Il Jobs Act

Venerdì, 23 Agosto, 2019

Il Tribunale di Milano con ordinanza del 5 agosto 2019  ha rinviato alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la disciplina dei licenziamenti collettivi contenuta nell’articolo 10 del decreto legislativo n.23 del 2015, meglio conosciuto come Jobs Act,  chiedendo la valutazione di compatibilità dell’esclusione della reintegra nel posto di lavoro  con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione  della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

La fattispecie concreta:  un provv.to di licenziamento collettivo era stato impugnato dai lavoratori che avevano ottenuto la reintegrazione nel posto di lavoro; al contrario tale provv.to di reintegra non poteva essere pronunciato dal giudice per una lavoratrice - che era stata stabilizzata nel marzo 2015 dopo l’entrata in vigore del Jobs Act - perché la nuova legge prevedeva la sola indennità economica.

Il giudice ha ritenuto di chiedere alla Corte di Giustizia Europea del Lussemburgo di pronunciarsi per valutare se le previsioni normative del Jobs Act contrastino con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione contenuti nella legislazione europea:

a- “con riferimento ai licenziamenti collettivi illegittimi per violazione dei criteri di scelta, contengono un duplice regime differenziato di tutela” (che introduce per i soli lavoratori assunti -o con rapporto a termine trasformato- a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015) a seconda della data del contratto o della conversione

b- circa “un concorrente sistema di tutela meramente indennitario, inadeguato a ristorare le conseguenze economiche derivanti dalla perdita del posto di lavoro e deteriore rispetto all’altro modello coesistente”

La normativa comunitaria violata sarebbe:

-l’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea : “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”.

-l’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”.

Il giudice, incidentalmente,  valuta negativamente i risultati della legge in rapporto alle finalità assunte ab origine dal legislatore:

-“ad oltre tre anni dall’entrata in vigore della legge, il risultato sperato, ossia l’aumento delle occupazioni stabili si è rivelato del tutto deficitario. Infatti, esauriti gli effetti degli sgravi contributivi connessi alle assunzioni a tempo indeterminato, si è assistito alla utilizzazione in misura preponderante dei contratti a termine nonostante il loro maggiore costo contributivo. Quindi “il giudizio di ragionevolezza non può che sortire un risultato negativo sia sotto profilo della congruenza e adeguatezza causale, sia sotto quello della proporzionalità, non realizzando la norma alcun equo contemperamento tra diritto al lavoro e interesse dell’impresa, o tra la tutela del posto di lavoro e l’interesse all’occupazione quale “fine di interesse generale” che giustifica la riduzione delle tutele”.

- è “paradossale” il principio “che dall’abbassamento della tutela della stabilità occupazionalepossa discendere un rafforzamento dell’occupazione a tempo indeterminato in procedure di licenziamento collettivo, nella quale l’eliminazione dell’istituto della reintegra nel posto di lavoro, in favore di una sanzione di carattere indennitario, finisce persino per agevolare l’espulsione dei neo-assunti“.

La normativa del Jobs Act – a parte le critiche dei sindacati e degli addetti - non è stata immune da censure giudiziali: era stata dichiarata incostituzionale dalla Sentenza 194 del 2018 che ha dichiarato illegittimo– in contrasto con gli artt. 4 e 35 della Costituzione -  l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal successivo Decreto legge n.87/2018, cosiddetto “Decreto dignità” – che determina in modo rigido – e crescente solo ed esclusivamente in  ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore  - l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.

A prescindere dall’esito del giudizio della Corte di Giustizia del Lussemburgo la vicenda offre qualche spunto di riflessione. Si osserva.

Il diritto svela concretamente specificità, peculiarità e  ratio degli istituti legislativi quando se ne invoca applicazione da parte dei cittadini: l’applicazione giudiziale rende “viventi” i principi e le finalità legislative ed evidenzia  lo “scarto” tra la norma astratta le sue finalità  e la realtà.

Ma se in concreto le finalità legislative del jobs Act non sono state  raggiunte – come documenta il giudice di Milano - tuttavia restano integri e vigenti i mezzi utilizzati per i fini  legislativi: l’abbassamento delle tutele per i lavoratori ingiustamente licenziati da tutela reintegratoria nel posto di lavoro a mera  tutela indennitaria ed economica!!

Ma il rapporto di lavoro non ha solo valore economico per il lavoratore: la Costituzione riconosce – sotto plurimi profili -  la forte valenza esistenziale del rapporto di lavoro per cui allo scambio di prestazioni si aggiunge il diretto coinvolgimento del lavoratore come persona” (Cassazione  Sezioni Unite sentenza  n. 6572 del 2006)

 

Quindi il punto di domanda: perché non rivisitare la legge visto il non ottenimento dei risultati sperati restituendo - con integrazioni o miglioramenti -  le  tutele sottratte ai lavoratori??

Cui prodest il permanere di “diminuite” tutele per il singolo lavoratore ingiustamente licenziato - in un frangente di fragilità e di status di debolezza - se il fine generale a cui erano finalizzate non è stato raggiunto??                           

E ne derivano anche riflessioni etiche e morali:

se il lavoro ed il lavoratore non possono essere trattati solo sotto il profilo economico:

a - non è legittimo e corretto “quantificare” il licenziamento ingiusto con una indennità economica  quale sostituto del diritto alla reintegra nel lavoro; e comunque,

b - non è neppure stato utile ed opportuno in quanto l’interesse generale– ossia l’aumento dell’ occupazione e di  contratti stabili - a cui era funzionale tale diminuzione di tutele per il singolo lavoratore ingiustamente licenziato,  non è stato raggiunto.