Telecamere negli asili nido?

A Roma sono state arrestate tre maestre e una collaboratrice scolastica, responsabili -secondo gli inquirenti- di maltrattamenti su alcuni bambini tra i tre e i cinque anni. Questo ennesimo episodio di violenza a danno di persone indifese da parte di chi dovrebbe prendersi cura di loro, oltre a suscitare una giusta indignazione e preoccupazione da parte di chi affida i propri cari nelle loro mani, impone una riflessione seria e non demagogica sugli strumenti da mettere in campo per fare in modo che il personale sia all'altezza e che non venga violato il patto sociale stipulato tra chi affida e chi prende in carico.

Si tratta di fenomeni marginali, sia chiaro ma che richiedono risposte ragionate e non guidate solo dalla indignazione, anche se certamente legittima. Soprattutto, in questi giorni in cui approderà al Senato -dopo la prima lettura alla Camera- il disegno di legge che reca disposizioni in materia di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia, nelle strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in situazione di disagio.

In questa epoca di paura e rancore, la videosorveglianza viene indicata come lo strumento risolutivo per arginare gli episodi di violenza commessi nelle strutture. Ma non è così. Si deve intervenire soprattutto prima, per prevenire lo stress emotivo di queste professioni ad alta densità di coinvolgimento umano, sostenere il personale nelle relazioni affettive con i soggetti fragili e nel lavoro svolto quotidianamente senza cedere a un'impostazione orwelliana o a una distorsione della relazione di cura che si deve basare, invece, sulla fiducia.

Gli insegnanti, gli educatori, gli assistenti si sentono, spesso, molto soli di fronte al compito assai complesso che li attende e, sempre molto spesso, non viene adeguatamente riconosciuto il valore sociale della loro professione. Partirei proprio da qui: dall'importanza di una preparazione relazionale ed emotiva adeguata per chi svolge professioni emotivamente usuranti attraverso un'attenzione costante allo stress lavoro correlato, che è ciò che determina le reazioni incontrollate che portano a commettere gravi reati.

Partirei dalla necessità di lavorare sul clima relazionale dei contesti di lavoro, sul potenziamento della formazione, sul lavoro d'equipe, sulla riduzione di turni e orari talvolta estenuanti e non certamente solo sulla minaccia della videocamera attraverso strumenti di controllo. Le indagini non c'entrano nulla con i rapporti di cura.

Non si può arretrare culturalmente ma bisogna migliorare il quadro. Con la legge sul riconoscimento professionale degli educatori e con quella di riforma della scuola dell'infanzia, la cosiddetta 0-6, abbiamo stabilito dei principi importanti. Per diventare educatori bisogna essere laureati, abbiamo chiarito i livelli di competenze specifiche ma anche di quelle trasversali, che fanno la qualità del sistema integrato, abbiamo previsto la formazione continua in servizio e il coordinamento pedagogico, come nelle migliori esperienze europee.

Abbiamo previsto figure di supporto e di raccordo per la progettazione pedagogica che faranno riunione costanti con gli insegnanti, la collegialità per condividere l'esperienza educativa di chi si prende cura, per evitare il burn out del personale. Investiamo sulla formazione, sulla prevenzione, sulla valutazione. Facciamo del personale di cura un fiore all'occhiello delle nostre società e non un potenziale nemico da tenere sotto controllo.   Questa è la strada.

di Vanna Iori