Maternità surrogata: tecnologizziamo l’uomo o umanizziamo la tecnica?

Mercoledì, 2 Marzo, 2016

Una delle poche certezze che le persone hanno da sempre avuto era: “mater semper certa est!” (la madre è sempre certa!), ma con lo sviluppo tecnico-scientifico si è reso possibile realizzare l’affitto dell’utero e la maternità surrogata.

Chiariamo subito che il bambino nato da utero in affitto, viene prima commissionato e comprato, poi, alla nascita, di fatto privato della mamma che lo ha portato nel suo grembo; nonostante si trovi ad avere ben quattro genitori, che sono: la donna che vende gli ovuli, quella che affitta l’utero e l’eventuale coppia di uomini gay che lo pagano.

È opportuno esplicitare che, la pratica di utero in affitto si ha anche quando una coppia desiderosa di figli, ma sterile (o per la sterilità di entrambi o di uno dei due) trova un’altra donna disposta ad accogliere nel proprio grembo l'embrione, fecondato in vitro, della coppia ordinante.

Se, invece, la donna offre oltre al proprio utero, anche la sua capacità riproduttiva, cioè accetta di farsi fecondare col seme del marito della coppia committente, in questo caso parliamo di  maternità surrogata.

In entrambi i casi la coppia committente (etero o omosessuale) ha trovato l'accordo di una donna a portare avanti una gravidanza o anche a farsi ingravidare con seme della coppia, a partorire il nascituro e dal momento della nascita a rinunciare a qualunque pretesa sul bambino partorito.

Generalmente, donne che vivono in situazioni disagiate, pur di ricevere un compenso economico vendono il proprio corpo, per favorire una gestazione il cui esito finale, cioè la nascita di un bambino, che non sarà il proprio figlio!

Le donne che accettano questi contratti, ovviamente sono sottoposte a controlli continui, proprio per garantire il buon esito finale, ma se durante la gravidanza emergono risultati negativi che evidenziano malformazioni di vario genere, chiaramente – si fa per dire – salta tutto, perché il nascituro è considerato “merce” a tutti gli effetti!

Questa è davvero la nuova forma di schiavitù, che oltre a non permettere al nascituro di conoscere le proprie origine biologiche, arreca un grave danno psico-fisico alla salute della donna.

Il fine di volere un bambino, ammesso e non concesso che si possa a tutti i costi “volere” un figlio, non può comunque contemplare come mezzo l’uso di tecniche di procreazione assistita quali queste della maternità surrogata o utero in affitto.

Già secoli orsono il grande Kant disse: "non trattare mai l'umanità che è in te e negli altri come mezzo ma sempre come fine”.

            Il “desiderio-capriccio” di volere un figlio a tutti i costi, si ha da parte di coppie (economicamente benestanti) solitamente omosessuali, e questo non può essere riconosciuto come un diritto!

Tutto ciò è un grande business economico per le aziende che organizzano questi contratti, ma da un punto di vista bioetico ciò che è grave è la perdita di dignità di persona che si crea, scambiando quindi la persona per un oggetto da acquistare in base a determinati standard da poter scegliere: etnia della donna che deve fornire gli ovuli, caratteristiche dei gameti maschili e femminili, etnia della donna che deve “affittare il suo utero”!

Su questa situazione della “maternità surrogata” il Parlamento europeo lo scorso 17 dicembre ’15 ha espresso ufficialmente la piena condanna, dicendo che l’utero in affitto è pratica che “compromette la dignità umana della donna,  deve essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani”.

Ancora un richiamo si è avuto lo scorso 2 febbraio ’16 nella sede dell’Assemblea nazionale francese si sono riunite le rappresentanti di molte associazioni femministe per chiedere la messa al bando della maternità surrogata, ovvero la pratica della “Gestazione Per Altri” (GPA): “chiediamo alla Francia e agli altri paesi europei di rispettare le convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino di cui sono firmatari e di opporsi fermamente a tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata sul piano nazionale e internazionale.

Secondo i dati del 3° Rapporto Mondiale sulle Tratte Sessuali (2012) sono 73milioni le vittime di tratte nel mondo, un dato che aiuta a capire quanto la criminalità possa incoraggiare il mercato della maternità surrogata poiché più redditizio di altri, meno rischioso, addirittura legale in alcuni Paesi, giungendo così a generare un potenziale giro di affari di 153 milioni di dollari annui. Dimostrazione spicciola che la “surrogazione” dell’utero non realizza un atto di liberalità, ma un nuova forma di schiavitù, la più remunerativa.

La filosofa Sylviane Agacinski, animatrice della battaglia, ha sottolineato che si tratta di una battaglia per “impedire che, come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestatrici di un servizio: sessuale, o materno. Il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico. La madre surrogata non è forse madre genetica ma è senza dubbio anche lei una madre biologica, tenuto conto degli scambi biologici che avvengono per nove mesi tra la madre e il feto. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato”.

Lo psichiatra Paolo Crepet ha detto che la maternità surrogata ruba l’identità al bambino. Rispondere alla domanda tipica di ogni essere umano, 'chi sono io?', è un dovere assoluto, è addirittura fondativo della nostra vita. Pensiamo al caso, seppure diverso, dei figli che sono adottati dalle famiglie: presto o tardi ci chiedono sempre da dove vengono, vogliono andare a vedere il loro Paese, ove possibile anche incontrare i genitori naturali, cercare quella famosa risposta. Ma con l’utero in affitto questa risposta non è possibile darla, ed è un’aberrazione inaccettabile.

Ancora Crepet dice “non c’è alcun dubbio che avere accanto la figura maschile e quella femminile è l’ideale, ma oggi spesso prevale un pregiudizio positivo, e cioè che 'basta l’amore', da chiunque ti arrivi. È una grande sciocchezza, dietro la quale ci sono soldi e belle parole che ti rubano l’identità”.

Sempre più ciò che è tecnicamente possibile sta diventando umanamente plausibile in nome di una richiesta di diritti sempre più soggettivi a scapito di un bene comune con forti ripercussioni sociali e culturali.

L’auspicio è che con il progresso della tecnica possa esserci anche un salto di qualità da un punto di vista antropologico che ri-ponga la visione della persona così come natura crea e che il dato biologico non sia occultato da sentimentalismi culturali ora di moda.

 

                                                                                              

Antonio Citro, bioeticista