Ma il Papa non ha un piano politico

Nella conferenza stampa con cui celebrava la vittoria elettorale il ministro Salvini è tornato aostentare il rosario e riguardo alle polemiche legate all’uso di simboli religiosi ha ribadito di aver affidato al cuore immacolato di Maria non la sua personale vittoria ma l’Italia e l’Europa. Questo ritorno della questione delle radici cristiane del vecchio continente si intreccia a polemiche e aperte accuse che nella Chiesa riguardano la presidenza della Conferenza Episcopale e allo stesso Vescovo di Roma. Il consenso di cui la Lega gode all’interno di una parte, se non maggioritaria certamente organizzata, del cattolicesimo italiano è infatti divenuto il pretesto per una lettura “ecclesiale” del risultato delle elezioni europee. Ci si è spinti a parlare di un voto contro il Papa e il cardinale Müller ha qualificato come “bestialità” le critiche mosse a Salvini per il richiamo alla “tradizione cristiana”.

​Scendere in profondità in uno scontro così violento significa chiedersi che cosa sia veramente in gioco dentro la Chiesa. Si ha l’impressione che si voglia semplificare un quadro ben più articolato, riducendolo al confronto fra due alternative. Il magistero di Francesco e il primato del Vangelo che lo caratterizza vengono spesso dipinti come una linea pastorale che tende a fare del messaggio cristiano e della sua preoccupazione per gli ultimi la struttura portante per la costruzione di un programma politico e di un progetto di società. Di segno diametralmente opposto è l’impostazione di chi lamenta una deriva “politica” rispetto alla necessità di difendere la fede, intesa come insieme di valori – dalla vita alla famiglia “naturale” – e simboli identitari, messa in discussione dal relativismo laicista e anticristiano. Voler dipingere la situazione del cristianesimo in questo modo significa schiacciarlo su un’alternativa fra una dimensione tutta e solo sociale e ladimensione culturale della religione e dell’etica. Il cristianesimo è così inteso o come una cosa di questo mondo, cioè come una religio, un “legame” fatta di simboli e pratiche identitarie, o comeun’altissima etica sociale e individuale.

Questo aut aut è quanto di più estraneo all’idea di cristianesimo che Francesco tenta di introdurre anche in Italia e che è ben lontana dal considerare il Vangelo come un progetto sociale. Alla base del modo in cui questo pontificato guarda all’identità cristiana c’è un dato teologico cruciale che è assente dal discorso di chi lamenta pericoli per la fede o intromissioni indebite in politica: la centralità della resurrezione. È quest’ultima a qualificare il cristiano, perché la fede nella resurrezione apre alla speranza di un mondo che sarà fatto nuovo e ad un primato della carità che è ben più che un dato sociale. Senza lo “scandalo” della resurrezione, che mette in crisi tutti i paradigmi sociali e culturali, politici ed etici, resta solo l’alternativa fra un’identità culturale e una buona etica, ma non certo il cristianesimo.

Il punto allora non è lo scontro fra i cattolici leghisti e i cattolici antileghisti, fra bergogliani e antibergogliani. L’interrogativo è se il cristianesimo italiano sia oggi una “religione”, cioè solo un legame sociale fatto di simboli o di valori etici, oppure se sia una fede per la quale tutto quanto fa parte della vita e della storia è e resta relativo di fronte al mistero del Dio fatto uomo, morto e risorto. 

di Riccardo Saccenti