Il rapporto Chiesa- Mondo dopo la pandemia

Sabato, 16 Maggio, 2020

Nelle righe che seguono propongo un cambio di paradigma nei rapporti Chiesa- Mondo, a cui opportunamente ci chiama il post- Covid-19.

Le seguenti riflessioni intrecciano due ambiti di riflessione ecclesiale: da un lato, la prossima scadenza del 14 maggio quando persone di tante fedi e visioni del mondo saranno chiamate a meditare, pregare, digiunare e crescere nella carità, a partire dal documento sula fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune,  sottoscritto il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb (http://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html) . Dall’altro la riflessione cui Papa Francesco ha chiamato in relazione al nuovo contributo delle donne nella Chiesa e nella società: come si leggerà, alla fine suggerisco la implementazione di un nuovo paradigma nei rapporti Chiesa-mondo, tipicamente femminile.

Il 10 maggio, Ernesto Galli Della Loggia ha scritto per il Corriere della Sera l'editoriale “Una Chiesa poco politica”, in cui indaga le ragioni per le quali, a suo avviso, il Papato di Francesco renderebbe irrilevante il contributo tipicamente religioso e cattolico alla evoluzione delle Nazioni. Per permetterVi di avere una Vostra opinione, invio il link al pezzo:https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2020/05/perché-la-chiesa-riesce-meno-a-fare-politica-e.-galli-della-loggia.pdf

Il Papato e noi – membra del Santo popolo fedele di Dio- siamo destinati alla irrilevanza globale? Il nostro contributo tipicamente spirituale sarebbe destinato ad estinguersi?

Per quanto mi riguarda, non lo credo.

 Il prof. Galli Della Loggia scrive che Papa Francesco avrebbe abbandonato la dottrina sociale della Chiesa, elaborata da Leone XIII sino a san Giovanni Paolo II. Questo stupisce.

Non solo perché, fermandosi a san Giovanni Paolo II, il prof. Galli Della Loggia non cita Papa Benedetto XVI al quale dobbiamo la Caritas in Veritate, un testo pienamente inserito nel continuum della dottrina sociale della Chiesa.

Qual è il punto cruciale?  A mio avviso è  che il Prof. Della Loggia ignora cosa è accaduto nella Chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II (1962-1965) in poi.  

Se non vado errato, nel 1997 il teologo benedettino padre Elmar Salmann aveva avanzato la stessa osservazione critica al compianto filosofo parmenideo Emanuele Severino ( in “Contro Severino”, Piemme): cioè, quella di parlare di un mondo cattolico statico, che Severino aveva avvicinato forse nella sua infanzia e giovinezza negli anni 40 o 50, ma per nulla coincidente con la comunità dei credenti così come era stata trasformata dallo Spirito Santo nel Concilio Vaticano II. Ecco, benché io non sia un accademico e mi scuso perché prendo la parola, la Accademia italiana ed europea non hanno capito cosa è stato il Concilio Vaticano II. Forse anche la riflessione del prof. Galli Della Loggia risente di questo deficit culturale?

Papa Francesco è il Papa di Laudato Sì, forse l’unico vero manifesto veramente globale per suscitare la alternativa pacifica alle tante strutture di peccato che hanno reso poco felice l’esistenza di miliardi di umane ed umani, già molto prima di Covid-19. E’ un testo profondamente spirituale /religioso dall’impatto sulla casa comune terrestre! Questo non collima con la analisi del prof. Galli Della Loggia…

Cosa distingue il magistero sociale di Papa Paolo VI da quello di Francesco? Papa Francesco attualizza la Dottrina sociale della Chiesa, ma lo fa da primo papa “figlio del Concilio” (gli storici sanno che i precedenti Pontefici avevano "fatto" il Concilio, non ne erano propriamente figli). Questo comporta che Francisco agisce in uno scenario post-conciliare. E non è una differenza da poco.

Condivido alcune riflessioni su cui sto pregando in queste settimane di pandemia. Nel tempo Covid19 si è verificata la “kenosi di popolo” dalle celebrazioni eucaristiche.  A mio avviso, entriamo in una fase nuova nei rapporti tra comunità ecclesiale e comunità civile. La “kenosi  di popolo” nelle celebrazioni eucaristiche ha avuto una sintetica, mozzafiato, straniante raffigurazione nella piazza san Pietro vuota dai fedeli, durante le celebrazioni presiedute da Papa Francesco. La priorità di aver cura dei fratelli e sorelle in umanità ha guidato Papa, battezzati, vescovi e sacerdoti nella pratica del digiuno eucaristico. La decisione del Papa di dare priorità alla salute universale rispetto alle pur imprescindibili esigenze cultuali è inserita pienamente nel solco del Concilio Vaticano II.  Non dimentichiamo che alcuni gruppi e club di fedeli avrebbero voluto fare come in Polonia (mantenere le celebrazioni possibili anche con il popolo, anche durante le scorse settimane) oppure affidarsi alla immunizzazione tramite le processioni (come avvenne nel 1630 durante il periodo dell'episcopato del cardinale F. Borromeo a Milano).  Ritengo opportuno difendere e far conoscere anche pubblicamente questa scelta del Vescovo di Roma e dei nostri vescovi.  Possiamo comunicare con gioia che si è trattato di un sacrificio fatto per amore di tutti i fratelli e tutte le sorelle, nella nostra Terra. Un sacrificio cattolico, cioè universale.

Vorrei provare ad andare più alla radice della questione.

Come dicevo, le relazioni tra comunità civile e comunità ecclesiale sono destinate a mutare radicalmente ;  tra Ottocento e Novecento, le categorie principali per capire il legame Chiesa – Stato erano state quella  del confessionalismo ( la religione cattolica come religione del Regno) o quella della laicità escludente ( con un alternarsi tra agnosticismo liberale e un anticlericalismo di Stato ) o quella della libertà religiosa ( su cui si innesta il diritto della minoranza religiosa più numerosa in Italia di influenzare il Legislatore; forse, su tale paradigma la Conferenza Episcopale Italiana ha  basato a partire dagli anni ’90 la modalità di rapportarsi con il potere pubblico in Italia).

Nel corso dell'età moderna, la Chiesa si vedeva come "societas perfecta" che doveva dare le leggi agli Stati, o direttamente (“potestas directa in temporalibus”) o indirettamente (“potestas indirecta in temporalibus”). E. Preziosi nella biografia di Giovanni Aquaderni  cita un pensiero di P. Brezzi: la Chiesa agiva come Stato tra gli Stati, con un capo che guerreggiava e patteggiava e faceva politica come qualsiasi altro capo di un Governo civile (Un altro Risorgimento, San Paolo, pag. 286).

Cosa possiamo fare dopo Covid-19? Forse occorre definire meglio un nuovo paradigma per descrivere questa realtà, in realtà e per collegarmi con quanto sostenuto all’inizio, già avviato dal Concilio Vaticano II (v. Gaudium et spes, Dignitatis Humanae, ma non solo), dal magistero dei pontefici ed ultimamente con quello di Papa Francesco: si potrebbe parlare del “servitium directum in temporalibus”.  Un esempio? Basti pensare all'impatto trasformativo diretto, generativo e generoso di Laudato Sì,  come detto forse l’unico vero manifesto veramente globale per suscitare la alternativa pacifica alle tante strutture di peccato che hanno reso poco felice l’esistenza di miliardi di umane ed umani,  molto prima di Covid-19 ! Ecco, dopo il paradigma del confessionalismo, della laicità, della libertà religiosa, penso vada valorizzata  la dimensione della convivialità delle differenti opzioni religiose, delle comunità di fede e di visione della vita a servizio della pace e del bene comune.

Il documento di Francesco e del grande Imam di El Tayeeb di Al Hazar sulle religioni a servizio delle culture e dei popoli ha certificato l’avvio verso tale passaggio di mentalità. Nello specifico, parlerei anche di “servitium directum in religionibus”, cioè di un modo fraterno, contagioso, non violento di diffondere la “Caritas Christi” anche all’interno dei plurali mondi religiosi!

La mia proposta interpretativa è sicuramente opinabile, ed andrebbe vagliata dagli studiosi di ecclesiologia, dai canonisti, dagli storici della Chiesa e dall’associazionismo laicale. Se dall’assestamento post-persecuzioni sancito dalle scelte costantiniano-teodosiane (prima il cristianesimo venne definito come “religio licita” e poi come “religio di Stato”), la Chiesa ha iniziato a leggersi come “potestas” tra le altre potestates. Dopo il Concilio Vaticano II, è iniziato a circolare sempre più massicciamente il paradigma della “diakonia”.

Che differenza tra essere “potestas” e essere diakonia? Forse, ma- ripeto- non sono un teologo o un canonista, è la seguente: essere “potestas” presuppone che il mondo sia visto come irrimediabilmente malato, pieno di difetti ontologici. La chiesa che fa?  Si fa “katechon” (v. San Paolo nella 2 Lettera ai Tessalonicesi 2, 6-7) per battagliare contro le forze mondane che sono maligne.

 La categoria della “diakonia”, invece, potrebbe presupporre un paradigma diverso, che mi è stato ispirato da un accostamento fatto da Avvenire tra la frase simbolo della pandemia (“andrà tutto bene”) e le parole di Gesù alla Beata Giuliana di Norwich: ecco il paradigma “giuliano”.  Ecco il link: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/andra-tutto-bene-ecco-com-e-nata-la-frase.

Dal momento che la terra (con in essa la Chiesa e le nazioni) è una “noce nel palmo della mano di Dio” (come rivela Gesù alla Beata Giuliana), siamo tutte e tutti come un piccolo frutto grondante amore divino. Quindi, in tale nuovo paradigma, muta la azione della Chiesa: la missione della Chiesa verso il Mondo non avrebbe tratti oppositivi, bensì generativi: generativi di cosa? Di modalità giuste, felici, pacifiche per accogliere questo Amore divino che piove su tutti, sui buoni e sui cattivi, sulla Chiesa e sul resto del mondo. Non sarà facile, certo. Ma nonostante i dolori e le morti e le nuove povertà, non disperiamo: questo è un tempo favorevole perché il Signore della storia è tra noi.

E’ un messaggio chiaro che emerge da Papa Francesco, rivolto non solo ai credenti cristiani ma a tutte le umane e gli umani… mi sembra un messaggio tutt’altro che irrilevante.