Se non ora quando incalzare il M5S?

Domenica, 24 Febbraio, 2019

Non so se il 18 febbraio rappresenterà uno spartiacque. So che le forze di opposizione avrebbero l'interesse e persino il dovere di non starsene alla finestra e semmai di assumere qualche iniziativa orientata a mettere in moto processi suscettibili di disarticolare l'attuale maggioranza politica. In essa, infatti, al netto delle questioni giudiziarie, si sono aperte contraddizioni genuinamente politiche che maturavano da tempo. Ben prima del conclamato, umiliante cedimento dei 5 stelle a Salvini sul caso Diciotti. Tanto più ora, a valle di esso, dentro quel movimento e tra i suoi elettori, i dissensi dissimulati o repressi affiorano in superficie e accennano a volersi organizzare. Forse ben oltre il 41% dell'opaco voto online circoscritto agli attivisti. Chi, dentro il PD, aveva subito la strategia aventiniana imposta da Renzi, oggi, a fronte di un conflitto tutto politico apertosi nei 5 stelle, dovrebbe interpretare la cosa come una opportunità, attivarsi, scommettere sulla circostanza mai così evidente che i 5 stelle non si risolvono per intero nella loro anima governista consegnatasi a Salvini. Quando, dopo le elezioni, irresponsabilmente, il PD si rifiutò persino di interloquire con i 5 stelle nonostante Mattarella gliene avesse fornito l'opportunità, si motivò tale inerzia con la tesi secondo la quale un rapporto di forze decisamente squilibrato avrebbe condannato il PD a fare da ruota di scorta. Argomento già allora pretestuoso: il PD, pur sconfitto, sortì dalle urne come il secondo partito, e la Lega, uscita terza, in pochi mesi ha rovesciato i rapporti con il M5S raddoppiando i propri consensi. Comunque oggi i rapporti sono assai meno sbilanciati tra un PD stabile (nonostante un anno in stand by) e i 5 stelle già calati di 10 punti e prevedibilmente destinati a pagare ulteriormente il loro sostegno alla fuga di Salvini dal processo. Palesemente, la divisione interna ai pentastellati trascende lo specifico nodo paragiudiziario ed è di natura politica. E’ interesse del PD - e, come non si stanca di ammonire Cacciari, della stessa democrazia italiana allo stato priva di alternative - rimarcarne la portata politica e  lavorarci appunto politicamente. Se non ora quando? Reiterare l'inerzia da parte del PD sarebbe oltremodo inspiegabile nel mentre, per converso, dalla Lega si moltiplicano i segnali tesi a fare evolvere il "rapporto contrattuale" con i 5 stelle in un'alleanza strategica anche nelle amministrazioni e persino nel parlamento Ue nel segno della propria egemonia.
Del resto, è stato proprio il vertice governista dei 5 stelle ad autorizzare una lettura politica del voto teso a salvare Salvini mettendo a verbale la totale condivisione delle scelte del ministro dell’interno sulla Diciotti. Un penoso escamotage, una pietosa bugia per sé non rilevante ai fini della deliberazione del Senato sulla richiesta del tribunale dei ministri - l'eventuale reato sarebbe per definizione individuale e comunque le indagini hanno accertato che si è trattato di decisione tutta riconducibile personalmente a Salvini - ma un’assunzione di responsabilità eloquente e impegnativa sul piano politico. Un allineamento a Salvini del "partito ministeriale" M5S non su un terreno qualunque, ma precisamente su quello che più qualifica politicamente la Lega connotandola come partito di una destra chiusa e dai tratti xenofobi. Possono ignorare le forze di opposizione da sinistra il malessere di tanti elettori e parlamentari del M5S, nonché il malcelato imbarazzo del suo fondatore che ha ammonito i suoi circa la mortificazione della originaria sensibilità sociale e ambientalista del movimento? Certo, è difficile che possa assumere una iniziativa efficace, abbandonando il suo sterile Aventino, un PD che si facesse risucchiare dalla deriva berlusconiana della guerra ai magistrati. Sarebbe lecito attendersi che le voci più responsabili interne al PD - e segnatamente Zingaretti con la sua asserita discontinuità - dicessero chiaro e forte che si rifiutano di cedere a tale sconsiderata deriva. Sia perché nelle istituzioni ci si crede davvero (non rifugiandosi nell'abituale, ipocrita formula di una professione di fiducia nella magistratura che lascia intendere l'esatto contrario); sia perché, su questo cruciale terreno, è utile che il PD post-renziano ristabilisca una linea di comportamento meno ballerina. Come dimenticare il disinvolto passaggio dalla perentoria richiesta di dimissioni per la Cancellieri, ministro del governo Letta neppure inquisita, all'attuale accusa ai magistrati di ordire complotti contro i politici?