I giovani e gli ultimi: punti di riferimento per ripartire

Venerdì, 23 Dicembre, 2016

Il Natale, pur rispettando le differenze tra credenti e non, è per tutti il tempo della novità e dei progetti per il tempo nuovo. Può, dunque, essere occasione per condividere un’idea, proprio in questo periodo di vacillanti destini delle vicende nostrane (cui contribuisce non solo la natura della nostra terra, ma anche quella della nostra politica), in merito ad alcune priorità da cui varrebbe far ripartire qualsiasi impegno per il futuro.

Perché, diciamolo subito, il tempo corre e, mentre si prolungano dibattiti post referendari, si discute di banche da salvare, nuove leggi elettorali ed elezioni, governi nazionali o comunali, tutti sappiamo su quale fragile sistema siamo seduti e come non sia consentito a nessuno stare a guardare, avendo tutti il dovere di contribuire, ciascuno per quello che può e per il suo ruolo, al cammino di costruzione del nostro Paese. Sì, di costruzione, perché la persistente (o stabile?) fase di transizione ne ha fiaccato la pur singolare e rinomata forza di resistenza, e ora, davanti alle debolezze del tessuto sociale e alla distanza con cui sono percepiti i riferimenti politici, è sotto gli occhi di tutti il bisogno di sostenere i muri portanti della nostra comunità e della nostra vita democratica.

Da dove ripartire? Per cominciare, credendo fortemente e lavorando ad una nuova e diffusa coscienza della responsabilità, rilanciando la partecipazione popolare, quella fatta di persone che si mettono in gioco, non con un semplice “like”, ma con le loro idee e con le loro scelte di vita. E’ la sfiducia che trattiene oggi uomini e donne da un pensare al plurale e che è genera lo sfaldarsi di quella inestimabile ricchezza che è l’associazionismo o ogni forma similare di operosità sociale. E’ questa la vera sfida che i partiti, dovrebbero prendere in considerazione preoccupandosi, prima di ogni altra cosa, della loro riforma interna. Ridiventare laboratori di partecipazione popolare, lontani dalle tentazioni del leaderismo e del movimentismo che erodono le dinamiche della rappresentanza a favore di un’idea del consenso piuttosto liquida e, perciò, primariamente a discapito di chi la cavalca, pericolosamente fluttuante.

Ma prima ancora di quanto si è detto, vanno rimesse al centro due categorie: i giovani e gli ultimi. Occorre ritrovarli come punti di riferimento, come metri per valutare la capacità futuro e di giustizia che c’è in ogni scelta, a qualunque livello e in qualsiasi ambito sia effettuata.

Ripartire dai giovani, significa rispondere alla domanda di futuro e di prospettive concrete, ma anche non lasciar cadere nel vuoto il segnale che hanno dato in occasione del referendum. La scelta di un largo ritorno al voto sulla Carta costituzionale, oltre ad essere indirettamente di aiuto nell’interpretare l’astensionismo su altre consultazioni (perché non sono non percepite allo stesso modo?), va comunque considerato un laccio da non far cadere a terra.

“Venite intorno a me voi tutti, ovunque vaghiate, e ammettete che le acque intorno a voi sono salite e che presto sarete inzuppati fino all’osso. Se credete che il tempo possa esservi a favore, allora è tempo di cominciare a nuotare o affonderete come pietre, perché i tempi stanno cambiando”

Con queste parole, un inno al cambiamento a metà degli anni sessanta, Bob Dylan incitava i giovani a prendere coscienza di ciò che stava avvenendo e a divenire protagonisti del loro tempo

Sono passati più di cinquant’anni dalle vicende che ispirarono questa canzone e i cambiamenti non sono andati proprio nel verso auspicato. Sconfitta dopo sconfitta, il disincanto ha toccato un po' tutti, soprattutto i giovani. Ora la questione non è ritornare a quel passato impossibile di partecipazione e ideologie, quanto piuttosto nel riallacciare un rapporto, restituire la possibilità di apporto e di pensiero, nel creare luoghi di ascolto, progetto, formazione a loro misura. E’ un impegno a tempi lunghi, dai non facili risultati, che dovrebbe vedere accomunate quante più forze in campo. Ma è cruciale, sia perché, tra le tante cose, questo Paese ha soprattutto bisogno di coscienze formate e di risorse giovani, sia perché è sempre dalle persone che si riparte.

Ultimo, ma solo perché rimanga ancora più impresso in chi legge, è il tema degli ultimi. Nessuno, proprio nessuno può sentirsi esentato dal chiedersi come può contribuire ad una società più giusta ed equa. La forbice sociale che si è venuta a costituire nel nostro Paese, attraverso una sempre meno uniforme distribuzione della ricchezza, il conseguente arresto della mobilità sociale, l’insufficiente investimento di risorse nelle politiche sociali e della salute a fronte di un crescente invecchiamento della popolazione, la scarsità del lavoro, il travaglio che deriva dalle nuove mescolanze con immigrati e rifugiati. Sono questi i temi su cui riorientare e parametrare ogni forma di impegno, nella politica, nella società, nella cultura e nell’informazione. Non solo perché è il costante richiamo del Papa, ma perché occorre dirsi che un cambiamento in altro verso, sarebbe realisticamente illusorio e rischioso per chi voglia immaginare un’Italia ed un’Europa vivibili e al riparo da conflitti di ogni genere. E’ un impegno, questo, di quelli che vanno intrapresi con “l’audacia dell’improbabile e dell’impossibile”, formula citata, nella prima omelia dopo la nomina, da Arturo Sosa Abascal, nuovo generale dei Gesuiti, per dire la necessità di uscire, a volte, dagli schemi che la realtà impone per trovare soluzioni nuove ai problemi e alle sfide esistenti. E’ l’audacia che serve ora a chi, scegliendo di non cedere al disorientamento e alla sfiducia, vuole guardare avanti e contribuire alla nascita di un tempo nuovo.

Buon Natale!

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