La politica e la via difficile della pace

Sabato, 8 Dicembre, 2018

A volo di Rondine

L’approvazione del decreto sicurezza da parte del parlamento ha aperto nel paese una discussione assai dura sul contenuto del provvedimento e soprattutto su quella che è la visione delle cose che lo ispira. Si tratta di una discussione tutta centrata attorno alla “sicurezza”, dipinta come una vera emergenza a cui è lo Stato, con la sua forza, a dover rispondere, ma a cui dovrebbero poter rispondere anche i singoli cittadini qualora si sentano minacciati.

La vicenda del decreto del governo offre un punto di osservazione privilegiato su questo nostro tempo e sul modo in cui viene vissuto collettivamente da un paese, o forse da un intero continente, che sembra aver perso la capacità di leggere la realtà che lo circonda. Domina un senso di smarrimento, riflesso in una politica che, in cerca di parole spendibili sul mercato del consenso, ne ha scelta una, la sicurezza appunto, che ha il pregio di apparire facile ed estremamente “concreta”.

Eppure vi è una parola diversa, che identifica un modo alternativo di guardare il nostro momento storico: è la parola “pace”. Ad essa il vescovo di Roma ha fatto più volte riferimento nelle ultime settimane. Lo ha fatto una prima volta con la pubblicazione del messaggio per la giornata mondiale della pace 2019, nel quale ha ricordato come “pace” non indichi un ideale irraggiungibile ma qualifichi una progettualità, uno sforzo di comprensione e tessitura di relazioni fra individui, comunità e popoli. È la pace che diventa anima di quell’arte di occuparsi del bene dei molti e mai di quello dei pochi che è la politica. Questa pace, ha ricordato sempre Francesco ricevendo l’Opera “La Pira”, era il filo con cui il sindaco di Firenze volle tessere il futuro della propria città, riconoscendo nella sua storia una vocazione all’umanizzazione che è al servizio di tutti, soprattutto di chi è nel bisogno e in cerca di giustizia. 

Sullo sfondo di conflitti nascosti e di movimenti di popoli epocali che si vuol ridurre a questione di ordine pubblico, le parole di Francesco dicono un bisogno di politica; ma rispetto alla vicenda italiana dicono anche di un vuoto: quello di una cultura cattolico democratica e cattolico liberale che nella nostra storia aveva saputo, assieme alle altre grandi tradizioni politiche italiane, interpretare la pace come il progetto di un paese fatto nuovo dopo la tragedia della dittatura e della guerra. Quest’assenza di cultura politica nel nostro sistema dei partiti è tanto evidente quanto ignorata da un’opinione pubblica inebriata dalla concretezza dell’amministrazione onesta e ignara della necessità di quella grammatica della realtà che può venire solo dal pensiero.

Ridare alla politica la sua anima, la sua ragion d’essere, ossia la pace come umanizzazione della storia, richiede il ritorno a quel pensare politicamente da tutti dimenticato e di cui tuttavia si continuano a gettare semi preziosi in tante realtà. La comunità di Rondine, nella dimensione fraterna di giovani provenienti da paesi in guerra che cercano di gestire il conflitto e di ragazzi delle scuole italiane che si educano alla pace, è uno di questi semi, gettato nella coscienza profonda della terra di Toscana. La stessa che era stata arata, oltre mezzo secolo fa, da La Pira e da una generazione che aveva appreso come la politica, quando dismette la parola “pace” per inseguirne altre più facili, perde sé stessa e finisce per perdere anche le donne e gli uomini che dovrebbe servire.