L'incultura e il potere

Fino a ieri l’intellettuale pentastellato, o a maggior ragione grillo-leghista, era molto difficile da trovare, almeno in ambito universitario. I loro adepti erano in genere dei “semicultivé”, ad es. molti insegnanti di scuola secondaria, ma non di quelli (sempre meno, purtroppo) che lo fanno per vocazione e che dunque sono intellettuali a pieno titolo, bensì di quelli che lo fanno per mancanza d’altro, possibilmente sotto casa. Di intellettuali veri, non ce n’era neanche l’ombra né fra i verdi, né fra i gialli, a parte qualche professore in università di Paesi in via di sviluppo, qualche vecchio rincoglionito e qualcuno che cercava di fare la mosca cocchiera, sperando di guadagnare prebende future (non si sa mai). Ora potete scommetterci che abbonderanno. Specialmente nella numerosa razza dei voltagabbana e dei saltatori sul carro del vincitore. O di quelli che non hanno mai avuto principi e neppure ideologie o ideali. Quelli per cui non solo il Novecento (con la sua distinzione destra-sinistra, che, per incidens, ammetteva anche il centro) è ormai finito, ma non era neppure mai iniziato. Ne vedremo di belle nei prossimi mesi-anni. Dal mio punto di vista schierarsi con questa gente (e con un Premier che oggi alla Camera ha dimenticato asetticamente il nome di Piersanti Mattarella) è segno di mediocrità intellettuale o di depravazione morale. E non perché io pensi che non ci sia nulla di buono dalle parti della nuova maggioranza. Magari è ben nascosto, ma qualcosa di buono c’è di sicuro (c’era persino nei totalitarismi del XX secolo, del resto). La questione è che bisogna avere una storia intellettuale per appartenere a questa vasta ed equivoca categoria, quella degli intellettuali, appunto. Solo una storia intellettuale permette infatti di ragionare e di pensare, magari anche sbagliando, evitando di vaneggiare nel nulla, anche se con molti soldi in tasca
di Marco Olivetti