Federale, intergovernativa o … dissociativa: quale Europa nel XXI secolo?

Domenica, 20 Dicembre, 2015

Il titolo volutamente provocatorio prescelto richiede che nel mio breve intervento tenti almeno di mettere in questione (se non di sovvertire), per quanto possibile, l’accelerazione e l’infittirsi dei giudizi negativi sull’Europa, o meglio sull’UE.  Il tentativo è particolarmente difficile se solo si pensa che proprio oggi si svolge una riunione del Consiglio Europeo che ha all’odg questioni rilevanti e di difficile soluzione: dal futuro referendum in Gran Bretagna alla situazione economica di alcuni paesi membri, per concludere con i temi scottanti del terrorismo. Eppure, fino a non molto tempo fa, «più Europa» o, come si dice a Berlino, «Mehr Europa» è stata la formula corrente che una quota importante (anche se non più maggioritaria) dell’opinione pubblica europea ha usato per stimolare l’impegno comune a riparare i profondi danni economici, sociali e politici prodotti dalla crisi finanziaria che coinvolge, pur in maniera diversa (o molto diversa), da oltre un decennio i Paesi dell’Unione. «Più Europa», quindi, per affrontare le sofferenze che accompagnano quotidianamente gli spesso incontrollati flussi migratori dal Sud e dal Sud-est del mondo; «più Europa» per mitigare gli effetti nefasti della disoccupazione; per sviluppare politiche unitarie nel nevralgico campo degli approvvigionamenti energetici; «più Europa» soprattutto nella politica estera e nella riconsiderazione delle politiche di pace dell’Unione. Oggi tale formula è in rapido disuso, ma non annullata: purtroppo, specie nei paesi latini, è evidente l’incremento dei complessi e pur spiegabili fenomeni populisti antieuropei (e antieuro) o, semplicemente, lo sfumare di quel sentimento europeista che aveva ispirato gli sforzi di un paio di generazioni per la costruzione di un avvenire di pace e di benessere diffuso nel vecchio continente. Eppure resiste, non senza ragioni, l’idea alternativa che la crisi o le crisi in corso abbiano la loro causa nel fatto che si sia realizzato o vi sia ancora «troppo poca Europa».

La crisi economica e finanziaria ha fatto emergere delle forti debolezze sostanziali e procedurali dell’Ue; l’Unione Economica e Monetaria che doveva essere il nucleo principale della fusione delle sovranità per tentare di risolvere i problemi strutturali dell’UE ha operato in realtà una regressione. Quando l’Unione si è trovata a dover prendere delle soluzioni urgenti per risolvere i problemi dell’area euro, ha dovuto farlo creando diversi dispositivi intergovernativi a causa delle falle dell’architettura dell’Unione Economica e Monetaria. I principali atti che sono stati adottati, come il trattato fiscale che ha costituzionalizzato la regola del pareggio di bilancio nella costituzione degli stati membri che sono parte dell’unione monetaria, sono stati fatti con trattati internazionali, non con atti europei. In sostanza, le debolezze strutturali che l’unione monetaria si trascinava dietro sono esplose con la destabilizzazione dell’euro per cause endogene ed esogene. E la crisi dell’euro è stata tamponata ancora con provvedimenti non di diritto comunitario, ma intergovernativo, e con degli atti operativi della Banca centrale europea, facendo perdere giustificazione pubblica (accountability) all’intero sistema. 

        Si tratta di crepe e limiti che sono gravi e paiono a molti sempre più difficilmente rimediabili. Non solo l’Europa non è divenuta quel global player sognato dai Padri Fondatori, ma, con lo scomparire progressivo dei miraggi egualitari di pacificazione e di benessere promessi dai profeti della globalizzazione, non si è realizzato neanche quel «sogno europeo», per il quale la progressiva integrazione economica avrebbe prodotto, pressoché in automatico, l’unità politica dell’Unione e, verosimilmente, il sorgere di un’identità democratica comune, se non di un popolo comune, cioè di un Demos europeo.   Segue...