Quando la Chiesa non fa politica (quella che si vorrebbe)

Sabato, 16 Maggio, 2020

Ernesto Galli della Loggia è senza dubbio un attento osservatore delle dinamiche socio-culturali e politiche del nostro tempo. La sua sicura fede liberale ne fa un ascoltato opinion maker. I suoi interventi dalle colonne del Corriere della Sera sono solitamente illuminanti, certamente discutibili, ma comunque bene  argomentati. Sorprende di più perciò vedere la sua firma sotto un articolo superficiale, contraddittorio e impreciso, quale è il fondo apparso sul Corriere di domenica 10 maggio, dal titolo apparentemente neutro e anodino di Una Chiesa poco politica.

La tesi è annunciata con chiarezza sin dall’inizio. «È ormai un luogo comune notare il carattere profondamente politico del pontificato di papa Bergoglio. In verità, però, più che politico il suo appare un pontificato ideologico, e le due cose non sono affatto la stessa cosa.» L’accusa è netta. La Chiesa, sostiene il Nostro, ha sempre fatto politica. Ma con Bergoglio la politica vira nell’ideologia. Lo stigma dell’ideologia cade sull’azione di papa Bergoglio come una macchia decisamente negativa, che segna in maniera indelebile tutto il pontificato. Con uno stile più paludato e politically correct Galli della Loggia si iscrive così al gruppo degli accusatori del papato di Francesco, i quali occupano con grande clamore (anche se con non eguale correttezza) le piazze mediatiche. Galli della Loggia insomma non è un Socci, che attacca fuori dai gangheri papa Francesco per poi scusarsi subito dopo (lasciando perplessi sulla serietà del comportamento. A quale dei due Socci credere?). Ma l’esito è il medesimo.

E identica però è anche la perplessità. E sì, perché l’argomento di Galli della Loggia avanza a forza di contorsioni logiche, che a ogni passaggio si fanno vieppiù involute. Egli non crede che papa Francesco sia «uscito dal solco del cristianesimo». E però, «il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso». Dunque in realtà papa Francesco esce da quel solco, essendo il cristianesimo evidentemente una religione. Il motivo è presto detto. Il Papa entra nell’agone politico chiedendo giustizia sociale, sollecitando attenzione all’ambiente naturale. Dunque fa politica. In modo evidentemente improprio, dato che così «il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei cattolico tendono ad essere messi sullo sfondo fino a svanire». La Chiesa non dovrebbe fare discorsi del genere. Anche se, conviene Galli della Loggia, «tutto ciò che è la sostanza di quel discorso [del Papa] è in sintonia con la sostanza del messaggio cristiano». Anzi, queste «sono tutte cose certamente più che compatibili, in certo senso addirittura connaturate al messaggio evangelico». Ma allora il Papa non sta facendo affatto politica, non sta affatto facendo svanire il Vangelo; e la sua esortazione a costruire una polis giusta non è fuori luogo. Il problema è che egli fa politica in modo sbagliato. E perciò non fa politica, ma, come annunciato, ideologia. «È così che alla fine quel discorso, privo di una significativa innervatura religiosa, resta solo un discorso ideologico». L’esito non può che essere disastroso. La Chiesa così si condanna all’irrilevanza politica. «Qualcuno ha notizia di una presa di posizione autorevole, di un gesto realmente significativo, di una iniziativa di rilievo, di un qualcosa qualunque da parte della Santa Sede o della Chiesa Cattolica?», si chiede retoricamente Galli della Loggia.

Si potrebbe continuare. Più interessante e importante è però cercare di far emergere bene le motivazioni che reggono l’analisi di Galli della Loggia, il suo arrière-pensée, che deve rimanere sullo sfondo senza diventare manifesto. Vorrei portarlo alla luce per scoprirne la natura tutta ideologica ideologica. Perché se c’è una ideologia in ballo, questa è proprio quella che sovrintende tutta l’argomentazione del commentatore del Corriere. Egli vorrebbe infatti una Chiesa preoccupata della dimensione religiosa individuale (essa dovrebbe esortare «alla necessità del pentimento e della conversione o a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione»), ma silente o distratta, se non corriva, circa la dimensione sociale dell’iniquità; ma soprattutto ferma nel difendere la superiorità minacciata dell’Occidente (come conferma l’ironico interrogativo sopra riportato, con cui il notista chiude l’articolo). Quella che qui si invoca è una sorta di nuova Santa Alleanza, in cui l’altare faccia da puntello a un trono malfermo. La cosa peraltro non sorprende chi conosce bene l’origine e la sostanza del pensiero liberale, disposto ad accettare la presenza della Chiesa a condizione che non intervenga nell’agone pubblico o lo faccia solo a difesa dell’ordine costituito.

La posizione è degna della massima attenzione. È ottocentesca, è vero. La si può condividere o meno (e io non la condivido). Ma merita comunque rispetto.

Non è però nemmeno questo il punto massimamente problematico. Il vero nodo problematico sta nella limitatezza dell’orizzonte antropologico e culturale disegnato nell’articolo. Quando Galli della Loggia passa a segnalare le colpe dell’azione di Francesco questo limite emerge subito evidente. L’ideologia papale si sostanzierebbe infatti in due fattori principali: la scelta dei destinatari del messaggio e lo“sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico” del discorso. I destinatari non sono più i potenti (Galli della Loggia, forse per pudore, non li nomina così; ma a essi chiaramente si dì riferisce), ma niente di meno che tutti, i “soggetti vittime di situazioni negative”. Il populismo è in agguato: ecco l’ideologia denunciata dal giornalista. Quello sfondo poi avvicina il Papa al comunismo, l’ideologia per eccellenza. Galli della Loggia non usa la parola abominevole. Ma, pudicamente, “comunitario”; termine che però perde subito ogni possibile senso positivo, dato che è messo in simbiosi con “anticapitalismo”. Il messaggio è chiaro.

Cosa dunque Galli della Loggia rimprovera al Papa? Ciò che il giornalista del Corriere non accetta è il fatto che papa Francesco osi disidentificare la Chiesa con l’Occidente; che stia dando corpo alla realtà cattolica della Chiesa (cattolica, ricordiamolo un attimo, significa alla lettera ciò che è secondo la dimensione della totalità,  kath’holon); che interpreti la cattolicità non solo secondo lo spazio geografico (esiste qualche altro mondo oltre l’Occidente) ma anche secondo lo spazio sociale (esiste qualche altro mondo oltre quello delle stanze dei potenti). Di questo mondo altro lo sguardo ristretto di Galli della Loggia non ha minimamente percezione; o forse meglio, ha sì percezione, ma non ha com-passione, non lo ritiene cioè dignitoso e degno di attenzione e cura. Per l’autore dell’articolo non ci può essere il minimo dubbio su quale sia il mondo: noi, l’Occidente. E in questo, l’Occidente ricco. I poveri, gli emarginati, gli ultimi – extracomunitari (parola oscena) o italiani che siano – non ne fanno parte. Non possono farne parte. Lo dice il destino, la storia, la natura. Dio. Misero è questo orizzonte.

La cosa buffa, veramente disarmante, è poi che egli possa denunciare “l’abbandono sostanziale di un’altra declinazione tipica della pastorale pontificia: vale a dire di quell’universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari”. Viene da chiedersi: ma Galli della Loggia ha mai approfondito e capito (letto lo avrà fatto certamente) i documenti conciliari? Ha  meditato sul fatto che proprio Giovanni Paolo II ha introdotto nella dottrina sociale il concetto di peccato sociale (“È tuttavia un fatto incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici, crea nel mondo di oggi molteplici strutture di peccato (cfr Sollicitudo rei socialis, 36; Catechismo della Chiesa Cattolica1869).” – udienza del 25 agosto 1999)? Cosa mai può essere l’universalismo umanistico se non l’attenzione a ogni uomo, a tutto l’uomo, nella prospettiva di un umanesimo integrale (che, ricordava Paolo VI nella Populorum Progressio (14), non è altro dalla “promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”)? Domande evidentemente destinate a rimanere senza risposta.

La trahison des Clercs. Il tradimento dei chierici: così in un famoso libro del 1927 Julien Benda denunciava il “venir meno al loro ministero spirituale” da parte degli intellettuali del suo tempo, accusandoli di aver rinunciato al servizio della verità in nome di interessi più nobili solo in apparenza, essendo in realtà coincidenti con le utilità del potere. Il decennio successivo al 1927 ha mostrato senza ombra di dubbio quali conseguenze nefaste possa avere la copertura ideologica che gli intellettuali hanno offerto al potere politico. Ci piacerebbe che Galli della Loggia riflettesse su questo pericoloso scenario.

Walter Fratticci
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