La liberazione di Bergoglio

Quindici giorni dopo la lettera con cui Michele Gesualdi si appellava ai presidenti delle Camere perché sbloccassero l’iter parlamentare del disegno di legge sul testamento biologico arrivano le parole di Papa Francesco a segnare un salto di qualità nella discussione sulla questione del fine vita. Il richiamo del vescovo di Roma a rifuggire da forme di cura che si configurano come accanimento terapeutico viene espresso in un testo indirizzato alla Pontificia Accademia per la Vita, che all’inizio di questo secolo era stato uno dei luoghi in cui la Chiesa aveva elaborato il cuore teologico del proprio insegnamento sulle questioni eticamente sensibili. Francesco lo fa con la sapienza che è propria del magistero, richiamando un discorso di Pio XII, nel quale si raccomandava la prudenza nel ricorso alle possibilità mediche e curative che la tecnica metteva a disposizione. Eppure, oltre a questo, la portata della posizione espressa dal Papa va oltre la contesa fra le parti che hanno costretto la discussione pubblica in uno scontro ideologico.

Alla spalle del richiamo alla necessità di misurare l’intervento medico sulla dignità della persona vi è una accurata riformulazione di alcuni termini chiave (natura, creazione, etica, fede) che si trova espressa, ad esempio, nell’enciclica Laudato si’.

Usando un linguaggio biblico Francesco usa il termine “creato” per indicare l’insieme di realtà e leggi fisiche che di cui fanno parte gli esseri viventi, uomini compresi, e che acquista un valore nella misura in cui è fatto oggetto dell’amore di Dio e dell’uomo. Proprio gli esseri umani portano su di se la responsabilità di prendersi cura di questa dimensione fisica, di tutto ciò che è bios e che l’antica sapienza biblica descrive come ciò che “geme” – dice san Paolo – in attesa dell’opera di salvezza. La creazione è lo spazio in cui si gioca la vita degli uomini ma non è il fondamento della vita etica, la quale invece è frutto della “natura umana”, che per Francesco è l’essere dotati di ragione, di un senso morale che cresce e si evolve in ragione delle e in dialogo con le circostanze storiche e culturali.

Francesco opera dunque una netta distinzione fra quello che è il dato biologico dell’esistenza e quello che è il suo valore morale, con due conseguenze. Da un lato s’impone ad ogni uomo la responsabilità di ricercare, di volta in volta, ciò che è bene. Nel caso specifico della cura della malattia, occorre definire caso per caso, di fronte alla sofferenza di ciascun essere umano, che cosa significa “curare”, fare il “bene” di quella persona la quale ha valore perché esiste nella sua integralità e non solo a motivo dei suoi parametri vitali. Dall’altro lato Francesco opera una “liberazione” del Cristianesimo, inteso come esperienza e professione di una fede, dall’etica e nel far questo inizia a scrivere una pagina nuova nella storia dell’insegnamento della Chiesa. L’etica, infatti, è propria di ogni uomo in quanto dotato di ragione e può essere declinata dai credenti alla luce della fede, ma non essere il piano a cui quella fede viene ridotta. Nella prospettiva di Francesco il Cristianesimo è molto più che un’etica: è un incontro fra gli uomini e la storia e il mistero del divino. È una realtà che, avrebbe detto Dietrich Bonhoeffer, appartiene all’orizzonte delle cose ultime.

di Riccardo Saccenti