Il crollo dei Labour

Giovedì, 5 Gennaio, 2017

Appena centocinquanta seggi in Parlamento. Con una percentuale di consensi inferiore al venti per cento. E’ questo il disastroso risultato previsto per il Labour guidato da Jeremy Corbyn alle prossime politiche secondo tutti gli istituti britannici di analisi dell’opinione pubblica. Un crollo verticale rispetto ai numeri già negativi delle elezioni di due anni fa. Quando il partito ottenne il trentuno per cento dei voti e 232 deputati. La causa principiale della crisi in atto è il massimalismo dell’attuale leadership, che ha spinto il Labour verso posizioni di estrema sinistra sgradite agli elettori della classe media. Il timore per le ripercussioni negative delle posizioni radicali di Corbyn hanno provocato l’intervento dei vertici della Fabian Society, un think tank tra i fondatori nel 1900 del Labour, che in uno studio diffuso ieri a Londra auspicano un rapido cambio di rotta e un’alleanza strategica con i lib-dem per scongiurare il rischio che i conservatori di Theresa May ottengano a Westminster oltre quattrocento seggi. Sarebbe il divario più ampio mai registrato tra le due principali forze politiche e garantirebbe ai tories un trionfo di proporzioni storiche. Una prospettiva che allarma Len McCluskey, il segretario del sindacato Unite (un milione e mezzo di iscritti) che in un’intervista si è detto a favore di un veloce cambio alla testa del Labour per poter risalire la china.

Da Corbyn, almeno per ora, non è giunta alcuna replica. Negli ultimi mesi, comunque, ha spesso reagito con fastidio alle critiche del gruppo parlamentare (che la scorsa estate lo aveva sfiduciato a larga maggioranza) e della componente moderata del Labour, definita in maniera sprezzante “nostalgica di un blairismo ormai impresentabile”. Dall’autunno del 2015 – quando si impose a sorpresa nella consultazione tra gli iscritti per sostituire il dimissionario Ed Miliband - gli studiosi si interrogano sui motivi del successo di Corbyn all’interno del Labour accompagnato dalla caduta verticale dei voti. Nel saggio Corbyn. The Strange Rebirth of Radical Politics un osservatore attento e imparziale come Richard Seymour sostiene che l’ascesa dell’attempato parlamentare  londinese, a Westminster dal 1983, va legata all’attuale debolezza delle forze socialdemocratiche in Europa causata dai processi di globalizzazione e  dalla crisi economica. Se in Grecia o in Spagna sono nate nuove formazioni, in Gran Bretagna gli esponenti massimalisti hanno conquistato il partito allontanando con le loro idee antisistema gli elettori moderati.

In termini di strategia, poi, Corbyn – che da parlamentare ha votato almeno 800 volte in dissenso con il partito – non è un genio. Durante la campagna referendaria dello scorso giugno, pur esprimendosi ufficialmente contro l’uscita dalla Ue, ha ripetutamente inviato email ai responsabili delle strutture periferiche invitandoli a non impegnarsi troppo. Perché, secondo lui, ciò che davvero contava era che Cameron uscisse sconfitto. Senza rendersi conto che la caduta del premier avrebbe aperto la strada a un governo marcatamente orientato a destra.

A smentire le previsioni degli ottimisti a oltranza sulle possibilità di vittoria del Labour alle prossime politiche ha provveduto una ricerca proposta la scorsa settimana a Londra. Nella quale si documenta che il settantasette per cento dei potenziali elettori laburisti si colloca al centro e solo il diciotto per cento ritiene Corbyn un futuro premier affidabile, mentre il quarantasette per cento lo giudica appartenente alla sinistra estrema. La rigidità ideologica di Corbyn minaccia inoltre di spingere un numero considerevole di parlamentari in carica a uscire dal Labour e a candidarsi con i liberaldemocratici. Indebolendo il fronte delle opposizioni che la Fabian Society e i sindacati vorrebbero unito contro i conservatori.  In caso contrario potrebbe realizzarsi lo scenario del monopartitismo tory egemone che a dicembre l’Economist disegnava con preoccupazione. Corbyn, però, non sembra cruciarsi troppo per le notizie negative che lo riguardano. “Per me la cosa davvero importante è il favore dei militanti”, ha detto  un paio di mesi fa durante un dibattito televisivo. Che centinaia di migliaia di elettori laburisti alle ultime politiche la pensino in maniera diversa rispetto a lui e non sostengano più il partito gli appare forse un dettaglio di scarso rilievo.