I diritti sociali nei tempi della crisi

Giovedì, 10 Settembre, 2015

La sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2015 che ha dichiarato la incostituzionalità del blocco della contrattazione collettiva in materia di stipendi pubblici – a cui ho avuto la ventura di partecipare al procedimento già dai giudizi che avevano rimesso alla Consulta la questione – è l’occasione per alcune riflessioni sui diritti sociali nei tempi di crisi finanziaria  ed economica, sulla loro natura e sulla loro di limitazioni.

 

La crisi e la legislazione emergenziale.

La crisi economica attuale è globale,  da finanziaria (delle banche ed istituzioni finanziarie)  è divenuta economica ( con incidenza dei debiti pubblici di molti paesi europei) e sociale (attraversando con incidenza tutti gli strati della popolazione) con tratti di durevolezza mai constatati prima.

Gli interventi statali e prima ancora sovranazionali della UE per contrastarla sono stati incisivi.

I programmi di sostegno finanziario, le direttive della c.d. Trojka (Commissione Ue, Fmi, Bce) e la vigilanza degli organismi UE hanno forti ricadute strutturali, sui sistemi di risoluzione di indebitamento, sulla legislazione e sugli interventi del legislatore e della politica di tutti gli stati UE.

Tra gli altri va evidenziato che il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (c.d. Fiscal compact) del 2012 ha introdotto il vincolo, per gli Stati europei, del pareggio di bilancio. In Italia la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha inserito tale principio nell’art. 81 della Costituzione.

Tali fattori hanno inciso sulle politiche e sulla legislazione di tutti gli Stati obbligati dai vincoli ed obblighi UE al risanamento dei conti con sensibili conseguenze sulle spese statali e quindi su tutti i fondi destinati al soddisfacimento dei diritti sociali. Tutti  gli istituti di diritto sociale – pur non sottratti alla sovranità italiana ed in generale di tutti gli stati -  sono stati messi in forte discussione dalla riduzione della spesa pubblica.  

I diritti sociali e caratteristiche giuridiche

I diritti dei cittadini - il diritto alla salute, il diritto al lavoro ed all’equa retribuzione,  il diritto all'istruzione e così via -  a ricevere delle prestazioni da parte dello Stato costituiscono i cd diritti sociali ormai acquisiti con il welfare state al patrimonio dei cittadini specie di quelli in situazioni di bisogno e fragilità.

Ma non sempre - nonostante il riconoscimento in Costituzione - tali diritti sono pieni ed il cittadino ha la pretesa a vederli soddisfatti in quanto:

1 – tali diritti e bisogni  necessitano di prestazioni sociali che dipendono – per  quantità e qualità – dalle concrete risorse destinate a tali interventi e quindi ancor prima dalle scelte politiche, legislative e amministrative. In tempi di crisi le aspettative dei cittadini sono ancor più ridotte dalla ristrettezza dei fondi pubblici.

2- a tali diritti non  corrisponde un obbligo delle pubbliche amministrazioni:  il cittadino sotto il profilo giuridico  non ha un diritto soggettivo che gli consente di vedere adempiuti tali diritti  dalla pubblica amministrazione direttamente dinanzi ad un giudice – cd obbligo “giustiziabile” ad erogare le prestazioni -  ma tali diritti e bisogni costituiscono spesso un mero interesse legittimo che corrisponde alla pretesa acchè la  pubblica amministrazione eserciti i suoi poteri pubblici in conformità alla legge …che non è corrispondente alla realizzazione concreta  di quel diritto  specifico e/o al soddisfacimento del sottostante bisogno…

I tempi di crisi le aspettative dei cittadini  sono ancora più ridotte:  non solo gli interessi legittimi dei cittadini ma spesso anche i diritti soggettivi vengono limitati in ragione delle risorse disponibili.

 

Le legislazione dell’emergenza in materia di blocco delle retribuzioni.

La legislazione dell’emergenza per fronteggiare la crisi, ha inciso con tagli di spesa  e politiche di risanamento, sui conti  statali ed interessato tutte le voci di spesa pubblica ivi compresi tutti i fondi destinati al welfare e le voci maggiori di spesa statale in primis gli stipendi dei dipendenti pubblici.  

In materia l’Italia ha adottato un provvedimento di congelamento pluriennale delle dinamiche retributive ( del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 30 luglio 2010, n. 122, cui si collega il successivo disposto del d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122) al livello di quello del 2010 con blocco degli automatismi per il personale di diritto pubblico (dirigenti, forse armate e di ps,  magistrati, prefetti etc..) ed il blocco della contrattazione collettiva – strumento esclusivo di determinazione della retribuzione – per il personale cd privatizzato dipendenti ministeriali …etc…

Tali previsioni hanno determinato un significativo abbattimento del valore reale delle retribuzioni dei lavoratori (la Corte dei Conti ha calcolato in media del 4-5% annuo!!).

Le organizzazioni sindacali e/o i lavoratori hanno avviato, nelle sedi giudiziali, azioni per la tutela della retribuzione  e diversi giudici hanno sollevato questioni di costituzionalità delle misure legislative emergenziali per valutarne la conformità a svariati principi costituzionali.

Gli interventi della Corte Costituzionale. La sentenza 178 del 2015.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale  sulla legislazione della crisi ha prodotto un cospicuo numero di pronunzie con esiti diversi. 

A - La Corte ha   scrutinato la conformità delle misure di blocco delle retribuzioni e delle procedure contrattuali di categorie diverse di dipendenti pubblici.  ( sentenza n.304 del 2013  per il personale diplomatico; n.310 del 2013 (ed ordinanza 113 del 2014)  per professori e docenti universitari; n.154 del 2014 per i militari guardia di finanza; n. 219 del 2014 per il personale Ata della scuola).

La Consulta ha rigettato l’incostituzionalità delle norme ritendo che le misure legislative  siano da considerarsi proporzionate alle finalità di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, pur comportando sacrifici gravosi, giustificati tuttavia dall’incombere di una  gravissima crisi economica. Circa la durata pluriennale delle misure retrittive la Corte ha riformulato il parametro di ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure: in ragione dei vincoli di osservanza degli obblighi di equilibrio di bilancio, del c.d. Fiscal Compact, le misure di risparmio di spesa strutturali  possono richiedere durata e periodi, certo definiti, ma più lunghi  in ragione delle attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio.

B - La Corte Costituzionale nelle sentenze n. 223/2012 (sul personale di magistratura) e n. 7/2014 (sul personale della Banca d’Italia) invece  ha dichiarato l’ incostituzionalità delle misure di blocco retributivo non certo per le caratteristiche delle misure quanto per il   principio di tutela dell’indipendenza dei magistrati (art. 104 Cost.) e,  dell’autodichia – autodeterminazione giudiziaria -  dei funzionari della Banca d’Italia.

Lo scarso accoglimento delle pretese giudiziarie in ambito nazionale ha determinato anche il ricorso  alla CEDU ( Corte europea dei diritti dell’uomo).  La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non ha  norme di tutela dei diritti sociali, e la loro violazione si ancora alla contrarietà  all’art. 1, Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione, che riconosce il diritto di ciascun individuo al rispetto dei propri beni salvo limitazioni giustificate dal pubblico interesse. Salari e pensioni rientrano nel patrimonio giuridico e materiale della persona e la CEDU è competente a pronunziarsi sulle misure statali limitative di tali diritti sociali.  La CEDU si è pronunciata più volte valutando  il bilanciamento tra diritto alla retribuzione  e finalità statale di  contrasto della crisi e di risanamento finanziario. La CEDU ritiene che nel perseguire le finalità pubbliche suindicate in tempi di riscontrata crisi economica e sociale gli Stati hanno discrezionalità ampia nel legiferare circa gli interventi e pertanto le misure di tagli e di riduzioni stipendiali soppesate anche da misure di incentivazione alla crescita economica e/o ragionevolmente limitate nel tempo e sotto il profilo quantitativo  non sono illegittime .

C – con sentenza 178 del 23 luglio  2015 la Corte ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale sopravvenuta in materia di blocco delle retribuzioni degli stipendi dei dipendenti pubblici: la normativa n.190 del 2014 che ha esteso il blocco del 2010  sino al 2015 ha permesso alla Corte di evidenziare  che “Solo ora si è palesata appieno la natura strutturale della sospensione della contrattazione e può, pertanto, considerarsi verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale, che spiega i suoi effetti a séguito della pubblicazione di questa sentenza.”

 

 Le norme del blocco retributivo e contrattuale  sono state dichiarate incostituzionali perché violano

“La libertà sindacale  tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva, e ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale”

 

La tutela negoziale del sindacato  che coinvolge tutti gli aspetti della vita lavorativa tutelati dalla Costituzione:  “Tali elementi danno conto sia delle molteplici funzioni che, nel lavoro pubblico, la contrattazione collettiva riveste, coinvolgendo una complessa trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.), in un quadro di tutele che si è visto essere presidiato anche da numerose fonti sovranazionali, sia delle disarmonie e delle criticità, che una protratta sospensione della dinamica negoziale rischia di produrre.”

 

A fronte di un evidente ed imponente diritto quale la libertà sindacale - con tutto il fascio dei diritti dei lavoratori che ricomprende - il legislatore nel perseguire il pareggio di bilancio - ex art. 81 costituzione - doveva contemperare ragionevolmente ed equamente il blocco e la sua durata. 

Il legislatore ha operato irragionevolmente il bilanciamento dei  due interessi contrapposti da un lato  il risanamento di bilancio e, dall’altro,  la libertà sindacale ed i diritti sociali dei lavoratori: “ Il carattere ormai sistematico di tale sospensione sconfina, dunque, in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del d.lgs. n. 165 del 2001), ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81, primo comma, Cost.).”

 

 “Il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art. 39 Cost., proprio per questo, non è più tollerabile.”

 

Va evidenziato che la sentenza e l’azione giudiziaria intrapresa dal sindacato e dai singoli ha scongiurato l’ulteriore protarsi del blocco: è la stessa Corte costituzionale che attesta che “ il fatto che tali misure fossero destinate a perpetuarsi nel tempo si evince dall’art. 1, comma 255, della legge n. 190 del 2014, che, fino al 2018, cristallizza l’ammontare dell’indennità di vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013.”

 

Anche la sentenza 70 del 2015 della Corte ha sanzionato con l’incostituzionalità l’azzeramento del meccanismo di perequazione delle pensioni (dl 201 del 2011) - reso nella stessa legislazione emergenziale e di restrizione di spesa:  “L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”

 

Riflessioni conclusive.

I concetti giuridici sottesi alla sentenza 178 – ed alla 70 -   ben possono esser utilizzati ed estesi a tutti gli interventi legislativi e di politica sociale per alcune riflessioni.

 

-Le scelte politiche e del legislatore  se obbligate dalle direttive UE e dal principio del pareggio di bilancio ex art. 81 Costituzione sono discrezionali sia circa la natura degli interventi – misura e durata – che circa i settori di intervento ed i  destinatari.

 

-I  principi di pareggio di bilancio e di risparmio di spesa   non sono assoluti e  da perseguire ciecamente dal legislatore e dalla politica:  tali interessi statuali vanno perseguiti ed adeguamente bilanciati con i plurimi diritti in capo ai cittadini destinatari delle misure parimenti protetti dalla Costituzione.

 

- La scelta concreta della politica, del legislatore, delle PPAA - in quello specifico ambito con destinatari individuati - incontra  limiti proprio nei prioritari principi di ragionevolezza delle misure, di cui è componente la durata degli interventi.

La sentenza 178 ci dice che il protrarsi strutturale e pluriennale delle misure che incidano acriticamente ed ordinariamente sugli stessi settori e soggetti è incostituzionale ed  intollerabile.

- L’attenzione del legislatore e la sensibilità ai diritti sociali è invece comunque subordinata al principio del pareggio di bilancio ed è  stigmatizzata da evidenti circostanze: a) solo la sentenza della Consulta  ha scongiurato che la durata delle misure fosse reiterata  in quanto nelle previsioni legislative  era fissata sino al 2018(sic!!); b) la sentenza70 che ha riconosciuto l’ illegittimità del blocco della perequazione delle pensioni da parte del Governo non è stata attuata totalmente: il  diritto dei pensionati alla restituzioni delle somme   – proprio in ragione dei limiti di bilancio – è stato attuato solo in parte qua!!

- L’estensione di tali principi giuridici a tutti gli  ad interessi e diritti  sociali – diritto alla salute all’assistenza etcc -   induce a dichiarare insostenibili ed illegittimi sotto ogni profilo - in primis etico - i tagli e le riduzioni di spesa che incidono con continuità ed ordinariamente  sui diritti  sociali ed in particolare  sulle persone più indifese.

- Tali diritti sociali - nonostante hanno come titolare la persona nei suoi profili essenziali - sono intrinsecamente deboli e fragili anche sotto il profilo giuridico: tali diritti sono spesso i cd interessi legittimi  e/o comunque diritti che non sono immediatamente  “giustiziabili” nel senso possedere tutela giudiziaria diretta ed immediata.

-La tutela e la promozione dei diritti sociali  è affidata  – oltrechè al farsi prossimo di ciascuno -  alle scelte  politiche, legislative ed amministrative che vanno – proprio messe in luce dalla crisi – ridefinite e ripensate.  

Da cittadini – prima ancora che da cristiani -  dovremmo rispondere e pretendere risposte  alle seguenti domande:

- il principio di pareggio di bilancio e di contenimento della spesa è prioritario ad ogni altro  o va graduato e subordinato  - nelle concrete misure di spesa e di contenimento della stessa - a prioritari diritti della persona e dell’individuo che nella scala di valori costituzionali sono i più elevati??

- La continua e pluriennale politica di contenimento dei costi e delle spese pubbliche con incisione grave sui bisogni e diritti sociali è legittima e  sostenibile??

- E’ legittimo protrarre ancora  e sine die tali politiche di restrizione della spesa incidendo prioritariamente con restrizioni e  limitazioni sui diritti sociali e fondamentali della persona??

- E’ legittimo omettere interventi alternativi e su altri fronti di spesa e con altre opzioni incidendo su diversi settori e destinatari ed attraverso interventi che perseguano e/o raggiungano medesimi obiettivi di risparmio di spesa???