La guerra, la pace, la storia

Se anche la Chiesa si mette a riaggiustare la Storia.
Il Vescovo di Bolzano-Bressanone, un sant'uomo dalla pastorale rinnovatrice, ha deciso di cogliere proprio il Centenario della fine della Prima Guerra Mondiale ("I monumenti di ogni genere inneggianti alla vittoria dovrebbero perdere la loro forza di attrazione una volta per tutte", eccetera) per sottolineare che con le guerre ci sono solo sconfitte e per invitare il Comune a rimuovere l'intitolazione di 'Piazza Vittoria' e rinominarla 'Piazza della Pace' (mettendo fra l'altro in difficoltà il Sindaco Caramaschi, uno degli ultimi esemplari di centro-sinistra rimasti, il quale ha provato a ricordare che una cosa simile era già stata bocciata dai cittadini con un referendum del 2002).
Un cristiano ha un solo e definitivo giudizio sulla guerra, e su ogni guerra, ma tutt'altra faccenda è mettersi allora a risistemare la Storia, e, cosa non secondaria, farlo con vicende italiane. Flaiano diceva che "l'Italia è un paese dove sono accampati gli italiani": non so quante storie comuni gli accampati possano attribuirsi, e nemmeno se questo interessi loro un fico secco. Certo è che, a differenza di diversi grandi Paesi dell'Occidente, in Italia manca pesantissimamente un accordo su una 'spiegazione comune' delle vicende; ragion per cui ognuno ha sempre cercato di seppellire il vicino di casa una volta per tutte, quando usando il 25 Aprile, il 2 Giugno, le Forze Armate e le forze disarmate e così via. Proviamo a vedere cosa rimane? Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta, la battaglia di Legnano (non è affatto un caso che la Lega se la sia intestata), Pietro Micca e le Cinque Giornate di Milano, il 4 Novembre e la Nazionale di Bearzot del '72. Il tutto, naturalmente, sempre guidato da gente che ha pagato di tasca: Garibaldi (l'eroe dei Due Mondi, quindi italiano sì ma...), Cavour (che era francese), De Gasperi (che era austriaco), e avanti di questo passo. Non so se il Vescovo di Bolzano-Bressanone sa quante Vie Garibaldi e lapidi dei caduti della Grande Guerra ci sono in Italia capillarmente diffuse sin nelle frazioni delle frazioni. Ogni borgo ha la sua lista immortalata (= cioè tolta dalla morte e consegnata alle generazioni successive) nelle chiese, nei municipi, nei circoli, negli slarghi, nelle memorie dei bisnonni e dei nonni nelle stanze delle case. Forse - possiamo o vogliamo immaginarlo - è qualcosa che ancora è rimasto, che resiste e non è svanito. Forse. Pure i partigiani nelle lettere della Resistenza dicevano di morire volentieri per la Patria (senza rammentare il comunismo). Poi è chiaro, è chiarissimo che dopo il XX Secolo e gli Stati-Nazione il concetto di Patria va reinterpretato, ridefinito, ri-tramandato. Ma non si fa destoricizzando il 4 Novembre. Prato ha ancora una Piazza a Gaetano Bresci, il pratese regicida di Umberto I; bene? male? Come le vie a Togliatti, che ospite nella Russia di Stalin ignorò ogni comunista italiano mandato a morire nei gulag ma che da Ministro dell'Interno sancì l'amnistia per i fascisti. La guerra italiana dopo Caporetto è un'altra cosa: fu riscossa e riscatto. Dietro i monumenti di cui si lamenta il Vescovo ci sono storie personali che nel bene e nel male sono state parti vive di una grande esperienza collettiva di miseria e di 'redenzione' (questa parola fu molto usata per il 50mo del 1968: Cesare Battisti e i martiri dell'irredentismo). Ma si vede che ormai anche per raccontare la Storia conta la perfezione tecnica del linguaggio, che va prosciugato di qualunque sostanza e sentimento, di qualunque 'incarnazione': il 12 Ottobre non va più festeggiato perché Colombo fu colui che inaugurò il genocidio degli indios, Garibaldi non era poi così 'democratico' e a Bronte fece massacrare i contadini, il Risorgimento è stata una pura e violenta sopraffazione savoiarda nei confronti delle comunità locali, Kennedy era un guerrafondaio che deliberò l'escalation nel Viet-Nam, e avanti. Poi si dice perché alla gente, alla fine, non rimane che Salvini... .
di Antonio Payar