Il rapporto tra razzismo e democrazia

Mercoledì, 13 Febbraio, 2019

“La democrazia non è per forza liberale", dichiara Zoltan Kovacs, ideologo del premier neoconservatore e reazionario Victor Orbán, che progetta una “democrazia cristiana illiberale in Europa” per il prossimo futuro, impostando alleanze non solo nel blocco dei paesi del “gruppo di Visegrad, ma anche con l’italiano Salvini, la francese LePen e altri gruppi sovranisti dell’Europa occidentale, con parole d’ordine molto semplici: difesa dall’islam, contrasto duro all’immigrazione, ripresa del modello della famiglia tradizionale, lotta alle elites libeali europee.

Una mutazione profonda sta investendo il nostro concetto di democrazia. Se Pasolini negli anni Settanta aveva segnalato la mutazione che stava stravolgendo il volto dell'uomo, con “L’uomo bianco” Ezio Mauro intercetta quella in corso che sta stravolgendo il volto della democrazia. Egli parte dal triste e inquietante episodio in cui Luca Traini a Macerata insegue e ferisce sei persone di colore, colpevoli solo di avere la pelle nera, per vendicare Pamela, una ragazza violentata e fatta a pezzi da un nigeriano. Traini ha tatuato sul collo la parola “Lupo”: così si fa chiamare e si sente, un giustiziere. Prima di essere arrestato alza il braccio nel saluto romano gridando “Viva l’Italia”. Accanto alle trasformazioni del capitalismo e alle sue conseguenze sociali indagate da Bauman e Fisher, Mauro si sofferma sulla dimensione della politica. Nell’episodio di Macerata non vede la semplice manifestazione isolata di una follia, ma l’affermazione di un “nuovo egoismo”, di una cultura svilita a strumento esclusivo di selezione e di separazione, che sta modificando il nostro concetto di democrazia.

Questo “nuovo egoismo” sorge nel cuore dell’Europa, invoca muri e fili spinati. Si tratta di un movimento regressivo, in cui il colore della pelle si trasforma in un’insegna culturale. Ciò scompagina le conquiste più elementari della democrazia : gli esseri umani hanno uguale dignità (cfr. Costituzione art.3). In un tempo confuso e smarrito come l’attuale, l’elemento della pelle assume un significato identitario, che esclude ogni forma di contaminazione. L’apertura a mondi differenti e plurali offerta dalla democrazia viene richiusa da una “spinta pulsionale securitaria” in cui la Cultura è riportata alla Natura. Il richiamo reazionario al “sangue” diventa così una specie di antidoto “atavico e modernissimo” di fronte al timore oscuro della perdita della propria identità. La contaminazione con lo straniero è vista soprattutto come un rischio, la politica di integrazione è difficile e faticosa, la democrazia presenta limiti e contraddizioni, perciò si preferisce evocare il sangue, il suolo, il confine sicuro; si regredisce così ad una ricerca di difesa, di una guida autoritaria, di un padrone che rassicuri. La psicoanalisi ha già individuato questo meccanismo studiando i totalitarismi del ‘900 (v. W.Reich, Psicologia di massa del fascismo). Il problema diventa quindi come si possa desiderare il fascismo. Nel nostro tempo le teorie umanistiche (il solidarismo cristiano, la fraternità socialista, il buon senso compassionevole liberale) devono fare i conti con un populismo regressivo e aggressivo.

La democrazia è in difficoltà rispetto a questa “pulsione” che domanda sicurezza, in cui “gli istinti prendono il potere” facendo leva sul sentimento di abbandono e di insicurezza vissuto dalle classi più povere (e non solo). Si demonizzano le istituzioni democratiche e le classi dirigenti (anche intellettuali) considerate “parassitarie e avariate”, in nome delle “virtù del popolo” e dell’esaltazione del singolo. Il peccato dello straniero è di sangue, di pelle: non è più questione di “scontro di classe”, ma di “selezione naturale” (secondo i principi delle teorie razziste di fine ‘800-inizio ‘900). Per questo scatta facilmente il meccanismo del capro espiatorio, che scarica l’angoscia su chi vive senza diritti sul nostro territorio.

Si delineano quindi due atteggiamenti di fondo:

  • chi si pone il problema di come governare politicamente il difficile transito ad una società caratterizzata dalla globalizzazione e da una pluralità di culture, religioni e tradizioni, e quindi come preservare la convivenza democratica, perché questa costituisce la strada maestra per questo transito
  • chi pensa di purificare il più rapidamente possibile il corpo della nazione dai germi della contaminazione (tentativo già tragicamente visto, basti richiamare le leggi razziali del 1938). In questa prospettiva è più facile scambiare diritti con sicurezza, tornare a discutere sul concetto di razza (anche se la scienza recente l’ha chiaramente smontato).

Sicurezza (nel nostro caso specie rispetto ai migranti) e lotta al sistema (nel nostro caso rispetto all’Unione Europea) diventano due parole d’ordine del populismo attuale. La spinta a ricominciare da zero, azzerando la storia precedente in nome del mito di una rigenerazione, cancella o trasforma la memoria. La psicologia di massa del fascismo si basa su questa esaltazione e difesa della propria identità, che deve guardarsi da ogni forma di imbastardimento. Legami “liquidi” (Bauman) combinati con la regressione identitaria producono questa esclusione  del “diverso” (nero, ma anche ebreo, omosessuale, zingaro, … ). Da qui il prevalere dell’odio (e la sua predicazione) sul dialogo, della paura sulla fiducia. Ciò corrisponde non solo ad ignoranza politica, ma al riflesso di pulsioni profonde.

Per questo l’emancipazione legata all’acquisizione dei diritti (e quindi al metodo e ai processi democratici) non può essere disgiunta dalla emancipazione dal bisogno, dalla paura, dalla solitudine e dalla precarietà dell’esistenza.

 

per approfondire:

M.Recalcati,La democrazia ferita dalla paura dell’uomo nero, “La Repubblica” 10.10.2018

E. Mauro, L’uomo bianco, Feltrinelli, 2018

Z.Bauman, Retrotopia, Laterza, 2017

V.Orban, Per una democrazia cristiana illiberale in Europa, in “Il Regno”/ Documenti, n.17/2018, pp.577-84