottopagare la prestazione, dall’altro si ha l’interesse a svolgere il maggior numero di prestazioni possibili tralasciando tutte le forme di tutela del lavoro. L’algoritmo che sovraintende questo processo sistematico di sfruttamento del lavoro e che ne garantisce l’efficienza dal punto di vista economico altro non è che un caporale digitale che tratta il lavoro come una merce e che tenta di trarre il massimo profitto a dispetto di tutte le norme di tutela. Scrivere un nuovo Statuto dei Lavoratori 4.0 per renderlo in grado di governare l’economia digitale e la Gig economy è un obiettivo sicuramente difficile e sfidante, ma necessario.