Charlie, la vita, la Corte Europea

Mercoledì, 28 Giugno, 2017

Il 27 giugno 2017 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai coniugi Gard che chiedevano di mantenere in vita con il semplice mantenimento della respirazione tramite ventilatore meccanico il figlio di 10 mesi ricoverato presso l’Ospedale di Great Ormond Street. Tale ospedale, fino ad oggi ritenuto uno dei migliori ospedali pediatrici inglesi, associa così il suo nome ad una vicenda sinistra ed inquietante, la cui ombra di certo non sarà facile dissociare da una decisione così improvvida.

Charlie Gard soffre sin dalla nascita di una malattia rara del cervello, non è in grado (almeno per adesso) di muovere gli arti e di nutrirsi e necessita di respirazione artificiale. I genitori hanno ricevuto ingenti donazioni da tanti privati che si sono sensibilizzati alla causa di poter offrire la possibilità a questa famiglia di poter effettuare un trattamento medico sperimentale negli Stati Uniti. La famiglia Gard ha chiesto due sole cose alla direzione delGreat Ormond Street Hospital:

1) mantenere il trattamento di ventilazione artificiale a Charlie per il tempo necessario a organizzare il trasferimento

2) che il trattamento sia trasferito a un’altra équipe medica.

L’ospedale con una decisione che a molti apparve incredibilmente incompatibile per standard minimi di umanità (nonché per chi ha giurato di esercitare la sua professione medica secondo i requisiti antichi del giuramento di Ippocrate) si è arrogato il diritto di impedire anche la libera e autonoma iniziativa dei genitori per dare a loro figlio una possibilità di vita, fosse essa anche remota (ma è da dimostrare). Questo  partendo dal presupposto ormai divenuto purtroppo sempre più un nuovo grimaldello giuridico che il trattamento alternativo che i genitori vorrebbero disperatamente  sperimentare non sia nel miglior interesse del fanciullo. Le corti inglesi hanno dato ragione alla scelta dei medici e ieri lo stesso è stato dichiarato dalla CEDU, che ha quindi respinto il ricorso dei genitori di Charlie. 

Tuto ciò porta a comprendere sempre meglio quanto ormai il re sia nudo, come il diritto vigente approvato troppo spesso da un legislatore che abdica a comprendere appieno il valore di alcune scelte fondamentali tenda sempre di più ad essere arbitrio procedurale, sovente addobbato con ornamenti legali e paludamenti giudiziari propri delle alte corti. Queste alte corti, come notato recentemente da diversi teorici del diritto e della politica, sono il tentativo del decisore politico di trovare e di manifestare una presunta neutralità di ultima istanza che emerga dalla disputa di merito, Leviatano legittimato a prendere decisioni anche tremende dinanzi a questioni come la decisione di mantenere in vita Charlie, che non possono non ferire il senso comune, ben al di là di casi analoghi in cui invece la volontà dei parenti o dei genitori era in senso opposto. In questi giorni un altro limite tremendo è stato quindi varcato, cosa che dovrebbe interrogare legislatori e decisori politici in merito agli esiti di loro decisioni politiche, che non trovano un interprete adeguato.

La nozione stessa di vita umana sembra ormai resa seconda dinanzi alla nozione ambigua di best interest, con un utilitarismo di bassa lega ben distante dall’idea di massimizzazione della felicità o del bene che si vorrebbe dietro questa idea per come è stata di recente sempre più elaborata dai filosofi che si riconoscono nelle diverse e più raffinate varanti dell’utilitarismo e del consequenzialismo contemporaneo. Non può fruire di alcun bene chi viene rimosso dall’esistenza.

La vita include il diritto di avere una possibilità di fiorire senza che sia recisa da una decisione arbitraria e inconcepibile. Non serve risalire gradi ulteriori di giudizio, ipotizzare ulteriori ricorsi, se questa moneta comune del diritto non porta più un volto di chi garantisca un minimo di contenuto morale a una decisione che offende il comune senso di umanità, privando un infante (in-fans, non può parlare) della vita e denegando la parola di chi vorrebbe urlare a nome suo, in questo caso i suoi genitori.

Confidiamo in una parola aspra, dura, di buon senso e forse ancora in tempo ad essere efficace da parte dei rappresentanti della politica, dell’economia, della religione e della filosofia: in questo caso i rappresentanti delle più alte magistrature purtroppo hanno deciso venendo meno ai presupposti stessi del loro compito.