A margine dell’attualità europea

Giovedì, 7 Maggio, 2020

Profilo unitario dell’Italia o soggettività politica dell’Europa?

Il passaggio tragico e doloroso della pandemia lascia in eredità non solo lutti: una lettura attenta delle vicende di queste settimane, che scelga di misurarsi con la realtà senza pregiudizi e senza pretese di paradigmi rigidi, lascia emergere alcune grandi questioni che già adesso rappresentano i veri nodi per guardare al futuro. Fra questi ha un ruolo e un peso particolare quello che investe non solo il futuro dell’Unione Europea ma più radicalmente la sua natura. L’incertezza e la fragilità politica con cui le istituzioni dell’Unione hanno elaborato e articolato una risposta alla crisi sanitaria e a quella economico-sociale ad essa connessa pongono un nodo politico e culturale per certi aspetti epocale. E questo perché i limiti di un meccanismo decisionale costruito attorno al punto di caduta dell’accordo fra gli stati membri, dunque alla composizione di un difficile equilibrio fra diversi interessi nazionali rappresentati dai rispettivi esecutivi, non solo ha reso complesso trovare la strada di adeguate misure economiche, ma rende del tutto impossibile un coordinamento delle strategie sanitarie fra i paesi europei.

Questo stato di cose mette a nudo non tanto una crisi dell’Europa quanto un bisogno urgente di Europa. Quest’ultima si trova nella necessità di andare oltre il proprio assetto attuale e di riprendere le fila di un itinerario politico che abbia i contenuti e gli obiettivi di un processo costituente continentale.

Alcune iniziative di questi giorni possono essere lette come una risposta a questa serie di interrogativi. La proposta di una forma di solido e unitario coordinamento della presenza italiana all’interno delle istituzioni dell’Unione, che si vorrebbe inquadrato all’interno di un orizzonte di matrice popolare e che avrebbe nell’attuale Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, e nel suo predecessore, Antonio Tajani, le sue figure di riferimento, guarda in quella direzione. Può essere inteso come il rinnovarsi della consapevolezza dell’importanza della “questione europea” per il futuro del paese. Eppure, anche questa iniziativa sembra muoversi senza una valutazione più profonda sul senso che questo passaggio storico, con il precipitato esperienziale che lo accompagna e accomuna tutte le cittadine e i cittadini europei, porta con sé.

Al di là della necessità di ribadire quanto l’Europa sia uno dei pilastri imprescindibili dell’interesse nazionale italiano, occorre mettere a tema di un dibattito politico capace di animare un’opinione pubblica europea la questione della forma e della sostanza dell’Unione. L’inadeguatezza dell’attuale struttura, fondata sulla centralità dei rapporti intergovernativi, aveva già iniziato a mostrare i propri limiti con la crisi del debito greco e rivela ora tutto il proprio carattere anacronistico. Vi è cioè una fragilità che, se si esplicita nelle evidenti difficoltà del processo decisionale, ha la propria radice in un progressivo scollamento fra le ragioni originarie del progetto europeo, a partire da principi come quelli di giustizia, libertà e solidarietà, e le scelte operate dalle istituzioni comunitarie. I limiti di questa logica emergono anche in questa fase: nelle resistenze a gestire la crisi – tanto sul piano sanitario quanto su quello economico e fiscale – in una logica europea coordinata. Ed emergono anche nella sentenza della Corte Costituzionale tedesca rispetto alle decisioni della BCE, che sembra implicitamente considerare il livello normativo e politico europeo come altro rispetto all’ordinamento giuridico nazionale e dunque non applica alle norme deliberate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dei Capi di Stato dell’Unione e alle sentenze della Corte di giustizia europea il principio della gerarchia delle fonti.

Con questo insieme di nodi irrisolti occorre misurarsi con coraggio per scegliere un approccio, per certi aspetti rivoluzionario, che ridia un senso alla costruzione dell’unità politica europea. L’esperienza di queste settimane testimonia l’esigenza di abbandonare il paradigma imperniato sulle relazioni fra governi e sancito dalla centralità istituzionale del Consiglio Europeo, optando per una piena democratizzazione dei processi decisionali, che ponga il Parlamento Europeo al centro del processo di costruzione del consenso e di decisione politica dell’Unione. Il nodo storico con cui misurarsi è dunque non tanto quello di assicurare a ciascuno stato, Italia inclusa, un’adeguata rappresentanza unitaria nelle istituzioni europee, quanto piuttosto quello di far emergere quella soggettività politica dell’Unione che è il solo orizzonte che può essere ordinato ad un bene comune più largo e compiuto. Quest’ultimo non può più essere inteso come la risultante della mera composizione di interessi nazionali, ma si qualifica già ora come piena consapevolezza che questioni cruciali, che investono diritti e doveri dei cittadini, non sono esauribili a livello nazionale, ma trovano una risposta adeguata solo dentro un preciso e chiaro spazio politico europeo.

Riccardo Saccenti
Comitato Scientifico Argomenti2000