Occorre un nuovo patto sociale per il lavoro

Venerdì, 27 Ottobre, 2017

CAGLIARI – Si sono accesi ieri, a Cagliari, i riflettori sulla 48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Sono giunti in Sardegna centinaia di delegati diocesani, insieme a numerosi rappresentanti delle associazioni e dei movimenti laicali cattolici. Vi rimarranno fino a domenica 29 ottobre. Hanno portato in valigia molte domande, tante idee, non pochi dubbi e tanto slancio programmatico. La loro attenzione è rivolta al lavoro, con le sue luci e le sue ombre, così come si profila al tempo del Jobs Act, dell’immigrazione, della globalizzazione. Il tema, che prende spunto da un’indicazione pastorale della Evangelii Gaudium di Papa Francesco, ha tutt’intera la forza enunciatrice di un vero manifesto rivolto al Paese: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale.”

Ma che cos’è una “Settimana Sociale”? Lo abbiamo chiesto a Nicola Campanile, ispettore dell’INPS, Segretario regionale del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica per la Campania, nonché Segretario dello stesso movimento nella diocesi di Napoli. Campanile spiega: “Le Settimane sociali dei cattolici italiani nacquero nel 1907 per iniziativa dell’economista ed ora beato Giuseppe Toniolo e furono pensate come “riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano. Furono come delle “porte” attraverso le quali i cattolici italiani tornarono ad un impegno significativo sociale e politico nello Stato unitario dopo il “Non expedit” di Pio IX del 1874.” Guardando all’evento di Cagliari, aggiunge: “Merita una sottolineatura il fatto che questa 48° Settimana sociale ha come tema “Il lavoro che vogliamo”. Sarà la terza volta nella storia delle Settimane sociali che il lavoro è posto al centro della riflessione assembleare. In precedenza lo era stato nel 1946 a Venezia, pochi mesi dopo che l’Italia vedesse nascere la Costituzione della Repubblica “fondata sul lavoro” e nel 1970 a Brescia, nell’anno che ha visto nascere lo Statuto dei lavoratori. Ebbene, anche oggi i cattolici hanno l’aspirazione di arrivare a formulare proposte concrete di cambiamento da sottoporre alla politica e alla società.”
Da uomo del Sud, attivo per il Sud, Nicola Campanile è stato a più riprese impegnato in ambito tecnico-amministrativo e politico: dal 1996 al 2001 – per dirne una – è stato sindaco anti-camorra di Villaricca, alle porte di Napoli. Ora, da Cagliari, la Chiesa eleva l’invito energico all’impegno sociale e politico sul fronte della promozione occupazionale; un invito che interpella in modo speciale i cattolici del Mezzogiorno, laddove è più difficile realizzare un lavoro dignitoso. Campanile commenta: “E’ senz’altro necessario un nuovo ed efficace protagonismo dei cattolici del Sud nell’impegno sociale e politico. Il divario con le altre regioni del Paese si è accentuato, il tempo spesso è passato invano e abbiamo colpevolmente sprecato più di una occasione di rilancio. Occorre un nuovo patto sociale per il lavoro e per lo sviluppo, che superi le logiche delle misure emergenziali.”
Certo è che nell’emergenza tutto pare che cambi, ma il cambiamento – quello che sa di riforme strutturali e di miglioramento continuo – sembra muover lento i propri passi. Tanto più se nelle regioni del Sud. Ci si chiede, a questo punto, se sia davvero cambiato, negli ultimi anni, il mondo del lavoro; se sono tangibili alcune differenze rispetto a vent’anni fa. Il Segretario MLAC risponde: “La globalizzazione dell’economia ha visto affacciarsi sul mercato continenti che erano esclusi da ogni prospettiva di sviluppo. Oggi i paesi emergenti crescono offrendo dei vantaggi competitivi enormi in materia di costo del lavoro, con vincoli sulla sicurezza del lavoro e di rispetto dell’ambiente quasi inesistenti, con un vero e proprio ‘dumping’ sociale. Bisogna però dire che in Italia, più che puntare sul valore aggiunto dell’innovazione e della ricerca, spesso si è pensato a competere con loro, puntando sulla riduzione del il costo del lavoro e/o rendendolo più precario.”
Vera utopia per gli imprenditori sembra, intanto, il poter coniugare il reddito e la qualità della vita, puntando al valore economico delle imprese. Al di là dei giudizi facili e dei pregiudizi recidivi, s’annida in chi gestisce un’azienda la sfiducia e la rassegnazione, se non anche un senso di solitudine nei confronti dello Stato. La tendenza è rinchiudersi nella cura esclusiva del proprio interesse, con minore attenzione al sociale. Sappiamo, del resto, quanto difficili siano gli investimenti soprattutto a sud di Roma e quanto gravose siano le condizioni per continuare a reggere sul mercato. Controbatte Campanile: “Sì, non è facile. La sfiducia è comprensibile. Vorrei però ricordare le parole di Papa Francesco agli imprenditori di Confindustria nell’Udienza del 27 febbraio 2016, nella quale ha ricordato loro che hanno “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti” e che sono chiamati “ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del lavoro”. L’impresa che voi rappresentate sia invece sempre aperta a quel significato più ampio della vita, che le permetterà – afferma poi nella “Evangelii gaudium” – di “servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo”. Proprio il bene comune sia la bussola che orienta l’attività produttiva, perché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia «insensibile allo sguardo dei bisognosi”.
E per Campanile proprio il messaggio di Papa Francesco sul lavoro prende la forma di un processo formativo continuo, che parte da lontano e stilla, giorno dopo giorno, le sue provocazioni: “Sembra che Papa Francesco stia scrivendo una vera e propria enciclica “a pezzi” sul lavoro. E il legame che Francesco evidenzia sempre con particolare insistenza è quello tra il lavoro e la dignità. Ricordo che già nell’udienza generale in Piazza San Pietro, nel suo 1 maggio, era il 2013, Papa Francesco disse che il “Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione.”
Ma che cosa significa promuovere una “cultura d’impresa” in Campania? La risposta incrocia terreni diversi della realtà lavorativa, dall’innovazione tecnologica alle istanze disciplinari, dalla gestione finanziaria ai codici deontologici. La ‘morale’, alla fin fine, s’estrinseca in misure correttive rivoluzionarie, che cambiano dal di dentro la trama del lavoro in Campania. Campanile non usa mezzi termini ed individua quattro linee d’azione: “Occorre stravolgere l’impianto della Pubblica amministrazione, conferendole competenze e responsabilità; occorre contrastare radicalmente i fenomeni corruttivi e di illegalità, partendo dai piccoli abusi per arrivare ai grandi crimini mafiosi; occorre promuovere la cultura del merito e del coraggio; occorre investire nel capitale del “sapere” e del “saper essere”.
Il nodo resta quello che stringe in un sol groppo i giovani ed il lavoro. La disoccupazione giovanile, inutile a dirsi, resta un dramma. Anche coloro che non rivestono ruoli governativi sono chiamati, in scienza e coscienza, a cercare modalità efficaci per trasformare un’emergenza sociale in una priorità strategica, onde evitare lo spopolamento di tante aree interne del meridione e la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’, dal Sud e dall’Italia intera. Precisa Campanile: “Da decenni continuiamo a regalare alle regioni del centro nord e all’estero il talento dei nostri giovani. Per ciascuno di loro le famiglie e le agenzie formative pubbliche hanno investito centinaia di migliaia di euro. Possiamo creare le condizioni per far crescere nel nostro Sud i germogli che con amore e sacrificio coltiviamo. La centralità della preparazione delle competenze deve essere messa al servizio della comunità, a partire dalla valorizzazione delle risorse dei nostri territori.” Le competenze, per l’appunto. Quelle che gli studenti dovrebbero poter maturare a scuola. Quella cagliaritana è una riflessione che induce a considera re le filiere locali della formazione professionale, quelle che a livello regionale, in tutt’Italia, interpellano il mondo dell’istruzione e quello della formazione professionale, senza escludere peraltro la formazione degli adulti.
A Cagliari ci s’interroga anche sull’educazione al lavoro, quale grimaldello per aprire un varco nella crisi occupazionale. Così Campanile: “E’ fondamentale l’interazione tra agenzie formative e mondo dell’impresa. Si consideri che in Germania solo nei “centri per l’impiego” sono impegnate oltre centomila funzionari pubblici altamente professionalizzati. In Italia sono meno di diecimila. Le politiche attive per il lavoro devono integrare ed assorbire quelle passive. In questo contesto, credo sia necessario riprendere il cammino di potenziamento dell’ANPAL, l’Agenzia per le politiche attive per il lavoro, istituita con il Jobs act.”
La Settimana Sociale di Cagliari invita, dunque, a considerare il lavoro come fonte di ricchezza di una comunità, coniugando la sua creatività con la sua produttività. Il problema sta nel come armonizzare questi due aspetti qualificanti dell’attività lavorativa più recente. Il Segretario regionale MLAC chiude con fiducia: “In un contesto virtuoso, le energie liberate dalla morsa del pessimismo, dell’assistenzialismo, del ricatto possono trasformarsi in ricchezza e benessere per la comunità. Nonostante tutto, siamo già circondati da esempi positivi e buone prassi, purtroppo ancora poco conosciute. A Cagliari sono state individuate oltre 400 buone pratiche di lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale. Sono la nostra foresta che cresce nel silenzio.” (g. f.)