Dopo il lavoro agile, anche il Parlamento agile?

Mercoledì, 25 Marzo, 2020

Alcuni parlamentari hanno dichiarato di essere stati contagiati dal coronavirus ed hanno iniziato la quarantena. Come sappiamo, il coronavirus impone un ordinamento sociale “droplet-less”, cioè con l’annientamento del rischio di trasmettere il virus nei contatti ravvicinati, fatti di gocce, saliva o sudore, di corpo a corpo. Le sedute parlamentari costituiscono certamente un “assembramento” di centinaia di persone.

I deputati e senatori dovranno, allora, svolgere la propria funzione, incontrandosi solo alcuni giorni al mese?  Oppure potranno svolgere da casa il loro servizio di rappresentanza della Nazione? Dopo lo smart-working e lo smart-homeschooling, avremo anche lo smart-voting?

Il voto da casa per deputati e senatori sarebbe un’innovazione di diritto parlamentare.

Coloro che sostengono la importanza delle riunioni parlamentari “ in presenza e dal vivo” fanno leva sul fatto per cui medici, infermieri, forze dell’ordine, protezione civile, operai delle imprese di rilevanza nazionale, etc. sono “dal vivo” impegnati contro la diffusione del coronavirus: non avrebbe senso esentare i parlamentari da un impegno in carne ed ossa!

Facendo una sintesi di alcune opinioni, si segnala che, ad esempio, il senatore Luigi Zanda ha espresso la propria contrarietà a votare da casa perché l’attività parlamentare è compatibile con la emergenza e la “la democrazia non è un negozio” (v. https://www.huffingtonpost.it/entry/la-democrazia-non-e-un-negozio_it_5e6a583dc5b6747ef118bd9d).  Massimo Villone sulle colonne del Manifesto ha scritto che il coronavirus è come un “game changer” e dopo questa emergenza niente nelle istituzioni sarà più come prima; ha espresso un parere contrario al voto a distanza, auspicando la convocazione delle Camere in seduta permanente. Il Presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli afferma che anche in emergenza il Parlamento mantiene una funzione costituzionale di controllo dell’operato del Governo; è contrario al voto a distanza, perché il Parlamento non è solo il luogo dove si vota, ma soprattutto dove ci si confronta: tale attività non potrebbe essere svolta in videoconferenza.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento D’Incà è della stessa opinione contraria. Il 4 marzo, nella Giunta per il Regolamento della Camera, il Presidente Roberto Fico ha manifestato perplessità su voto da casa, in base all’articolo 64 della Costituzione, poiché la partecipazione dei deputati deve essere attiva, diretta, contestuale;  intervistato da Annalisa Cuzzocrea su Repubblica del 18 marzo, Fico espone la idea di introdurre una Commissione speciale per l’esame in sede referente di tutti i provvedimenti legislativi, lasciando comunque il voto finale all’Aula. Anche la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, è dello stesso avviso del Presidente della Camera.

Il costituzionalista Rodio è contrario al voto a distanza sia perché la Costituzione prevede la presenza dei parlamentari sia perché il voto a distanza non sarebbe sicuro, né segreto. Si cita un precedente del 2011 quando l’allora Presidente della Camera Fini negò ad un deputato in custodia cautelare la possibilità di votare in modalità digitale. Gaetano Azzariti è scettico sul voto a distanza e comunque, se adottato, dovrebbe essere chiaro che si tratta di una misura eccezionale, che non può diventare la regola. Insomma, si potrebbe lasciare la situazione attuale, con i dovuti accorgimenti sanitari: il voto sarebbe in carne ed ossa, magari scaglionato oppure limitato solo ad alcuni parlamentari, rappresentativi proporzionalmente delle forze politiche, come è stato fatto per il recente voto sullo scostamento di Bilancio.

Di diversa opinione è il deputato Stefano Ceccanti, favorevole alla introduzione di un diritto parlamentare d’emergenza: altrimenti, si rischierebbe di aver un Parlamento “paralizzato” in caso di un eccesso di deputati e senatori contagiati. Anche il costituzionalista Francesco Clementi sostiene questa s opinione: un voto a distanza è meglio di nessun voto. Anche un altro costituzionalista, Fulco Lanchester, fa notare che già da tempo si vota elettronicamente, senza più il ricorso a urne e palline: ci sarebbe già in atto una "dematerializzazione " del voto.  Massimo Adinolfi sul Mattino del 15 marzo concorda: " Nulla è meno naturale ed ovvio del concetto di presenza. I filosofi se lo disputano dai tempi di Parmenide e ci son quelli che di recente si son messi di impegno a smontare la metafisica della presenza su cui si fonda la più antica delle equazioni: essere significa essere presenti, punto e basta". Dunque, per Adinolfi " i canali per essere presenti sono molti e diversi": sarebbe pigrizia intellettuale escludere innovazioni nel diritto parlamentare. Sabino Cassese interviene per dire che la Costituzione parla di “presenza” dei parlamentari ma non specifica che debba essere una presenza dentro i due rami del Parlamento (v. Il Foglio del 17 marzo); la Costituzione non tollera discontinuità, pause, interruzioni e non si arrende alle malattie (Corriere della sera del 19 marzo).

 Il giornalista Giarelli de Il fatto quotidiano ha raccolto diverse opinioni di costituzionalisti, al seguente link: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/03/14/come-far-funzionare-il-parlamento/5736346/ . La Lega è favorevole al voto da casa. Contraria Italia Viva.   Leu favorevole in teoria, ma dove essere una “extrema ratio”. Il sen. Quagliarello propone di riunione il Parlamento al Palasport, dotati di guanti e mascherine e per commemorare i concittadini sino defunti a causa del coronavirus. Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia propone il voto dei soli capigruppo. La Spagna vuole sperimentare il voto da casa dei propri parlamentari. Il Parlamento europeo ha deciso di adottare il voto a distanza: si inizia il 26 marzo con una sessione straordinaria proprio per approvare misure per contrastare l’emergenza sanitaria da coronavirus.

 

Possiamo notare una sorta di cambio dei ruoli: due esponenti del M5S quali Fico e D'Incà sono perplessi rispetto alla ipotesi di “Parlamento agile”, pur avendo contribuito da anni ad inserire nel dibattito pubblico italiano il tema della democrazia diretta on-line, in via ordinaria. Mentre l’on. Stefano Ceccanti – esponente del PD il quale è un partito che valorizza la democrazia rappresentativa -   è favorevole allo smart-voting, vista la situazione eccezionale.

Più in generale potremmo collocare questa discussione nell’ambito del tema di fondo: come garantire la tenuta dei valori costituzionali in tempo di coronavirus?  I professori di diritto costituzionale Marco Olivetti e Renato Balduzzi sono intervenuti su Avvenire, con sfumature diverse: per Olivetti, è dubbio che i provvedimenti di emergenza del Governo possano a lungo avere una copertura costituzionale, senza un più adeguato coinvolgimento del Parlamento (v. https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/cos-le-norme-contro-il-virus-possono-rievocare-il-dictator). Balduzzi sostiene che la solidarietà è il cardine costituzionale per l’emergenza ed i provvedimenti di emergenza emanati sin qui dal Governo sono coerenti con l’impianto costituzionale e parlamentare; egli fa anche riferimento al recente Codice della protezione civile, contenuto nel decreto legislativo  2 gennaio 2018, n. 1 (https://www.avvenire.it/opinioni/Pagine/solidariet-cardine-costituzionale-delle-eccezionali-misure-antivirus).

 

Insomma, il tema della presenza è assai complicato. Il recente decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, all’articolo 73, introduce la possibilità delle videoconferenze per tutti i consigli e le giunte comunali, purché sia possibile identificare con certezza i partecipanti e sia garantita adeguata pubblicità delle sedute. Bologna è stato tra i primi comuni a discutere e votare, in video-conferenza. Sembra dunque che, tecnicamente, sia possibile lo smart-voting quantomeno dei consiglieri comunali.

Qualora tecnologicamente realizzabile, la ipotesi di Parlamento agile è anche opportuna?

Vorrei provare a guardare la questione dall’ottica della democrazia deliberativa, i cui studiosi ed esperti hanno mostrato come tale democrazia deliberativa si basi sullo scambio ragionevole e ragionato di più punti di vista e si regga sulla predisposizione di una arena pubblica, dedicata al confronto tra idee distinte ed alla auspicabile trasformazione dei punti di vista. E questa dimensione necessita tempo, scambi di parole e sguardi, contatti umani ravvicinati…

Il Parlamento “in versione corporea” (riunito a Palazzo Madama ed a Montecitorio) garantisce questo scambio deliberativo, sia in Aula che nelle Commissioni parlamentari che istruiscono i provvedimenti. Anche grazie alla professionalità dei tanti funzionari che istruiscono con efficacia i lavori stessi.

La mia domanda di fondo è questa: sarebbe garantita una equale qualità deliberativa della Legislazione repubblicana, qualora l’attività dei parlamentari venisse svolta con voto –solitario- da casa? Ci sarebbe adeguato confronto deliberativo anche on-line?

Non ho una risposta.

I Presidenti di Camera e Senato potrebbero- in accordo con la Conferenza dei Capigruppo-  chiedere un parere alla Corte Costituzionale. Sarebbe un parere esperto, benché irrituale …ma d’altronde i tempi sono eccezionali…

Cosa risponderebbe Monte Cavallo?