Le due lezioni del covid-19 alla politica italiana

Lunedì, 4 Maggio, 2020

La pandemia ha colpito duramente dopo la Cina l’Italia e diversi paesi dell’Occidente, ha messo fortemente sotto pressione i sistemi sanitari, ha fatto migliaia di morti e centinaia di miliardi di euro di danni economici. L’analisi degli effetti della Pandemia ci porta a trarre due lezioni da imparare. La prima lezione per l’Italia è sicuramente quella del fallimento di un modello basato sul perverso modello di governance denominato federalismo differenziato. È la stessa idea di federalismo che va rivista e depurata da tutte le incrostazioni che negli ultimi anni si sono accumulate a seguito degli incoerenti interventi legislativi fatti dai diversi governi che per inseguire il consenso dimenticavano di valutare gli effetti delle loro scelte. La Lombardia, emblema dell’efficienza e dell’efficacia della sanità, è stata devastata molto più di altre regioni dalla pandemia di covid-19. Con una letalità che sfiora il 20% il covid-19 ha messo a nudo tutta la debolezza di un sistema che dietro un apparente aura di efficienza, nascondeva i limiti di un modello organizzativo che non aveva il paziente come riferimento finale. In un passato recente, l’on Giorgetti, esponente di spicco della Lega Nord menava vanto di aver riformato il sistema sanitario lombardo eliminando l’inutile orpello costituito dai medici di base. Si era costruito un sistema ospedalicentrico misto pubblico privato, che inseguiva i DRG più sostanziosi, che drenava risorse, attraverso la mobilità sanitaria, ad altre regioni e che si strutturava in un vero sistema di potere collaterale alla politica. La sanità territoriale veniva penalizzata e ridotta al lumicino, lasciando ai pronto soccorso degli ospedali il compito di diventare il trait d’union fra il paziente e il sistema sanitario. La pandemia è stata la Caporetto di questo sistema, perché una gestione corretta dell’epidemia impone di utilizzare prevalentemente la sanità territoriale, per tracciare i contagi e per tenere il più possibile lontano dagli ospedali i pazienti contagiosi.  L’esatto contrario di quanto successo in Lombardia, dove gli ospedali, in assenza di una sanità territoriali, sono diventati i primi propagatori del contagio. L’incapacità di individuare le catene di contagio sul territorio ha portato fuori controllo l’epidemia e ha determinato una pressione straordinaria sulle strutture sanitarie. Una letalità quasi del 20% è un dato abnorme che non può non richiamare a responsabilità precise di chi doveva coordinare e dare le direttive al sistema sanitario. Appare, quindi, evidente che si debba superare il modello della sanità regionale per tornare ad un vero Sistema Sanitario Nazionale gestito a livello nazionale.

Occorre ripensare il modello del regionalismo italiano e soprattutto correggere alcune anomalie nate dalla riforma del titolo V della Costituzione. Di fronte ad una epidemia è evidente che è difficile avere una strategia di contrasto unica, che è pur necessaria, se 20 regioni possono decidere in maniera difforme, ma a ben pensare anche in condizioni di normalità una sanità regionale non fa che amplificare le disparità regionali, alimentando una competizione sulle risorse fra le diverse regioni il cui effetto è la mobilità sanitaria. La ricetta è quindi quella di tornare ad una sanità nazionale.

La seconda lezione del covid-19 alla politica italiana è l’evidenza dell’inconsistenza dei populismi e la loro incapacità a confrontarsi con problemi di questo tipo. Il mondo si è scoperto fragile, ma sempre più interdipendente, i confini e i muri sono diventati vestigia del passato. Il virus ha passeggiato sulle certezze dei populisti, sulla loro sicumera che ogni paese deve risolvere i suoi problemi all’interno. Solo con un approccio globale e solidale può affrontare le nuove sfide che la nostra fragile civiltà dovrà affrontare in futuro. Virus, migrazioni, riscaldamento globale, povertà sono alcune delle sfide che dovremo affrontare e che potremo vincere solo se li affronteremo con una visione più ampia e con una apertura mentale che è l’esatta negazione del populismo.

 

Domenico Marino
Professore di Politica Economica – Argomenti2000 Reggio Calabria