Didattica della lontananza

Mercoledì, 6 Maggio, 2020

Preferisco chiamarla Didattica della lontananza piuttosto che didattica a distanza che invece ha una lunga tradizioni in numerosi istituti educativi, soprattutto universitari. La didattica a distanza ha infatti le sue regole, prevede momenti di incontro in presenza per fare il punto del cammino intrapreso, un confronto diretto tra allievo ed insegnante. La scuola italiana si è trovata all’improvviso a dover inventare la didattica della lontananza, in cui non è possibile mai incontrare gli allievi, guardarli per bene negli occhi. Né è possibile immaginare che i tanto vituperati schermi, ricordate quanti maledivano questi strumenti…, siano assolutamente sostitutivi del rapporto educativo. Provo a raccontare un’esperienza, quella della mia scuola, il Liceo Scientifico e Linguistico di Ceccano, che, grazie alla sua lunga familiarità con il digitale e all’abitudine pluriennale di allievi e prof di utilizzare piattaforme di e learning, non ha subito quello shock tecnologico cui invece tante altre scuole hanno dovuto sottostare. Nonostante questo tappeto tecnologico su cui poggia l’esperienza didattica “normale” del Liceo di Ceccano, molti sono stati i problemi generati dalla lunga lontananza tra persone abituate invece a lavorare gomito a gomito.

600 lezioni nella prima settimana, oltre 700 nella seconda: questo il buon risultato del Liceo di Ceccano nelle prime due settimane di sospensione delle lezioni e di attivazione della didattica a distanza che fin da subito ha riguardato la totalità degli allievi e degli insegnanti che non hanno trovato particolari difficoltà nel proseguire l’attività didattica, pur nella forte mancanza del rapporto interpersonale della classe, dei colleghi, degli scambi di relazioni dirette.

Ma come è stato possibile passare, senza grossi problemi da una didattica in presenza ad una didattica “in lontananza”?

Ci sono diverse ragioni:

-  innanzitutto la lunga esperienza del Liceo di Ceccano nell’utilizzo delle tecnologie nella didattica;  tutti gli allievi e i docenti inseriti all’interno di una comunità educante digitalizzata in cui le idee di condivisione, superamento dei limiti di spazio e di tempo, conservazione in cloud dei documenti sono ormai patrimonio  di tutti.

- Il clima della scuola nei confronti della cultura digitale è sostanzialmente positivo, nonostante le pur legittime perplessità di qualche collega, ma tutti ormai, da anni, consonanti nell’utilizzo del proprio device personale, secondo la modalità BYOD, Bring Your Own Device, con tanto di inserimento nel regolamento dell’istituzione scolastica.

- il tappeto digitale messo a disposizione di tutti i componenti della comunità educante del Liceo: tante applicazioni disponibili, funzionanti su tutti i device, in cui scegliere quelle più adatte nella propria libertà di insegnamento, senza appiattire alcuno sull’utilizzo di quella o quell’altra applicazione 

- l’abitudine al digitale, generata dall’uso obbligatorio del registro elettronico sin dal 2012, dal passaggio di tutta la comunicazione interna ed esterna della scuola alla posta elettronica, dal potenziamento del sito scolastico con tutta la modulistica generata automaticamente, dall’interazione con i social.

- l’aver puntato sui ragazzi come cooperatori della rivoluzione digitale, addirittura con un gruppo di teacher’s aid, di aiuto all’insegnante, estremamente prezioso in questa situazione.

Tutte queste scelte hanno consentito al Liceo di Ceccano di reagire immediatamente all’emergenza, contando appunto sull’esperienza e sulla capacità di porsi davanti alle questioni e cercare di risolverle, senza attendere indicazioni dall’alto che potrebbero tardare e rendere così inefficace l’intervento.

-La prima questione della didattica della lontananza, da trasformare poi in didattica a distanza, è stata quella di garantire a tutti gli studenti la possibilità di connettersi e di poter essere in contatto con i propri compagni e con gli insegnanti, attraverso piattaforme di classi virtuali che garantiscano la riservatezza dei dati e la certezza di identità, questione facilmente risolta grazie alla modalità del BYOD, attuata al Liceo fin dal 2013 e all’adozione di G suite, con tutta l’organizzazione della scuola strutturata.

Il dispositivo personale per allievi e prof è la caratteristica della vita del Liceo di Ceccano e quindi potevamo essere sicuri che tutti sarebbero stati raggiunti nella didattica a distanza, tutti avrebbero avuto a disposizione le stesse risorse presenti a scuola, e sperimentate per lunghi anni.

-La seconda questione è stata quella della competenza nell’utilizzo degli strumenti sia da parte degli allievi che degli insegnanti: anche qui, l’esperienza di anni e anni, in cui è stato promosso l’utilizzo delle tecnologie applicate alla didattica, ha reso le cose molto più semplici, anche per quegli insegnanti che non avrebbero mai pensato di dover utilizzare, all’improvviso, tecnologie così raffinate come quelle in uso in questi giorni. 

-La terza questione è stata quella con maggiori problematicità: quali sono i tempi e le modalità della didattica a distanza? Si tratta di una semplice trasposizione della scuola in presenza o bisogna rendersi conto che ci troviamo di fronte ad una modalità del tutto nuova, imposta dagli eventi ma foriera di nuovi modi di impostare le dinamiche dell’apprendimento? 

La risposta sta emergendo dall’esperienza di queste settimane in cui la dirigenza non ha dovuto sollecitare gli insegnanti quanto invece limitare gli interventi, indicare spazi orari, far presente come non sia possibile replicare sic et simpliciter modalità e didattiche della scuola in presenza, invitare a studiare modalità innovative di lezione. Su 70 insegnanti, 68 hanno attuato immediatamente attività a distanza, coordinate attraverso alcune riunioni di confronto, un ciclo di pillole in un aggiornamento nei primi 5 giorni di chiusura, in modo da chiarire i dubbi nell'utilizzo delle diverse applicazioni.. 

Anche in questo caso si è confermata la modalità “artigianale” di tali tecnologie, capaci cioè di adattarsi alle esigenze di chi le utilizza, che impara ad usarle non leggendo manuali o ascoltando lezioni, ma appunto facendo.

Si apre a questo punto la discussione attorno all’immersività della didattica con queste tecnologie, molte delle quali non sono nate per la scuola ma per il business. Ebbene, proprio grazie alla didattica della lontananza, gli insegnanti stanno man mano capendo come non si possano fare lezioni di un’ora in cui i ragazzi hanno sul loro schermo il faccione della prof e come invece le applicazioni  consentano, suggeriscano, spingano  a  far interagire, carte geografiche, dizionari, tabelle grafiche, bibliografie, dipinti, architetture, tutto sempre disponibile nel computer degli insegnanti e in quelli degli allievi collegati fra loro…  tutto un mondo di nuove opportunità, ostacolate soltanto dall’abitudine a concepire la lezione in un modo soltanto e soprattutto dall’idea che il ragazzo debba essere lì ad ascoltare invece che a ricercare, condividere, pubblicare, arricchire, aumentare… in collaborazione con il suo insegnante che non è più il depositario del sapere ma il facilitatore, il coordinatore di tanti strumenti di ricerca che ogni ragazzo possiede e che spesso neppure sa di possedere.

A questo si aggiunge la necessità di comprendere come queste tecnologie abbiano una loro grammatica ed una loro sintassi. Se utilizzo la video lezione non posso non aver cura della sistemazione del luogo in cui vengo ripreso (il set d’aula), non posso non tener conto che l'attenzione davanti ad un video  non può avere la stessa durata che all’interno di un’aula, non posso non calcolare quanti disturbi possono esserci nella comunicazione, sia di ordine tecnico (velocità di connessione, camere con bassa risoluzione, audio imperfetti) non posso non accorgermi che io sto entrando nelle case dei miei alunni, che non sono propriamente costruite per fare scuola, studiare, ricercare… che magari potrebbero esserci fratelli e sorelle che potrebbero essere non troppo rispettosi del lavoro del loro familiare  e così via.

Ma non soltanto: devo cominciare non posso non rispettare le regole di grammatica e di sintassi di ogni applicazione  se non voglio avere un difetto di comunicazione che a volte può compromettere del tutto ogni sforzo educativo.

Proprio la natura “spuria” delle applicazioni, tranne alcune sviluppate in questi ultimi anni specificamente per la scuola, costituisce sicuramente un limite ma offre tante opportunità alla fantasia pedagogica degli insegnanti che devono “perdere tempo” ad esplorarne le risorse per scrivere, calcolare, disegnare, prendere appunti, pubblicare, condividere, collaborare... 

La sfida più importante non sta negli strumenti ma nelle persone, tutte, non soltanto gli insegnanti ma anche gli studenti: possiamo infatti commettere l’errore di prospettiva di pensare agli allievi come capaci di muoversi agilmente  in ambienti digitali, magari perché abituati per anni a sentirci ripetere la favola dei nativi digitali. Forse saranno abituati ad usare il touch, a ragionare in maniera iconica, a comprendere rapidamente il linguaggio degli emoticon ma spesso sembrano più trogloditi digitali, persone che hanno strumenti straordinari nelle loro mani ma li utilizzano in maniera rozza, incapaci di comprenderne le straordinarie possibilità. Pensate a cosa diventerebbe una lezione nel momento in cui ogni alunno sia in grado, simultaneamente agli altri, di verificare un’affermazione, trovare il significato, l’etimologia, la traduzione in qualunque lingua, di una parola, la localizzazione geografica di qualunque posizione

Ne deriva dunque un altro compito della scuola, che soltanto lei può assolvere: insegnare la grammatica e la sintassi di questi strumenti, come già si è fatto nel passato con i giornali, la tv… Soltanto la scuola può farlo perché ne ha le competenze e soprattutto la passione pedagogica. Abbiamo di fronte un’occasione unica di innovazione e di esaltazione della funzione civile della scuola.

Non sappiamo cosa rimarrà: certo sarà difficile non venire incontro alle esigenze dei pendolari, non ripensare le assenze degli allievi, ma anche quelle dei prof. 

Abbiamo imparato che ci sono strumenti che annullano distanze e tempi. 

Forse alcuni limiti abitudinari della scuola (orari, classi, spazi…) potrebbero essere superati. È un’altra sfida che ci attende.

Le stesse considerazioni possono essere applicate al lavoro amministrativo che consente alla scuola di procedere ordinatamente nella sua funzione: anche qui preside, direttore dei servizi generali e amministrativi, assistenti si sono dovuti reinventare il lavoro nelle loro abitazioni, con l’eufemismo di agile che invece presuppone solidità nelle piattaforme e negli strumenti utilizzati e soprattutto persone che già hanno trasportato nel cloud il loro lavoro prima ancora dell’emergenza.

Anche per il lavoro degli uffici sarà necessaria una revisione profonda perché queste settimana hanno dimostrato che si può fare.

Dopo questa esperienza la didattica ed il lavoro della segreteria non potrà non mutare per sempre, accogliendo stabilmente i contenuti digitali e l’approccio multimediale ad integrazione dei metodi tradizionali.

 Dovrà scaturire fortemente  la consapevolezza da parte di tutti che non si può parlare di “didattica a distanza” o di “lavoro agile” senza avere infrastrutture capaci di supportare il traffico dei dati, senza quelle autostrade digitali, connessioni veloci, necessarie per raccordare il collegamento delle iniziative delle singole scuole e dei singoli insegnanti e delle migliaia di scuole presenti sul territorio e che su queste occorre investire.