Dopo le elezioni europee

Lunedì, 3 Giugno, 2019

I risultati della consultazione europea offrono la possibilità di formulare più di una considerazione generale sul quadro politico del continente, su quello nazionale, non tralasciando alcuni riferimenti alla presenza politica dei cattolici.

Il quadro europeo non vede la vittoria delle formazioni sovraniste, temuta da più parti, ma non per questo ci possiamo dire soddisfatti di una situazione dove si annuncia un ridimensionamento del progetto europeista in seguito all’avanzare degli interessi nazionali. In un clima di impoverimento e sgretolamento sociale, questi possono portare a disinvestire rispetto l’Unione che avrebbe invece bisogno di una spinta e di una condivisione ampia, culturale prima che politica. Solo così potrebbe esserci la forza per attuare quei correttivi necessari a costruire un’Europa più politica, intervenendo su quanto previsto dal trattato, prima che le fobie nazionalistiche riemergenti portino al dissolvimento del progetto iniziale. E del resto, l’indebolimento di Popolari e Socialisti a vantaggio di Liberali e Verdi, se da un lato restituisce un quadro politico plurale da cui emerge la richiesta di una discontinuità forte sulle politiche sociali e ambientali dell’Unione, dall’altro certifica una crisi profonda dei due maggiori gruppi politici europei che dovrebbero essere, almeno in linea di principio, gli eredi di chi ha costruito il progetto europeo ai suoi albori. La frammentazione politica del Parlamento uscito dalle elezioni, unita alla chiara volontà di chi ha sin qui orientato le scelte politiche del Consiglio europeo (il governo tedesco di Angela Merkel) di perseguire ancor più severe politiche di rigore in funzione antisovranista, prospettano una legislatura caratterizzata da tensioni. La scelta del nuovo presidente della Commissione europea e quella del successore di Draghi alla BCE sono i due banchi di prova da cui si capirà la qualità politica del prossimo quinquennio europeo.

 

Il nostro Paese

Il quadro nazionale vede aumentare i voti del centrodestra, dove Lega e Fratelli d’Italia superano insieme il 40%, che fu 5 anni fa del PD, mentre i democratici si fermano ad un 22,7%, che, se può essere consolante rispetto al trend in discesa della stagione recente, mostra un sostanziale stallo. Il maggior partito di centrosinistra si trova davanti un cammino impervio e vede lontano il traguardo di una maggioranza alternativa. Nonostante l’apertura già dichiarata in campagna elettorale, mi pare evidente ora la necessità, rassicurati dalla tenuta, di prendere con decisione la strada di una costituente in cui, al massimo nel prossimo autunno, convocare quante più risorse possibili per ridefinire l’identità del partito, alla luce del quadro politico, e riprendendo il progetto iniziale.

Non basta infatti essere aperti e aggregare forze, occorre mettere in campo un progetto chiaro, con cui candidarsi ad essere una forza trainante nel Paese e in Europa. Un progetto in grado di dare senso e una chiara direzione, articolato in obiettivi precisi e sostenibili. Il tempo è breve anche se il Governo dovesse tenere: nel prossimo autunno infatti verranno al pettine i nodi di una situazione economica tutt’altro che favorevole.

La crisi in cui versa la democrazia rappresentativa nel nostro Paese, ribadita ancora dal 43% di astensione da un voto che un tempo avremmo chiamato di protesta, chiede un impegno a vitalizzare la dinamica democratica nell’unico modo che ci è possibile: costruendo soggetti politici forti, capaci di raccogliere consenso. Il problema esiste soprattutto sul centrosinistra dato che il centrodestra sembra tutto sommato attestato su un abbondante 40%: Lega più Fratelli d’Italia, più Forza Italia contano oggi il 48% ma già nel 1994 Forza Italia più AN e Lega arrivarono al 48%, anche se diversamente distribuito tra loro, mentre sul centrosinistra il 31% raggiunto da Prodi nel 2004 è un obiettivo lontano come lontano è l’obiettivo degli 11 milioni di voti e del 40,81% raccolto dal PD nelle europee precedenti. Il centrosinistra nel momento in cui dovrebbe costituire una concreta alternativa alla destra, si presenta debole e sfrangiato.

Si dirà che il voto è sempre più liquido, mobile, al punto di risultare ondivago tra un’elezione e l’altra. In qualche caso è un voto rabbioso, assolutamente disincantato, non radicato, al punto da diventare spesso, in dimensioni eclatanti, un voto completamente diverso all’appuntamento seguente, o anche un non voto. La personalizzazione della politica contribuisce a distrarre dai contenuti. Inoltre, l’obsolescenza delle ideologie rassicura l’opinione pubblica che non teme di votare anche formule in sé estreme, pensando che l’eventuale estremismo sarà “all’italiana” e che comunque si può cambiare voto la volta dopo.

Qual è il problema del centrosinistra? Da un lato vi è una sinistra dissolta per mancanza di corpo sociale (non ci sono più gli operai e neppure gli intellettuali), frammentata all’inverosimile e dall’altro un centro che avrebbe la possibilità di drenare voti moderati in uscita da un centrodestra che fatica a coagularsi intorno ad una proposta e che anzi, dopo quest’ultimo voto, rischia di essere affollato da proposte suggestive quanto difficili da immaginare. È plausibile la proposta di Calenda di tenere insieme liberaldemocratici, socialdemocratici e popolari? Esistono davvero queste tradizioni e sono riconoscibili in un corpo elettorale da rappresentare? Questa proposta coinciderebbe con l’iniziativa eventuale, sempre annunciata, di marca renziana? Ma in forme aggregative, ormai incentrate su un leader, due leader non sarebbero troppo?

Il problema esiste. Un’altra voce, Fioroni, sostiene che non si può fare a meno di un voto moderato nel centrosinistra, ma si chiede se questo dovrà passare per piccole formazioni costruite come “protesi” del partito maggiore o se il partito maggiore sarà in grado di intercettare questo flusso e di rappresentarlo. Il problema principale per il futuro del centrosinistra è proprio il PD, la sua identità, ciò che potrà diventare. In queste elezioni il PD ha registrato una tenuta, che potrebbe divenire premessa ad una ripresa.

 

Una costituente per un partito plurale

Ma a questo punto l’identità è fondamentale così come è evidente la necessità di un momento costitutivo in cui vanno coinvolte tutte le energie possibili, per raccogliere le idee. L’iniziativa lanciata dal segretario del PD va in questa direzione ma richiede una declinazione nella quale si riannodi un legame vitale con quelle grandi culture politiche (cattolico democratica, socialdemocratica, liberal democratica) che rappresentano ancora un patrimonio prezioso per edificare un pensiero politico sulla realtà e una progettualità che sappia andare al di là dei particolarismi e di una politica divenuta monotematica.

Da parte nostra stiamo lavorando al programma della terza edizione della “Costituente delle idee” proprio perché, nella indeterminatezza dei contenitori e nella fatica di essere presenti in un’ampia aggregazione, ci pare importante partire da contenuti e idee condivise. La stessa ispirazione cristiana, ben presente a tanti di noi, più che in maniera evocativa può essere condivisa proprio a partire da concreti contenuti politici: un’idea di welfare, un’idea di lavoro, di sanità, ecc.

Nel costruire un’identità plurale ed inclusiva, in quella necessaria assemblea da preparare con cura e da celebrare in autunno, tra i temi politici andrà affrontata anche la possibile rappresentanza di un cattolicesimo democratico. Non solo e non tanto di persone, quanto in primo luogo di contenuti. I tentativi cui abbiamo assistito in questa consultazione di rendere presente formazioni che dichiarano d’ispirarsi al cattolicesimo politico è naufragato in uno 0,43% del Popolo della famiglia e sullo 0,30% dei Popolari per l’Italia. Percentuali che non sono neppure la lontana ombra di ciò che è stato il cattolicesimo politico e che rischiano di “umiliare – come ha scritto Tarquinio – il lascito politico di ben altre formazioni organizzate del cattolicesimo politico italiano”. Con il massimo rispetto per ogni tentativo compiuto in buona fede, non si può non riconoscere che in questo momento una presenza qualificata e non irrilevante nel centrosinistra passa per un partito più grande. Tuttavia, questo non può darsi a qualunque costo. È necessario da parte del PD uno stile diverso. Sarà capace il PD di essere una casa abitabile a pieno titolo anche da una componente cattolico-democratica? Una casa di cui si abbiano le chiavi e dove non si sia considerati ospiti occasionali. Un luogo interessante e vivibile e non un’aggregazione che assomigli ad una convivenza di fatto. La differenza è importante, non appena per questa presenza ma per l’offerta complessiva del partito verso il Paese. Per questo è necessario una convocazione ben preparata già sui territori, che metta a frutto l’ascolto e consenta un’adeguata elaborazione culturale per mobilitare energie non solo e non tanto nel momento elettorale ma con un’elaborazione culturale e con una proposta complessiva capace di rivitalizzare gli organi del partito ai vari livelli. Ma ciò non sarà sufficiente, occorrerà immaginare modalità nuove, accogliere strumenti nuovi, far spazio ad associazioni, comitati e tutto ciò che può facilitare la partecipazione politica. Vanno sperimentate nuove forme di protagonismo civile non condizionate alla necessità di garantire la sopravvivenza dell’esistente. Questa esigenza era già nell’intuizione inziale del cammino che ha portato alla formazione di un partito che unisse le tradizioni riformistiche del Paese, quella liberaldemocratica, socialista, cattolica e ambientalista. È necessario riprendere la strada e tracciare il cammino. Se si investe in questa direzione se ne gioverà non solo un partito ma lo stesso sistema democratico.