Se è solo un problema di percentuali

Lunedì, 31 Agosto, 2020

Dentro il perimetro di un dibattito politico che fatica ad andare al di là delle preoccupazioni e dei timori dell’oggi si è proposta di nuovo, all’interno di molteplici ambienti culturali e associativi di area cattolica, la questione della costruzione di un soggetto politico cristianamente ispirato e che guarda al magistero sociale della Chiesa come ad un utile strumento per la costruzione di un programma politico. il tema ha alle proprie spalle una storia oramai lunga, che si dipana a partire dalla crisi del sistema politico che, fra il 1992 e il 1994, vede il dissolversi della Democrazia Cristiana e l’emergere, contestuale, del problema di dare al cattolicesimo italiano una nuova e adeguata modalità di rapporto con la politica.

In queste settimane di campagna elettorale per le elezioni di alcune importanti regioni italiane il rapporto fra cattolici e politica torna di attualità a partire da alcune specifiche esperienze: dalle liste elettorali presentate in alcune regioni come la Campania al rinnovarsi dell’accordo fra Partito Democratico e Democrazia solidale in altre, fino all’annuncio della nascita di un vero e proprio partito di matrice cattolica fissata per il 4 ottobre prossimo. Tutte iniziative che si inquadrano nel tentativo di offrire al voto cattolico una sua autonoma riconoscibilità, di cui si sottolinea l’oramai diffusa e strutturale incapacità di integrare e valorizzare in modo adeguato un portato politico cristianamente ispirato. Uno stato di cose, questo, accentuato dall’accelerazione che la pandemia ha impresso all’evoluzione critica della vicenda politica e democratica del paese e delle sue istituzioni, ma anche e soprattutto della vita interna dei partiti e degli schieramenti politici. Qui sembrano infatti essere entrati in una nuova fase quei processi di disgregazione o moltiplicazione dei soggetti politici alimentati anche dalla volontà del ritorno alla logica e alla pratica di un sistema proporzionale e dalla connessa convinzione della necessità di “moltiplicare” e “diversificare” l’offerta politica.

Una riflessione sul rapporto fra cattolici e politica è certamente necessaria di fronte allo scenario attuale, nel quale, per altro, i diversi partiti presenti nel nostro sistema politico tentano, almeno a parole o a favore di opinione pubblica, di accreditarsi come coerentemente capaci di parlare anche per conto dei cristiani. Questa attitudine, che tuttavia si muove sul terreno dei proclami più che su quello dei contenuti e dello stile con cui si fa politica, si ritrova tanto nelle pretese della Lega o di Fratelli d’Italia, quanto nelle ambizioni di un governo “liberale e cristiano” di Forza Italia e nelle rivendicazioni di una vicinanza di alcune proposte del Movimento 5 Stelle rispetto ad alcuni temi del magistero dell’attuale vescovo di Roma. E ritorna anche nelle intenzioni almeno di una parte della dirigenza del Partito Democratico che, per bocca di Bettini, giustappone esplicitamente il socialismo europeo di oggi con il cristianesimo.

Guardando a tutto questo una riflessione sul rapporto fra cattolici e politica in Italia necessita di misurarsi non solo con il quadro politico e partico e con le sue evidenti fragilità, ma obbliga a guardare anche alla profondità storica del modo in cui i cattolici italiani hanno guardato alla politica, soprattutto nel corso dell’ultimo trentennio. Con questo sguardo “lungo” occorre cercare di mettere a fuoco le due dimensioni imprescindibili che incorniciano la questione. Da un lato, c’è quella strettamente politica che comporta l’interrogativo sulla identità del cattolicesimo politico in questo contesto di oggettiva crisi della democrazia e delle sue forme e di definito scollamento fra le culture politiche e i partiti. Dall’altro lato, invece, è il terreno più propriamente ecclesiale, che riguarda la Chiesa non tanto e non solo come gerarchia ma come Popolo di Dio, realtà articolata in una serie molteplice di associazioni, movimenti, esperienze che vanno prese in considerazione per capire la qualità della “sensibilità politica” dei cattolici italiani, rispetto ad una misura meramente quantitativa che di per sé rischia di schiacciare il cristianesimo su un’appartenenza partitica, creando un pericoloso cortocircuito fra il politico e il religioso.

La storia lunga del rapporto fra cattolici e politica in Italia, che passa dall’esperienza dei primi movimenti di carattere sociale e culturale, fra Ottocento e Novecento, dalla prova di due esperienze partitiche, il PPI e la DC, fra loro assai diverse pur nella presenza di evidenti elementi di continuità storica, affronta una fase del tutto nuova dopo la fine dell’esperienza del partito dei cattolici. Il passaggio 1992-1994, con le sue conseguenze politiche, porta con sé una radicale ridefinizione del rapporto fra cattolici e politica che evolve più in direzione della definizione di un rapporto fra Chiesa e politica. Al ridefinirsi del secondo elemento, con la crisi irreversibile dei partiti di massa e del sistema politica fondato su di essi, si intreccia la riorganizzazione della Chiesa italiana attorno ad una presidenza della CEI, quella del cardinal Ruini, che risponde ad un chiaro disegno culturale. La convinzione che la crisi politica che segue l’inizio dell’ultimo decennio del XX secolo sia in realtà uno degli esiti di un più vasto e pervasivo processo globale – quello segnato dalla secolarizzazione e da orientamenti sociali e culturali giudicati individualisti e relativisti – è alla base della convinzione, incarnata dal Presidente dei vescovi italiani, che sia necessario non solo accettare la fine del partito dei cattolici ma accompagnarla con un profondo riordino della molteplicità di associazioni e movimenti espressi dal cattolicesimo italiano dentro una Chiesa che abbia una guida forte e che si presenta come soggetto unitario e compatto nel rapporto con la Repubblica, le sue istituzioni e le forze politiche che stanno assumendo la guida le paese nell’ultimo decennio del XX secolo.

La lunga stagione che ha caratterizzato la Chiesa italiana a guida Ruini ha certamente dato alla CEI un oggettivo ruolo politico nel dipanarsi della vita del Paese per almeno un ventennio. E tuttavia, questo ruolo politico dei vescovi italiani e del loro presidente, ha di fatto saturato ogni spazio di costruzione di un rapporto del cattolicesimo italiano con la vita politica del paese, rendendo possibili solo esperienze o iniziative fedeli alla prospettiva della Conferenza episcopale. Uno scenario che ha rapidamente prosciugato una capacità di educare la sensibilità politica dei cattolici italiani che la realtà associativa della ecclesia italiana aveva maturato nel corso di una storia lunga e certo tormentata, che era stata il punto di intersezione fra la vicenda politica e quella religiosa del paese.

L’impatto di questo assetto del rapporto fra cattolici e realtà italiana sul terreno politico e culturale, per non parlare di quello ecclesiale e religioso il cui studio richiederebbe una trattazione adeguatamente articolata, mostra oggi i suoi effetti anche sulla oggettiva fatica delle diverse iniziative politiche di matrice cattolica nel riuscire a dar vita ad un “centro di gravità” sufficientemente forte da poter essere il pernio di una più compiuta proposta politica. Una fatica che si radica in molteplici ragioni. Vi è, da un lato, un distacco strutturale fra una parte consistente dell’esperienza cristiana italiana e la vita politica del paese, che è figlio di uno schema nel quale l’interlocuzione politica era affidata ai vescovi e non era mediata dalla fatica di una diffusa coscienza della doppia cittadinanza – l’essere cittadini della città dell’uomo e al tempo stesso “cittadini del cielo” –, che pure è, secondo la Lettera a Diogneto ripresa dal Vaticano II, la caratteristica qualificante del cristiano di fronte alla politica. A questo si è sommata, in molte parti dell’associazionismo cattolico, una lettura superficiale e per certi aspetti “edulcorata” dell’impegno politico, ridotto al solo concetto di “servizio” e ad un perseguimento del bene comune spesso vago o confuso con categorie di ordine solo morale.

Questa incapacità di leggere il bene comune come categoria politica, dunque non come un assoluto ma come un dato da definire rispetto ad ogni specifica contingenza, si è legata ad una sovraesposizione di temi etici e bioetici (dalle unioni civili alla fecondazione medicalmente assistita, dalla difesa del matrimonio “naturale” alla questione del fine vita) che ha contribuito a circoscrivere la sfera di interesse dei cattolici per la politica a poche parole d’ordine, lasciando fuori questioni complesse e spesso conflittuali come le politiche industriali, l’occupazione, l’istruzione, la ricerca. Tutti temi su cui non si coglie una “differenza cristiana” rispetto agli orientamenti dominanti, per lo più radicati in logiche di crescita espansiva della ricchezza piuttosto che su un intreccio di equità, libertà, giustizia, coesione sociale e apertura culturale e politica.

A conferma di questa sorta di afasia politica vi è, del resto, il ricorrente appello all’insegnamento sociale della Chiesa quale strumento politico-programmatico con cui surrogare l’assenza di una fatica progettuale fondata non solo sul confronto con la realtà e le sue dinamiche ma sul riconoscimento della specificità della politica come forma di intelligenza delle cose e delle loro dinamiche e dunque come capacità di governo della realtà. Se infatti lo sguardo del magistero della Chiesa sulla società, sull’economia, sulla politica, sulla cura dell’ambiente, restituisce una comprensione del mondo e dei suoi processi radicata in una coscienza teologica, la politica, che certo deve guardare a questo prezioso stimolo sapienziale, muove da un’attenta considerazione della realtà a partire dalla realtà stessa.

La condizione del cattolicesimo italiano, in particolare e più direttamente del laicato, si intreccia così al tema delicatissimo della cultura politica che sembra essere al di fuori del perimetro delle priorità dei diversi progetti di costruzione o ricostruzione di un partito di esplicita ispirazione cristiana. Un nodo, questo, che per altro obbligherebbe a misurarsi con un dato di fatto storico: l’esistenza di una molteplicità di culture politiche influenzate o declinate secondo un orientamento cristiano. Dal cristianesimo sociale al popolarismo, dal cattolicesimo liberale a quello democratico, esiste un ventaglio ampio di orientamenti politici vissuti e articolati in chiave cristiana, che certo hanno conosciuto una lunga fase, quella del partito dei cattolici, nella quale hanno saputo camminare assieme. Alla radice della lunga esperienza democratico cristiana vi è però una cruciale ragione storica, il cui valore non è riducibile al semplice fare “l’interesse dei cattolici”, ma risiede piuttosto nell’aver dato forza alla democrazia repubblicana obbligando i cattolici ad un lungo e complesso itinerario che li ha portati non solo ad accettare la democrazia ma soprattutto a maturare essenziali espressioni di coscienza democratica. È questo uno snodo storico essenziale per il paese e certo anche per la Chiesa italiana, che tuttavia sarebbe sbagliato trasformare nell’unico possibile paradigma di riferimento, senza considerare che, fin dall’inizio, la Democrazia Cristiana ha svolto la propria funzione politica rimanendo, finché le condizioni lo hanno permesso e reso necessario, spazio di espressione di un pluralismo culturale che oggi permane e richiede di trovare ricadute politiche vitali e durature che siano fedeli a questo stesso pluralismo.

Questa serie di considerazioni, sviluppate sul piano storico e culturale, non vogliono certo mettere in discussione o negare il valore dell’impegno dei tanti che ambiscono a dare vita ad un partito di chiara matrice cristiane e cattolica. La nascita di una forza politica che mira a porre all’attenzione del dibattito pubblico e del processo politico temi e questioni da molto tempo enunciate ma mai realmente affrontate, è sempre un passaggio rilevante per la vicenda di un sistema democratico. Tuttavia, la delicatezza del rapporto fra cattolici e democrazia e la specifica complessità che esso cela rappresentano un dato di realtà imprescindibile, tanto dal punto di vista di chi intende farsi carico della fatica del metodo democratico, fatto di elaborazione, proposte, dibattiti, scelte, quanto per la Chiesa italiana, che resta sempre, essenzialmente, Popolo di Dio. Un Popolo che ha il dovere di occuparsi della città dell’uomo per fedeltà al Vangelo della carità e della misericordia. Ma nel far questo essa è chiamata a riconoscere, rispettare e proteggere la verità della politica, il suo spazio di responsabilità, il suo strutturale pluralismo, la sua umanità e dunque la sua fondamentale libertà.

 

 

Cari amici,
inizia da questo editoriale un dibattito sul tema cattolici e politica su cui siamo invitati ad intervenire. Nei prossimi giorni, dopo la pubblicazione della nota di Argomenti2000, apriremo un analogo dibattito in vista del prossimo Referendum confermativo sul taglio dei parlamentari.