Riscrivere le regole dell'Unione

Martedì, 18 Luglio, 2017

La battaglia sulla riscrittura delle regole dell’Unione Europea che aspettavamo per il prossimo autunno è già iniziata quest’estate. L’Italia ha sparato il suo colpo con la proposta contenuta nell’ultimo libro di Renzi, di abolire il Fiscal Compact per cinque anni e portare il deficit immediatamente sotto la simbolica soglia del 3 per cento (al 2,9 percento) al fine di liberare risorse da usare per la riduzione delle tasse e far ripartire il paese. In economia come nella vita reale i problemi sono complessi, i dati necessari per risolverli sono incompleti ma esistono fortunatamente più vie per arrivare ad una soluzione. Che quella del Fiscal Compact fosse particolarmente tortuosa e poco efficace è ormai dominio pubblico. Il Fiscal Compact nasce già non come la via più breve e logica per la ripresa europea in un quadro di sostenibilità del debito ma piuttosto come una di quelle prove di fedeltà chieste ad un partner con scarsa reputazione che deve dimostrare a proprie spese di meritarsi la fiducia degli altri. Che contenere il rapporto deficit/PIL sia importante soprattutto per noi non è in discussione. Ciò che è altamente opinabile e che la via migliore sia un percorso che chiede di ridurre di un ventesimo all’anno il rapporto debito/PIL e di muovere rapidamente verso il pareggio strutturale del bilancio pubblico, pareggio che non coincide con quello effettivo e dove i margini d’indulgenza sono fondati su un parametro quanto mai aleatorio ed opinabile come quello dell’output gap perche fondato su modelli teorici e stime econometriche tutt’altro che scolpite nella pietra. Abbiamo scritto più volte come l’UE stesse vivendo negli ultimi anni la situazione paradossale di un sistema di regole di fatto disatteso da quasi tutti che però non si ha il coraggio di mettere in discussione. La Francia e la Spagna hanno avuto in questi anni rapporti deficit/PIl ben lontani dalla via verso il pareggio, la Germania non ha rispettato la regola sui limiti del surplus commerciale e l’Italia stessa (sotto la spada di Damocle di minacce di procedure d’infrazione poi non avviate) ha derogato dal sentiero del Fiscal Compact come e quando ha voluto. Godendo di fatto di un contesto assai più morbido del previsto soprattutto dopo la Brexit. Mentre tra istituzioni comunitarie e paesi membri si giocava questo balletto pirandelliano il dibattito tra gli economisti ha fatto presente che il pareggio di bilancio (seppure mitigato dai bizantinismi sull’output gap) non appariva affatto la via maestra per perseguire crescita economica e aggiustamento della finanza pubblica nel campo di gioco macroeconomico di questi anni. E che la camicia di forza del Fiscal Compact ci impediva di avvantaggiarci di una grande opportunità dei nostri giorni: la possibilità di indirizzare risorse pubbliche in un’era di tassi quasi su investimenti infrastrutturali ad alto moltiplicatore, ovvero in grado di generare crescita economica e risorse fiscali tali a coprire l’iniziale aumento di spesa pubblica. Opportunità suggerita persino da economisti che in passato hanno sostenuto che la riduzione della spesa pubblica ha avuto effetti espansivi e non recessivi hanno scritto e sottolineato che questa era un’opportunità da cogliere, e dallo stesso governatore Draghi nel famoso discorso di Jackson Hole affermava che la via maestra non era quella di ridurre ma di riqualificare la spesa pubblica muovendo da utilizzi a basso ad utilizzi ad alto moltiplicatore. La strategia di Renzi per la battaglia di autunno appare dunque sacrosanta in termini di principio e anche opportuna in una prospettiva di strategia politica. In termini di principio deve servire come grimaldello per arrivare alla definizione di un’Europa diversa che includa anche un percorso per l’armonizzazione fiscale, la mutualizzazione del debito e una misura integrata europea di reddito d’inserimento per aiutare i disoccupati e gli scoraggiati a tornare sul mercato del lavoro. In termini di strategia politica appare fondamentale per rompere l’assedio di una narrativa che si è impadronita di una parte del paese e che ritiene il partito di governo, l’euro e i migranti un unico blocco monolitico responsabile di tuti i mali del paese. Inutile pensare che bastino argomenti robusti (che pure abbiamo esposto più volte su queste colonne) per affermare che i problemi e le soluzioni del paese sono altre. La vera sfida (che si gioca parallelamente a quella europea) è riuscire a riconquistare una parte di coloro che credono a questa narrativa. E per farlo bisogna sparigliare il campo rompendo l’asse immaginario partito di governo-ortodossia europea. Il lato migliore da cui farlo è probabilmente quello della lotta all’austerità. La prossima stagione ci dirà se la doppia sfida potrà essere vinta.