Francesco sulla famiglia: «camminiamo!» Una prima lettura della Amoris laetitia

Mercoledì, 13 Aprile, 2016

Attesissima, l’esortazione apostolica che fa seguito ai due sinodi sulla famiglia è arrivata: si intitola La gioia dell’amore (Amoris lætitia). Lunga – lo riconosce papa Francesco stesso al n. 7 –, per la varietà dei temi affrontati ma soprattutto per la necessità di riprodurre la ricchezza del cammino sinodale ed esprimere le sfaccettature della realtà a cui è dedicata. Dunque un testo in cui immergersi, da respirare e assaporare, e non da percorrere freneticamente alla ricerca di qualche novità “piccante” per continuare ad alimentare polemiche che si trascinano da troppo tempo. Certo, le questioni più “calde” vengono affrontate, ma comprendere il modo con cui sono trattate richiede di lasciarsi toccare in profondità dalla dolcezza e dalla pacatezza del testo, e dal richiamo alla misericordia come orizzonte di senso al cui interno collocare tutto il discorso: «Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!» (n. 297).

Fin da subito vediamo come l’Amoris lætitia si fondi sui cardini del magistero di papa Francesco: la misericordia, di cui stiamo celebrando il Giubileo straordinario; la gioia, evocata fin dal titolo, proprio come nell’Evangelii gaudium; e la cura, come atteggiamento di sollecitudine e attenzione profonda; se nella Laudato si’ era rivolta alla casa comune, qui si dirige verso la “casa domestica”: «Spero che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse “non sono un problema, sono principalmente un’opportunità”» (n. 7).

Papa Francesco ratifica il percorso sinodale non “chiudendo” il dibattito; infatti è ben consapevole «che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (n. 3) e che «in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali» (ivi). Del sinodo raccoglie dunque non semplicemente le conclusioni, ma l’esperienza di incontro e dialogo, che ha mostrato che la Chiesa è lontana da avere una prospettiva omogenea e che questo dato di fatto non solo non è un problema, ma è qualcosa di molto prezioso: «L’insieme degli interventi dei Padri, che ho ascoltato con costante attenzione, mi è parso un prezioso poliedro, costituito da molte legittime preoccupazioni e da domande oneste e sincere» (n. 4).

La scelta di papa Francesco è invece quella di aprire un cammino di discernimento, invitando la Chiesa a percorrerlo, a partire dalla revisione del modo in cui sono formulati i giudizi – «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale» (n. 301) – e delle pratiche di esclusione e accoglienza (cfr n. 299).

La guida in questo cammino di discernimento non è la norma: più volte si ripete come la legge e i valori non possono essere branditi come un martello o usati «come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone» (n. 305). Non lo è nemmeno la “naturalità” della famiglia. In tutta l’esortazione la “legge naturale” fa capolino solo in una citazione della Commissione Teologica Internazionale: essa «non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione» (ivi). Il rischio da evitare è l’astrattezza, che finisce per occultare la bellezza stessa del valore del matrimonio e della famiglia; per il Papa è motivo di autocritica per la Chiesa: «Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (n. 36). Invece «la Parola di Dio non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore» (n. 22). Per sfuggire alla deriva dell’astrattezza occorre piuttosto «tenere i piedi per terra» (n. 6).

La guida del discernimento è l’«amore misericordioso» (n. 312) e il luogo appropriato in cui esso si svolge è innanzi tutto la coscienza delle persone, a cui «stentiamo a dare spazio» (n. 37) e che invece «dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa» (n. 303): i fedeli «tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi» (n. 37). Dunque, il ruolo della coscienza non può limitarsi al riconoscimento di essere nell’errore o nel peccato: essa può anche «scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita» (n. 303).

La centralità della coscienza – in cui, come ricorda il n. 222, risuona la voce di Dio – rende ragione dell’insistenza di papa Francesco sulla bellezza di una proposta di un cammino di amore, di matrimonio e famiglia che si radica in una prospettiva di fede, ma che al tempo stesso si rivela profondamente umanizzante. È questa la chiave che «apre la porta a una pastorale positiva, accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo». Di fronte alla varietà e alla complessità delle situazioni con cui si confronta, la strategia di papa Francesco non si pone in primis sul piano delle norme, allargandone o restringendone il campo di applicazione, ma è squisitamente pastorale. Chiede alla Chiesa di sperimentarsi nell’accompagnamento individuale e comunitario delle persone e delle famiglie, nella concretezza delle situazioni in cui vivono. Tutte le esperienze sono da valorizzare, tutte hanno un contributo da apportare: «Può essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati» (n. 202).

Per questo tutte le situazioni familiari trovano spazio e ricevono attenzione nelle pagine dell’esortazione: quelle felici e quelle di difficoltà; quelle di successo e quelle di crisi o di fallimento; quella delle coppie sposate e quelle di coloro che scelgono o sono costretti da vincoli e condizionamenti a convivere; quella delle coppie giovani, quella dei genitori alle prese con l’educazione dei figli, quella dei coniugi anziani chiamati a scoprire come invecchiare insieme continuando ad amarsi, fino a quella delle famiglie colpite dal dolore e dal lutto. La radice di questa attenzione alle famiglie concrete è squisitamente biblica: «La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9)» (n. 8). È proprio questo atteggiamento di attenzione e cura verso tutte le situazioni che papa Francesco richiede a tutti i vescovi di assumere, in particolare attraverso lo strumento del dialogo: «ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche “il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà”, per “entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza”» (n. 293).

La “scommessa” di papa Francesco è che questo cammino di discernimento, basato su attenzione, ascolto e dialogo, saprà produrre le risorse con cui «continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali» (n. 2). Sarà la pratica a cambiare la teoria e soprattutto a scoprire il modo adeguato di formularla e presentarla: «non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (n. 122).

Proprio come la Laudato si’ al n. 244, anche l’Amoris lætitia si conclude con in invito a mettersi in cammino. È un invito rivolto alla Chiesa, alle singole comunità cristiane, a tutte le famiglie e a tutti i credenti, in qualunque situazione di vita si trovino. È la vocazione originaria di Abramo e Sara, che trasformò loro storia di coppia, ormai per molti versi al capolinea, in benedizione per tutte le famiglie e le generazioni, non senza una serie di svolte e giravolte e una certa dose di ambiguità e contraddizioni. Come il nostro padre e la nostra madre nella fede, lungo questo cammino anche noi siamo sostenuti dalla certezza che «Quello che ci viene promesso è sempre di più» (n. 325). La tensione verso il compimento escatologico di questa promessa apre lo spazio dei percorsi di crescita e di sviluppo della nostra umanità e delle nostre famiglie e al tempo stesso rende magnanimo il nostro sguardo. Difficile trovare parole per dirlo migliori di quelle usate da papa Francesco, ancora al n. 325: «contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!».