Ciò che ci dice il risultato francese

Venerdì, 28 Aprile, 2017

Vi sono molti aspetti nella recente consultazione elettorale francese che ci interessano da vicino e considerare alla vigilia del ballottaggio e che, comunque, oltre a dare una lettura di ciò che accade nella vicina Francia, entrano nel novero delle osservazioni che possono aiutare a maturare le soluzioni per uscire dalla lunga crisi italiana.
Una prima considerazione: vi è un risultato positivo anche se provvisorio che riguarda la sconfitta di quello che qualcuno ha chiamato il fantasma xenofobo e antieuropeo, ma che tanto fantasma non è, se il Front Nazional di Marine Le Pen ha preso oltre sette milioni di voti. In ogni caso il confronto è solo rimandato e si sposta sul ballottaggio che si profila sempre più come un duello tra l’Europa e l’antieuropa.
Questo dato ci dice che l’Europa è tutt’altro che finita come progetto e che, anzi, la sua realtà è terribilmente attuale tanto da divenire elemento catalizzatore e, allo stesso tempo divisivo, di masse sempre più incerte, spaventate dai problemi della sicurezza, non meno che dalla prospettiva economica.
I problemi francesi, ovviamente sono ben altri da un confronto sulla xenofobia o sulla prospettiva europea, e non possono essere risolti uscendo dall’Europa e buttandosi tra le braccia di ripristinate frontiere e di un nazionalismo che diviene protezionista in economia. In crisi e passa per il rapporto stesso tra cittadino e stato, in crisi è l’identità nazionale non più percepibile in un fatto di riconoscimento in un patto sociale e meno ancora nella prospettiva di apertura internazionale e di solidarietà.

PIÙ EUROPA, PIÙ POLITICA

Da questo tema nascono, anche per noi, due conseguenze: la necessità di rilanciare, con la bandiera europea, il progetto europeo, che si è oggettivamente arenato, ma che contiene in se tutta la riserva di prospettive di sviluppo nella pacifica convivenza. E, insieme, quel tema contiene il richiamo a dare rapidamente sostanza a politiche interne che affrontino e risolvono le fratture sociali sempre più gravi che investono parti consistenti della popolazione, che costruiscano politiche credibili ed efficaci sul lavoro, sullo sviluppo, sull’integrazione, sulla sicurezza. Le periferie sono sempre più grandi e non sono necessariamente ubicate nelle fasce esterne delle grandi città: in ogni contesto, in ogni punto geopolitico, si rendono evidenti periferie che, prima di essere sociali, sono esistenziali. È questa realtà che dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo essere capaci di parlare, con una proposta culturale e politica insieme.
L’altro tema che il test elettorale francese ci propone con forza è il futuro dei partiti, delle loro forme, della loro capacità di mediare tra cittadini e stato, della loro capacità di mettere in campo proposte concrete, percepibili e potenzialmente efficaci.

PARTITI TRADIZIONALI E NUOVI CONTENITORI DEIDEOLOGIZZATI

L’affermazione di Macron, di un politico che ha esperienze di governo, ma che solo sei mesi fa ha fatto scendere in campo u n nuovo contenitore politico, spiazzando tutto il vecchio establishment confinato a percentuali minori, in qualche caso davvero basse rispetto la storia precedente, ci dice di una tendenza con cui dobbiamo finalmente fare i conti in maniera decisa e con il coraggio di proporre una soluzione anche se dovesse andare controcorrente.
I partiti tradizionali escono sconfitti dalle elezioni francesi, o comunque assai ridimensionati, se si accetta il Front Nazional. Si apre invece uno spazio ad altre aggregazioni, ma soprattutto a singole figure in grado di stabilire, giocando sulla novità, un rapporto diretto tra il candidato e la gente. Le scelte degli elettori hanno colpito in pari misura partiti di maggioranza e di opposizione, di destra e di sinistra che per decenni avevano calcato la scena politica.
La novità del movimento di Macron, “In marcia!”, sta per così dire nel suo avere contenuti non facilmente identificabili, ma che comunque evitano le collocazioni tradizionali; una posizione che prende le distanze dall’attuale classe politica. È qualcosa che, anche nel nostro panorama, va accadendo da tempo: avvisaglie le abbiamo avute con il fenomeno dei Verdi, in anni lontani, ma poi anche con movimenti molto diversi tra loro, si pensi al patto Segni e poi a proposte come Forza Italia e, per converso, l’Ulivo. Gli ingredienti li conosciamo: c’è un leader, si prendono le distanze più o meno dal prima e si fanno proposte suffragate dai sondaggi e si lanciano slogan accattivanti. Un elettorato smarrito e per tanti versi giustamente irritato e deluso, è disposto a premiare il nuovo piuttosto che perpetuare il vecchio. In ogni caso, si pensa: “se i nuovi non saranno in grado di risolvere i problemi gli si toglierà il consenso e si voterà per un nuovo ancora più nuovo”.
Le cose sappiamo che non stanno così: per governare è necessario avere un progetto, un programma dettagliato da sottoporre agli elettori, una classe dirigente onesta (ma questo è un prerequisito) e capace. Oggi però anche il più bel progetto (ammesso che qualcuno ci lavori davvero partendo dall’ascolto) ha bisogno di essere ben comunicato e soprattutto percepito come nuovo, affidato a volti nuovi. È una tendenza comprensibile che va però tenuta insieme con l’esistenza e la qualità di un progetto, da sola non può che essere illusoria e, a forza di deludere, allontanare i cittadini dal voto e dalla politica. Ora aspettiamo i risultati francesi, su cui torneremo.