Fare scuola al tempo del covid

Martedì, 23 Giugno, 2020

La relazione educativa tra pandemia, sistema scolastico e tecnologia

Mentre si ragiona su come far ripartire la scuola e quali indicazioni offrire, è opportuno ripensare all’esperienza svolta in questi mesi, che ha messo a dura prova sia il sistema scolastico, sia – direi soprattutto – gli insegnanti, gli studenti e le loro famiglie.

Lo facciamo prospettando prima una considerazione sul contesto e poi raccogliendo una serie di riflessioni di docenti che operano nella scuola statale con diverse fasce di età. Da esse emerge un vissuto faticoso e problematico, ma non negativo né pessimistico, che può offrire qualche elemento per interpretare quanto sta accadendo nella più importante realtà educativa e formativa della nostra società. Una realtà che tutti dicono decisiva per il futuro, ma che sconta una sostanziale ‘dimenticanza’ sociale e politica. Una dimenticanza che certo non è estranea alle sue difficoltà di fondo, ma che nel contempo non può essere neppure considerata unica spiegazione causale delle sue inefficienze.

  1. IL CONTESTO DEL RAPPORTO SCUOLA/PANDEMIA

La scuola è stata riscoperta dalle famiglie in questa fase di emergenza e viene sollecitata a ripartire. Anzi non mancano le polemiche per la sua mancata riapertura. Ma l’impulso pare in prevalenza legato all’esigenza di ‘liberare’ le famiglie dai figli, così da permettere di tornare ad una normalità nell’ambito lavorativo (e psicologico) dei genitori. Si tratta però di una prospettiva ben poco scontata, anzi tutta da verificare. E ciò non solo per l’evoluzione ancora poco prevedibile del contagio in autunno, ma anche considerando i vincoli strutturali della scuola e le condizioni assai precarie in cui essa opera in tante zone del Paese. La pandemia e le conseguenti norme di sicurezza hanno colpito al cuore il sistema scolastico, bloccando l’attività didattica in aula del gruppo classe e ponendo un serio interrogativo sulle possibili modalità di ripresa, proprio a riguardo di questi due elementi cardine, appunto l’aula e il gruppo classe. Neppure il sistema produttivo e commerciale ha visto un effetto così pesante ed un blocco così vincolante. Né un carico di responsabilità (educativa, civile e .. penale) dello stesso rilievo e dimensioni. Per questo sono evidentemente fuorvianti i confronti, del tipo “se ripartono le discoteche, perché non riaprire le scuole…” o “se gli operai rischiano, perché non possono farlo gli insegnanti?”.

Se da un lato la scuola è giustamente percepita come un mondo unico, che necessita di una governance di sistema, la sua complessa articolazione della scuola non consente affermazioni e indicazioni troppo generali. E proprio questa condizione variegata per fasce di età, luoghi, specializzazioni, condizioni sociali, economiche e culturali  dei diversi contesti spiega la difficoltà di orientare e governare un sistema così vasto e segnato da forti divaricazioni. Pochi dati ne offrono la misura[1]: oltre 835.000 docenti, per quasi 8,5 milioni di studenti (di cui 260.000 con disabilità, con 150.000 docenti di sostegno); gli istituti statali dopo le successive razionalizzazioni sono poco più di 8.200 (che gestiscono ben 40.800 sedi scolastiche, con 370.000 classi), a cui si affiancano molte piccole scuole paritarie (se ne contano oltre 12.500, con quasi 870.000 alunni). A questo si aggiunge il personale non docente, amministrativo e ausiliario (circa 250.000 persone). In sostanza oltre 10 milioni di italiani sono direttamente coinvolti nella scuola e, se si contano le famiglie degli studenti e del personale, la cifra si triplica. Nella nostra società nessun altro ‘sistema’ è così ampio, diffuso e complesso come quello scolastico.

Gran parte degli istituti statali sono “comprensivi” di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di 1° grado; mentre gli istituti di istruzione superiore comprendono numerosi corsi di diversa specializzazione, sia nei Licei che nei Tecnici e Professionali. La complessità, quindi, è anche  interna agli stessi singoli istituti. Se ciò ha favorito processi di omogeneizzazione organizzativa, ha reso difficile per gli operatori (in particolare per gli insegnanti ed il personale non docente) avere un quadro compiuto di tale complessità e potersi inserire attivamente nella sua gestione.

Il difficile coinvolgimento del personale nei progetti di riforma e nella loro effettiva attuazione, nonché la presenza di una diffusa fascia di precariato hanno creato all’interno di gran parte delle scuole situazioni a ‘doppia’ (se non ‘tripla’) velocità, tra nuclei propensi a innovazione e sperimentazione, elementi che faticano a inserirsi nel processo (magari portati a riprodurre semplicemente l’esperienza vissuta da studenti), componenti che fanno resistenza e opposizione più o meno esplicita.

Il processo di razionalizzazione e accorpamento delle scuole statali, ed in particolare le norme sull’autonomia, hanno inoltre modificato profondamente la figura dei dirigenti scolastici, il cui profilo richiede connotati sempre più manageriali e progettuali, rispetto alla gestione prevalentemente didattico-educativa del modello precedente.

Una prima conclusione è che anche al sistema scuola occorre applicare i criteri del ‘glocale’, ormai impiegati nell’analisi e progettazione socio-economica. 

Il covid si è riversato su un sistema scolastico già molto sotto stress, per molti motivi ed anche a seguito dei forti tagli che si sono susseguiti dagli anni ’90 in poi. L’Italia sconta un limitato investimento nel sistema scolastico, diminuito negli ultimi 10 anni (nell’ultimo triennio non arriva all’8% del totale della spesa pubblica, e si ferma al 3,8% del PIL), collocandoci in fondo alla classifica dei paesi dell’UE. A segnare il gap rispetto ai nostri partner continentali non sono solo le retribuzioni degli insegnanti, ma anche le spese nelle strutture (che spesso non sono adeguate alle norme di sicurezza) e quelle in innovazione tecnologica. E qui cominciamo a toccare un terreno strettamente coinvolto con l’emergenza di questi mesi: la debole competenza digitale e la carenza di strutture informatiche tanto dei docenti che degli studenti.

Se da un lato bisogna superare una “condizione innaturale”[2] quale quella vissuta in questi mesi, dall’altro occorre sciogliere i nodi delle strutture e degli spazi, del personale aggiuntivo necessario, dei trasporti e delle modalità in sicurezza per una nuova didattica in presenza.  Nodi che ovviamente hanno anche un risvolto finanziario: lo stanziamento di circa un miliardo di euro finora stabilito si prospetta ampiamente insufficiente.

Accanto ai freddi dati strutturali occorre considerare il vissuto delle persone. C’è infatti il concreto rischio che il desiderio di ritornare alla normalità (o presunta tale) porti a rimuovere quanto è accaduto in questi mesi. E ciò riguarda in particolare due versanti: anzitutto quello culturale che conduce ad una verifica profonda del nostro modello di sviluppo, ad una riflessione sul rapporto tra cittadini e istituzioni, al modo di vivere in famiglia, alle forme di reazione alla novità, al restringimento, alle forme di comunicazione, al rapporto con la dimensione spirituale[3]. Vi è poi il versante psicologico attinente ad una esperienza inedita di isolamento sociale, di paura della malattia e della morte, di relazioni interne alla casa e alla famiglia, di gestione degli spazi e di distanziamento, di riduzione radicale del linguaggio corporeo, di ulteriore sviluppo del linguaggio digitale e visivo, di modificazione del senso del tempo. Tutto ciò non è passato indenne e sarebbe un errore sganciare la scuola da una riflessione critica e da una elaborazione della sofferenza – e più in generale dell’esperienza -  che la vicenda del covid ha provocato.  Viceversa sarà vitale far esprimere questo vissuto e tentare di rielaborarlo costruendo percorsi culturali significativi, capaci di far cogliere i limiti dell’esperienza umana, accanto alle potenzialità di reazione costruttiva, di sviluppare l’attitudine a reggere la complessità e la provvisorietà delle situazioni e degli stessi dati scientifici, a comprendere meglio il rapporto tra società, politica, economia, scienza, religione, nonché a valutare in modo più responsabile l’uso della tecnologia, sia nelle sue potenzialità sia nell’esigenza di tutela dei diritti e sicurezza, scoprendone la natura di bene comune, da promuovere e su cui vigilare con un’adeguata legislazione europea. Anche in questo caso, la forte differenza tra territori e nella condizione sociale delle persone – dei giovani e ragazzi in particolare - non potrà essere ignorata. 

L'articolo segue nella sezione "Approfondimenti"




[1] Le cifre sono desunte dal rapporto del MIUR per l’a.s. 2019-20, in https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Principali+dati+della+scuola+-+avvio+anno+scolastico+2019-2020.pdf/5c4e6cc5-5df1-7bb1-2131-884daf008088?version=1.0&t=1570015597058.    

Ulteriori elementi di analisi e un quadro delle misure previste per l’apertura del prossimo anno scolastico in Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico, approvato dal Comitato tecnico scientifico il 28.05.2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri in https://www.miur.gov.it/web/guest/viewasset/-/asset_publisher/JSNbzntsYmTr/document/id/3130064?

[2] Cfr. M.Gissi, Voglio una scuola vera, in http://www.cislscuola.it/index.php?id=5744

[3] In merito al versante spirituale in relazione alle altre dimensioni dell’esistenza v. i saggi contenuti nel recente testo curato da don Derio Olivero, vescovo di Pinerolo: D.OLIVERO,  Non è una parentesi. Una rete di complici per assetati di novità, Effatà, 2020