La più grande disgrazia del dopoguerra

Mercoledì, 2 Dicembre, 2020

Domenica 23 novembre 1980 il TG della sera annunciò scossa di terremoto in Campania.  IL Giornale Radio delle 21 comunicò il crollo della Chiesa di Balvano.  L' ANSA alle 20,44 lanciò la notizia: "In Irpinia sarebbe l'epicentro del terremoto. Il Ministero non è riuscito finora a mettersi in contatto con alcuni degli osservatori sismologici attivi in Italia, perchè non sono stati reperiti i tecnici".  Il 24 novembre, si alzò un elicottero dell'esercito per capire le reali collocazioni del disastro, mentre gli osservatori mediatici e politici  regionali annunciavano il crollo di un edificio a via Stadera a Napoli.

"FATE PRESTO", mostrando macerie di paesi rasi al suolo, gridò IL MATTINO" che, però, sotto al titolone della prima pagina, che ispirerà grandi artisti come Warhol e Amelio,  collocava uno a fianco all'altro due articoli che emblematicamente segneranno per anni il dopo terremoto, "SOCCORSI LENTI SALE LA RABBIA"  e "NAPOLI DEVE TORNARE A VIVERE", contrassegnando la linea altalenante del giornale’. 

VERGOGNA griderà la gente a Pertini, giunto in elicottero il 25 novembre  nei luoghi del disastro.  Dinanzi alla catastrofe di interi Comuni  distrutti (3.000 morti, 9.000 feriti e 200.000 senza tetto), alle voci gementi che ancora salivano dai cumuli di macerie, il Capo dello Stato disse  “la più grande disgrazia dell’era repubblicana”, prima che fossero destituiti Prefetti e alti dirigenti e prima delle dimissioni del Ministro dell'Interno, rientrate però dopo qualche giorno. E solo al quinto giorno arrivarono le ruspe e i soccorsi  mentre veniva nominato Zamberletti commissario, amico atteso e molto apprezzato nella fase dell'emergenza dagli amministratori locali  che saranno i protagonisti della ricostruzione dei piccoli paesi distrutti.

Il ritardo nei soccorsi per salvare ancora vite gementi fu "ufficialmente" attribuito alla mancanza dalla Protezione Civile, prima  per le difficoltà di accesso dei mezzi dovute  al crollo di ponti e strade, poi al cattivo stato delle comunicazioni a distanza che impedivano la individuazione di destinazioni certe e successivamente all'enorme afflusso di mezzi carichi di aiuti e di volontari, preziosi in tutta la fase dell’emergenza, che esaltavano la solidarietà nazionale ma intasavano  percorsi e incroci ai quali non esisteva alcun servizio di sorveglianza e di indicazioni.

Tre anni dopo, documenti alla mano, i giornalisti de IL MATTINO Carlo Franco (recentemente scomparso mentre ancora si occupava del dopo sisma) e Antonio Aurigemma, provarono inequivocabilmente che il ritardo con cui giunsero i soccorsi fu addebitabile solo ed esclusivamente   alla confusione e alla lentezza di apparati per i quali le aree interne erano mondi lontani e marginali. "Alle ore 6 del 24 novembre, - scissero nel libro "De SANCTIS E L'IRPINIA cap. CENT'ANNI DOPO" - dieci ore dopo il disastro un radioamatore mise in contatto il Consigliere regionale Sena con Napoli... Ecco il testo agghiacciante della registrazione: "...non è arrivato ancora niente, non sono arrivati i militari, non sono arrivati i carabinieri, la situazione è disperatissima, io non riesco a collegarmi con la Prefettura di Avellino. Faccio anche presente che sono arrivato a S. Angelo comodamente, tranquillamente, via autostrada, uscita Grottaminarda transito per il bivio di Frigento e quadrivio di S.Angelo in non più di tre quarti d'ora da Avellino". Arrivò  Zamberletti, il padre della Protezione civile, accolto con sollievo dalle popolazioni che vedevano finalmente lo Stato all'opera, che decise di sistemare il Commissariato a Napoli - nella reggia dei Borboni  dirà  polemicamente De Mita - piuttosto che nelle aree disastrate.

Il  neo Commissario pensò di affrontare subito i problemi dei senza tetto importando  il sistema Friuli  dell'ESODO verso alberghi della costa, trovando ostruzionismo nelle popolazioni ma sostegno nel PCI che additava strumentali "mene locali"  dei DC preoccupati per lo spopolamento del proprio "dominio".   Giovanni Russo, mai tenero coi partiti di governo e i DC, definirà una DISGRAZIA  la direttiva del commissario che vedrà, al decimo giorno di piogge e neve,  centinaia di autobus vuoti ai piedi di paesi distrutti. Rossi Doria definì FOLLIA il piano di sfollamento. E saranno non solo la classe politica e le rappresentanze   dell'area del cratere, ma anche Russo, Rossi Doria ed economisti a invocare la definizione dell'area del disastro per  "intervenire dove il terremoto ha veramente colpito", lasciando ad altre normative la considerazione dei problemi atavicidel napoletano e delle zone contigue. Avvenne il contrario e iniziò una storia che porterà due decenni di strumentalizzazioni politiche e di contrasti per i processi di sviluppo dei territori sinistrati.  

Dai salotti economici e culturali  del nord  riemersero rigurgiti di antimeridionalismo ed una avversione “indignata”,  che spinsero  autorevoli meridionalisti “insospettabili”( Russo, Ghirelli, e altri) a parlare di RAZZISMO.  E questi sentimenti furono il terreno di coltura di moti politici e campagne di stampa aggressive nei confronti delle classi dirigenti e dell’impiego delle previdenze statali.  Prevenzioni e speculazioni intorno all’area disastrata dal sisma   condizionarono la legislazione per la ricostruzione dei piccoli comuni distrutti.  Anzi la forza nazionale della dc irpina, cresciuta anche sulle battaglie per le zone interne, alla prova parlamentare per l’approvazione della L.219 fu indotta a subire le pressioni del peggior consociativismo, sospinto dal PCI napoletano (la giunta Valenzi menerà vanto per il finanziamento dei 20.000 alloggi a Napoli) e dalle classi politiche dell’area metropolitana che coinvolsero gli appetiti delle altre Regioni vicine. A questa dilatazione dell’area sismica restò indifferente il mondo dell’informazione. Giornali e TV continuarono a titolare  “ il terremoto d’irpinia”  senza però denunciare la contraddizione della destinazione di gran parte delle risorse ad altri territori, molto esposti ai rischi della “trasparenza”, con la ineluttabile conseguenza alle prime devianze, di trasformare i titoli giornalistici in IRPINIAGATE,  che ad ogni disastro ambientale verrà rievocato come modello da scongiurare. Zamberletti in TV  dichiarò: “siccome l’Irpinia aveva rappresentanze significative, lo scontro politico ha superato le questioni vere e reali ed ha influenzato le campagne di stampa”. 

In questo contesto  nascono da Milano le inchieste giornalistiche di destra e da Roma le strumentalizzazioni di sinistra che fecero da propulsore per la commissione d’inchiesta SCALFARO che non denuncerà mai  la dilatazione territoriale e quindi economica dell’area sismica. Le sollecitazioni giudiziarie della Commissione portarono a varie indagini che registrarono la estraneità degli amministratori irpini a qualsiasi ipotetico reato. Le cronache giornalistiche nel prosieguo non poterono non constatare l’avvenuta ricostruzione  dei paesi con il recupero di monumenti, castelli , conventi, ospedali e sedi di pubblici uffici, ma le speculazioni provocarono ritardi  negli interventi (ancora oggi evidenti) per il completamento di infrastrutture essenziali ai servizi, allo sviluppo e alla competitività. La concezione delle aree interne come “ossi” da abbandonare riemerse nelle polemiche sulle” fabbriche in montagna” anche qui strumentalizzando alcuni interventi falliti - con percentuale minima comune a tutte le aree a industrializzazione forzata, come documentato nel convegno ASI del 1998 -  ed offuscando investimenti  di aziende di caratura internazionale quali FERRERO, EMA, ALTERGON, ex IVECO, FCA, ecc.. Di queste polemiche fecero giustizia alla fine degli anni novanta il CENSIS e IL SOLE24ORE che nelle inchieste sullo sviluppo definirono l’Irpinia “il Nord del Sud”, tanto che inchieste  nel ventennale descrissero quella “terra massacrata….come un grande cimitero” rinata  in  un “INNO ALLA VITA”, in quel Sud che Moravia aveva “visto morire”.

In un convegno ad Avellino nel dicembre 1994 il Direttore de IL MATTINO  Graldi, evidenziando che dai cento comuni danneggiati dei primi mesi si era passato ai 687 anche di altre regioni,   provocatoriamente chiese : “chi dilatò l’area del sisma? Chi consentì lo scippo?” e, a proposito di IRPINIAGATE, Paolo Mieli aggiunse: “non parliamo più d’Irpinia quando  certi avvenimenti appartengono ad altre aree geografiche vicine”. Le ansie e le difficoltà della  pandemia esasperano oggi nei  territori ricostruiti  le ombre dell’emigrazione giovanile e dello spopolamento nei piccoli comuni. Il declino scaturì essenzialmente  dalle sopraggiunte  difficoltà economiche generali ma fattori negativi sono stati la dissennatezza delle scelte regionali nell’inadeguato uso delle copiose risorse europee;  i ritardi decennali nella realizzazione di infrastrutture di collegamento materiali e immateriali  che avrebbero dovuto migliorare la competitività e proiettare  le produzioni  verso i mercati internazionali e  le disattenzioni locali verso le potenzialità ambientali  ed enogastronomiche che avrebbero richiesto innovazioni,  servizi e organizzazioni consortili  e intercomunali.