Perché il martirio sia fecondo

Giovedì, 28 Luglio, 2016

L’uccisione dell’anziano parroco in Normandia mentre celebrava la messa, ad opera di due giovanissimi islamici, ha avuto unanime condanna.

Alcuni commenti si sono fermati su aspetti che vale la pena riprendere.

Il tema della difficile integrazione che riguarda seconde generazioni e che ci parla di una difficoltà che non può essere fatta risalire solo a condizioni economiche e ambientali, bensì culturali. Ma dobbiamo intenderci la nostra cultura è insufficiente e il nostro modo di trasmetterla inadeguato, parametrata su una società che non c'è più. Il mondo globale chiede un senso nuovo di appartenenza e di cittadinanza che non può più essere solo nazionale, né della nazione di provenienza, né di quella di cui si è cittadini: c’è una mondialità obbligatoria che va declinata in positivo.

Quali fattori possono contribuire a questa cittadinanza? Quali valori? Alcuni commentatori hanno sottolineato la vitalità del mondo cattolico francese pur in presenza di una scristianizzazione più massiccia di quella italiana. Non so se sia vero. Mi pare vadano in ogni caso fatte due considerazioni: non ci troviamo di fronte ad un conflitto anticristiano. Viene colpita la religione certo, anche nella sua debolezza, perché rappresenta comunque un simbolo che risalta nel vuoto attuale; in secondo luogo possiamo notare che la maggior parte delle vittime del terrorismo islamico in Europa, sono a tutt’oggi musulmani (30 su 84 solo a Nizza).

Anche qui si tratta di capire e di cogliere come le religioni, il dialogo tra esse, il porsi da parte degli Stati in un atteggiamento di laicità positivo, che riconosce il valore delle religioni anche nella costruzione di un ethos comune condiviso, non scadendo in una laicità neutra, sempre preludio di laicismo e di degenerazioni. Può essere un fattore di rilievo, non indifferente per costruire i famosi ponti del dialogo. Questo gli Stati debbono mostrare di saperlo.

Il cristiano, notava il segretario della CEI, non è certo un ingenuo, ma non cade in reazioni puramente istintive ed evita logiche di chiusura e di vendetta.

Farebbero sorridere le difese delle identità cristiana ed europea, fatte da esponenti politici che lucrano il consenso esattamente su una facile demagogia che sollecita e asseconda gli istinti, ma non vuole e, soprattutto, non sa costruire progetti e indicare scenari.

La situazione è difficile e sarebbe bene che se ne rendesse conto anche chi in politica accede con troppa facilità alle derive individualistiche del nostro tempo, capaci in definitiva di deresponsabilizzare e indebolire tanti, specie i giovani.

Papa Francesco ha parlato di una “terza guerra mondiale a pezzi" precisando però, in queste ore, che non ci troviamo di fronte ad una guerra di religione: "tutte le religioni - ha detto Francesco - vogliono la pace, questo è un conflitto di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli”.

Non ci possiamo stancare di ripeterlo: serve cultura. Ai numeri esponenziali di docenti di ogni ordine e grado non corrisponde un livello adeguato di lettura della realtà e di sostegno delle necessarie progettualità. Serve formazione, quella vera. E le centrali educative, ivi comprese quelle rappresentate dall’associazionismo cattolico, debbono interrogarsi a fondo per chiedersi se la loro proposta è adeguata e se davvero si sta facendo il possibile per una vasta azione educativa che offra valori e grandi ideali da seguire: il segno della secolarizzazione è il vuoto, l’indifferenza, l’autoreferenzialità di tante esperienze.

Serve la sicurezza. E qui è chiamata in gioco in primis la politica: non solo per l’accoglienza e per dispiegare forze che tentino di assicurare l’ordine pubblico a fronte di una logica di attacco difficilmente presidiabile; no, serve – e solo la politica può farlo – un disegno complessivo, che trovi l’adesione di tanti Stati a partire dall’Unione europea; perché il tema della sicurezza è in realtà quello dell’integrazione, è un tema enorme che non è possibile affrontare e risolvere da soli. Vivremo a lungo giorni di ansia. Giorni in cui possiamo attenderci da un momento all’altro notizie di morte.

Nella sua ultima lettera ai parrocchiani, padre Jacques, il mite parroco francese (la parrocchia aveva donato il terreno per costruire la moschea), parlava del tempo delle vacanze, come di un tempo dove sia possibile sentire “l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, e a farne, là dove abitiamo, un mondo più caloroso, umano, fraterno”. Queste parole, di un martire del nostro tempo, possono dare speranza così come dà speranza la logica della misericordia e del perdono. Il martirio può essere fecondo. Ma questa Europa, questa Italia, debbono riscoprire la fede, le religioni, non come fonte di conflitti e neppure come matrice di civiltà - sarebbe tardivo ma insufficiente -  bensì per ciò che veramente sono: un modo per ogni essere umano di confrontarsi con se stesso e con gli altri, trovando ogni giorno le ragioni per la pacifica convivenza.