L’Europa politica: un’Europa dei popoli o un’Europa degli Stati?

Sabato, 14 Maggio, 2016

quando tutto nella nuova configurazione che va assumendo il mondo, inviterebbe a costituire una forte polarità europea, essa appare priva oltre che di un corpo riconoscibile anche dell’anima. In questo senso si può ben dire che, prima che al suo interno, l’Europa sia separata da se stessa,  - da quanto dovrebbe significare. Gli interessi per non dire i valori, di cui i suoi membri sono portatori non sembrano trovare alcun luogo di composizione, ma neanche un fronte chiaro su cui dividersi”.

Sono parole tratte dall’introduzione dell’ultimo libro del filosofo Roberto Esposito: “da fuori: una filosofia per l’Europa”, un tentativo non isolato ma certamente qualificato di andare in profondità circa le ansie, le incertezze, le motivazioni vere dello stallo in cui sembra essere piombata l’Europa.

Ma sono parole che aiutano anche a scomporre a sezionare, proprio per verificarne la pregnanza, la validità dell’alternativa tra stati e popoli richiamata nel titolo. Se l’Europa è davvero “separata da se stessa” allora anche ogni singolo popolo e ogni singolo stato appare come separato da se stesso. Riconoscersi nell’Europa di oggi significa riconoscere una dissociazione. Stati e popoli che non sono più e non potranno più essere quello che sono stati in passato ma che non sono ancora quello che potrebbero essere in futuro. Una condizione infelice dunque, precaria, incerta, tanto più perché indeterminata, indefinita, infinita. La condizione degli europei infatti non è quella del “già e non ancora” caratteristica di una solida antropologia cristiana ma quella del “non più e non ancora”. 

Non c’è più la sovranità degli stati ma non c’è ancora la sovranità dell’Unione Europea. C’è un limbo nebbioso dove valori e interessi vengono coperti, nascosti da una cortina tecnocratica che recita costantemente il mantra della concorrenza ma applicandolo con discrezionalità a seconda della forza economica dello stato da sanzionare.

Avviene così che proprio “Europa degli stati” quella esemplificata nel consiglio europeo e nella commissione si pronunci sempre in modo netto e incontrovertibile contro gli “aiuti di stato”. Chiaro esempio di dissociazione linguistica e politica.

Ma anche l’”Europa dei popoli” appare un concetto inutile alla bisogna. Non è vero che sono gli stati a farsi le guerre mentre i popoli sono pacifici. Basti pensare alle vicende della Prima Guerra Mondiale, per non pensare alle piazze piene di popolo che hanno preceduto e accompagnato la Seconda. Ora come ora l’Europa dei popoli rischia di diventare l’Europa dei populismi, del risentimento, del rancore., della ricerca del capro espiatorio, ma senza costrutto e progetto. Esemplare il caso spagnolo.

Ha ragione Esposito: non c’è “composizione” anche perché non c’è un “fronte chiaro su cui dividersi”, abbiamo da una parte gli stati che hanno abdicato alle proprie funzioni in favore della tecnocrazia e dall’altra i popoli che, comprensibilmente, sono tentati di rinunciare alla democrazia  per abbandonarsi al populismo. In questo quadro manca un elemento, pure presente ed evocato nel titolo. Manca la politica.

Non possiamo arrivare all’”Europa politica” senza il conflitto e senza che questo conflitto sia in ultima istanza giudicato e valutato dai cittadini europei. Senza conflitto non c’è riconciliazione e ricomposizione. Senza conflitto c’è estraneità e diffidenza verso l’altro ma è un legame che a lungo andare va ad assottigliarsi non a rafforzarsi.

Le istituzioni europee sono tutte dal Consiglio alla Commissione al Parlamento, massimamente inclusive e pertanto a-conflittuali, o meglio i conflitti che pure esistono non devono essere rappresentati troppo e ogni decisione o deliberazione che esce da quelle istituzioni ha difficilmente il carattere di una decisione frutto di confronto tra una maggioranza e una opposizione.

Quello che manca all’Europa insomma è proprio la politica, la dialettica tra amico e nemico ma in un quadro di istituzioni condivise. Invece noi abbiamo paura a dichiararci nemici di chicchessia ma viviamo una profonda alienazione rispetto alle istituzioni che ci dovrebbero rappresentare e in cui fatichiamo incredibilmente a riconoscerci.

L’Europa che con la democrazia ateniense e la repubblica romana è nata nel segno del politico, ovvero del conflitto e della conciliazione, appare oggi un’espressione geografica “depoliticizzata” dove l’unica dialettica apparente è quella tra populismi e tecnocrazia ma che non ha una vera arena di confronto e composizione.

Per altro verso appare datata pure la dialettica posta a suo tempo da Altiero Spinelli e dal suo movimento tra federalisti e antifederalisti.  Perché troppo debole nel profilo ideologico e troppo facilmente riassimilabile in quella tra forze di sistema e forze antisistema.  Con la tecno burocrazia europea che ovviamente starebbe nel primo blocco.

Solo una Europa politica allora, una Europa dei cittadini ma che siano tali per la titolarità di effettivi diritti politici, non quelli apparenti di ora, solo una Europa di cittadini che si dividono tra loro su diverse idee dell’Unione, solo un’Europa in cui ci sia la possibilità  democratica di vincere o perdere, ora relegata a livello europeo alle sole competizioni sportive e calcistiche, solo questa Europa può pensare  di rappresentare quella “polarità europea”  di cui noi tutti, insieme a Roberto Esposito, sentiamo una enorme mancanza.