Ricordo di Rossana Rossanda

Ci sembra giusto associarci alla commozione per la morte di Rossana Rossanda, sia per la sua alta lezione morale sulla dignità della politica, sia per la sua sensibilità ai valori evangelici alimentata dalla sua amicizia con autentici cristiani, da padre Benedetto Calati a Giuseppe Barbaglio. Nella commemorazione romana in piazza Santi Apostoli è stato ricordato il suo percorso politico, e ne è stato tratto motivo per parlare non solo del nostro passato, ma del futuro, di quanto ci rimane da fare tra il meglio da attuare e il peggio da scongiurare e sconfiggere. Ma soprattutto quella comunione di popolo stabilita nel suo nome, è apparsa a noi come un attestato del mistero della vita umana che, dalla più povera alla più ricca, non viene “tolta”, ma lavorata e trasformata dalla morte, perché ogni persona è un infinito che per l’appunto non conosce fine.
In ciò la stessa Rossana era contraddetta su quanto aveva affermato in morte del grande amico suo e nostro, il padre Benedetto Calati, sul “Manifesto” del 26 novembre 2000, quando aveva scritto che si era spento con lui “un monaco raro che amavamo e che ci amava e per noi, che non speriamo nell’eternità, per sempre perduto”. Anche Rossana Rossanda era una comunista “rara”, ma non è affatto perduta per sempre, e sarebbe un guaio che proprio le persone più rare fossero quelle più perdute, quando invece sono proprio quelle che ci aiutano a non perderci anche noi.
E la differenza non sta nel credere o non credere all’eternità, perché le categorie di credenti e non credenti sono due categorie polemiche, cattivo retaggio della modernità, che non furono in principio e che sarebbe gran tempo di superare; la Rossanda, con l’etichetta “non credente”, insieme a Pietro Ingrao e a Mario Tronti saliva ogni anno al monastero camaldolese di Montegiove per discutere con padre Benedetto ed altri monaci e laici di ogni confessione di “temi e dilemmi sapienziali”, come lei stessa scriveva, “che in ultima istanza non sono così distinguibili tra religione e religione, religione e laicità”: e infatti sono gli stessi; e sono tra quelli evocati, pur se in altre categorie e con altre parole, anche nell’ardore dell’agone politico.
E a proposito dei “non credenti” la Rossanda, citando padre Calati, scriveva che questa definizione non poteva a lui “importare di meno giacché Dio, era scritto, aveva amato il mondo, non solo i fedeli”. E se del cristiano è “in più la fede”, essa è “meno essenziale dell’amore” che invece è di tutti: e questo non lo ha scritto solo la Rossanda sul “Manifesto”, sta scritto in ambedue i Testamenti e in tutte le Scritture.
Dunque la differenza, per la quale nessuno è “per sempre perduto” non sta nel credere o non credere nell’eternità , ma nel credere o non credere, nel praticare o non praticare l’amore; per questo Rossana Rossanda non è perduta, e nemmeno i comunisti come lei: perché si può essere rivoluzionari una settimana, si può essere rivoluzionari dieci anni, e anche si può essere rivoluzionari per venti anni “per professione”, ma non si può essere rivoluzionari tutta la vita se non per amore.
Perciò lei non è perduta per sempre, e “per favore”, direbbe papa Francesco, non ci perdiamo neanche noi.

Di Raniero La Valle