La buona scuola per il Paese

La consultazione che il governo Renzi ha lanciato in questi giorni (https://labuonascuola.gov.it/) richiama ancora una volta l'attenzione del Paese su un settore strategico del nostro sistema Paese.
Non è la prima volta che si lancia un messaggio a tutti gli italiani su questo tema, in tempi recenti basta ricordare il libro bianco dell'Ulivo "la scuola che vogliamo" del 1995 propedeutico alla stagione di riforme introdotte poi dal Ministro Berlinguer e le molto più sintetiche tre "i" di Silvio Berlusconi (Internet, Inglese, Impresa).
Per chi segue la politica scolastica come il sottoscritto non può che far piacere che periodicamente il leader della politica nazionale si interessi di scuola, tanto più che i problemi posti sul tavolo sono spesso ricorrenti e dimostrano come i processi di riforma necessitino di tempi lunghi di attuazione.
Non è poi vero che tali riflessioni risultino solo abili mosse propagandistiche e si esauriscano con una semplice mozione di intenti: dal progetto dell'Ulivo nacque la scuola dell'autonomia, di fatto la più rilevante e radicale delle riforme della pubblica istruzione nei tempi recenti e dalle tre i di Berlusconi un intervento ben più complesso e profondo di riforma del ciclo di base dell'istruzione (la cosiddetta riforma Moratti, che ha portato al monteore annuale, all'inglese obbligatorio e alla riforma, poi definitivamente attuata da Profumo, dei programmi di insegnamento, oggi indicazioni nazionali)
Occorre dunque non sottovalutare questi passaggi, propedeutici sempre a un intervento reale nel sistema.
Nel documento "La buona scuola", che curiosamente riprende il titolo di una recente riflessione congressuale della Cisl scuola, si registra soprattutto un cambio di impostazione rispetto ai recenti interventi riformatori in materia: se con l'Ulivo l'attenzione era posta sull'architettura e la gestione del sistema scolastico e con i governi Berlusconi si poneva l ‘accento sulla natura di servizio ai cittadini della scuola, Renzi e il Ministro Giannini dedicano la gran parte del documento (più della metà) al tema degli insegnanti.
Si tratta di una prospettiva molto importante: la scuola si regge, al di là delle recenti innovazioni tecnologiche e della moltiplicazione delle fonti di informazione e formazione per i giovani di oggi, soprattutto sul lavoro degli insegnanti e una buona scuola, in ogni Paese, è fatta da buoni docenti.
Del resto se il bilancio del Ministero dell'Istruzione è assorbito per nove decimi dai costi del personale non è sbagliato concentrarsi su quest'ultimo per un intervento di riforma. Ciò comporta tuttavia due importanti premesse: la disponibiltà a reperire risorse e la consapevolezza di affrontare un tema che coinvolge un numero molto alto di persone e quindi potrebbe comportare pesanti conseguenze anche in termini di consenso.
Quando parliamo di insegnanti parliamo dei docenti attualmente in servizio (circa 800.000 di persone) degli aspiranti tali (i cosiddetti precari e chi frequenta o ha frequentato i corsi di preparazione all'insegnamento, il tfa, circa 300.000 persone complessivamente) e infine tutti i giovani che in qualche modo mettono l'insegnamento tra le proprie prospettive di lavoro
A tutte queste categorie La Buona scuola rivolge una proposta: per i primi l'ipotesi di una carriera dei docenti di ruolo non più legata alla sola anzianità, ai secondi la stabilizzazione degli attuali supplenti annuali e l'indizione di concorsi biennali per il ruolo e agli ultimi un sistema di formazione all'insegnamento più certo negli esiti attraverso le apposite lauree magistrali. Si tratta di un disegno finalmente organico ma non certamente a costo zero e se il documento, con grande precisione, individua modalità di finanziamento e anche possibili risparmi a regime, va considerato come la spesa per il personale scolastico risulti sempre una voce critica della programmazione economica dello Stato e che solo nello scorso anno, dopo più di venti anni di provvedimenti volti a contenere questa spesa, con il Ministro Carrozza sono stati investite alcune centinaia di milioni di euro per la formazione in servizio dei docenti, primo, piccolo ma significativo segnale di inversione di tendenza in materia.
La prospettiva è ambiziosa, occorre la consapevolezza che il mondo della scuola e soprattutto gli insegnanti e gli aspiranti tali vengono da troppi anni di delusioni e disillusioni per restare indifferenti ad una ulteriore promessa mancata.
Nella seconda parte del documento si accenna invece ad alcuni interventi di potenziamento dell'offerta formativa della scuola (più musica, storia dell'arte, economia, una diversa concezione dell'informatica, maggiore tensione all'inclusione da parte del sistema, un potenziamento del rapporto con il modo del lavoro) in una concezione non di riforma globale ma di manutenzione del sistema per renderlo sempre più capace di rispondere alle esigenze della società e della nazione.
Infine non va trascurato il capitolo finale sulle risorse, che non si limita a indicare i possibili impegni di spesa, ma, anche qui per la prima volta, chiarisce come l'istruzione non possa più considerarsi come un onere esclusivo per lo Stato. Nell'ottica della big society si menzionano possibilità di finanziamento misto del sistema tra pubblico, privato e privato sociale (si parla di School Bonus, School Guarantee, Crowdfunding) per far comprendere come la scuola debba diventare sempre di più un bene condiviso tra Stato e società come è ormai consuetudine nei paesi occidentali.
Ora è importante che la consultazione incontri non solo la risposta e la partecipazione degli addetti ai lavori (studenti, genitori, insegnanti saranno coinvolti attraverso gli organi collegiali della scuola) ma diventi un momento di riflessione per tutto il Paese, soprattutto per coloro che oggi possono incedere molto sul sistema (dal mondo della finanza a quello della produzione da quello della comunicazione di massa al quello della rete internet, dalla politica ai sindacati, dal volontariato alle diverse confessioni religiose) per affermare se e quanto la scuola interessa veramente al Paese e se per costruire una Buona scuola si è disposti a fare la propria (buona) parte.