Il 25 Aprile: la Resistenza, oltre la retorica, nell'attualità politica

Lunedì, 25 Aprile, 2016

La resistenza e il movimento di liberazione hanno vissuto diverse fasi nei decenni che ci separano da quegli eventi: dall'appropriazione ideologica di parte, alla rimozione.

Che senso può avere oggi celebrare la festa nazionale del 25 aprile?

Quale attualità politica può lasciarsi interpellare da quei fatti?

 

COSA DICE LA RESISTENZA ALL'ATTUALITÀ POLITICA?

Il quadro politico europeo ci consegna in questi giorni più di un elemento di preoccupazione e di allarme: proprio in queste ore i risultati elettorali che giungono dalla Serbia e dell'Austria dove si è affermato il partito di estrema destra, ci ricordano che i regimi totalitari sono nati quando la democrazia politica non è riuscita ad affrontare e risolvere i problemi e le criticità del contesto socio economico lasciando che prendesse fiato la protesta e il populismo nazionalista. Quei regimi che portarono alla guerra, ai milioni di morti che non risparmiarono le popolazioni civili che dovettero spesso fuggire, sfollare come si diceva allora. Oggi, come allora, la miglior risposta, la migliore assicurazione per la pace, è la politica capace di offrire, con la democrazia, risposte efficaci.

Lo scenario internazionale ci mette di fronte ai molti focolai di guerra, ormai cronicizzati in tanti Paesi, costringendo alla fuga i civili cui è inibita ogni possibilità di lavoro, di vita.  Sono l'origine di quei flussi migratori che, dalle sponde del mediterraneo, si vanno riversando ad ondate sempre più numerose verso il vecchio continente, producendo paura, spinte xenofobe, chiusura e sfiducia verso la politica. E la politica fatica a dare una risposta che vada oltre l'emergenza. Un fatto che mette in forse lo stesso futuro europeo che - mi pare evidente - o troverà la forza di fare un ulteriore passo verso una Europa più politica o va in nutro a processi disgregativi di quel l'Unione che, dopo l'ultimo conflitto mondiale ha costituito motivo di speranza e di progresso per tanti popoli.

Il quadro della politica interna ci dice, a sua volta, delle difficoltà ad arrivare, in un quadro condiviso, a quella riforma delle istituzioni, riconosciuta necessaria da tanti.

Nella fragilità delle istituzioni, mentre una società sempre più liquida e spaesata fa in larga parte i conti con i danni materiali e le preoccupazioni per il futuro lasciate sul terreno da quella crisi economica da cui ci stiamo lentamente riprendendo, possiamo rischiare un Paese diviso? Non abbiamo forse il compito di tessere proposte che vedano la convergenza di tanti, di offrire nuovi strumenti di partecipazione ai cittadini? Il compito di offrire proposte, progetti che vadano oltre le singole pedone e siano affidati anche ad un rinnovamento vero dei partiti politici che...solo se vivono di democrazia possono ...generare partecipazione duratura? Partiti grandi, plurali, ma aggreganti intorno ad una visione, ad un progetto identificabile e, vorrei dire, di proposta non di protesta. Cosa manca nel nostro scenario interno perché si realizzi questa condizione? Chi può prendere l'iniziativa?

Sono le riflessioni più pertinenti in questo 25 aprile, e questo anche alla luce di una opportuna lettura della Resistenza. Un avvenimento della storia nazionale che merita di essere ricordato e riproposto nella sua attualità e, per questo, nella sua novità.

 

LA RESISTENZA, LA COSTITUENTE E LA STAGIONE DELLA PARTECIPAZIONE

La novità ritengo possa essere anche questa: cogliere l’unità di pagine di storia come la Resistenza, la Costituente, il referendum istituzionale, l'affermarsi dei partiti, pagine a volte lette separatamente e per questo più difficili da comprendere come fondamento forte del nuovo stato, un’apertura alla stagione della pace, della libertà vissuta come democrazia, come rappresentanza popolare. Questa lettura é importante e ci aiuta a sentirci eredi di quella storia segnata dalla collaborazione, dall' incontro tra culture diverse, dalla capacità di costruire, insieme, un ethos condiviso.

Perché resistere alla violenza, all'ingiustizia, a tutto ciò che i totalitarismi di ogni specie portano inevitabilmente con loro? Perché la Resistenza, accanto al carattere di avversione al totalitarismo, porta in primo piano il valore della libertà. Il ricordo di una liberazione, avvenuta settanta anni fa, al termine di una guerra che finì per avere anche i connotati di una guerra civile, non può essere trascurato. Non si tratta soltanto di un giudizio storico o politico, ma di un'occasione per formare e rafforzare il giudizio morale.

Di fronte alle morti, alle stragi, al diffondersi degli odi fratricidi si leva una domanda morale che consente di superare quel momento e di proiettarsi nella ricostruzione. Perché è proprio questa dimensione morale, fatta di amore per la libertà, di avversione al totalitarismo, all'oppressione, in ultima analisi – ma è discorso che andrebbe sviluppato – alla violenza fine a se stessa, che costituisce il nucleo sempre valido e trasmettibile di ogni resistenza.

Ed è da questa responsabilità morale che dobbiamo ripartire.